17.
Si seppe che il treno sarebbe partito dopo poche ore, nonostante l’ora tarda e l’avvicinarsi della notte. Prima della partenza, Jurij Andrèevich e Antonina Aleksàndrovna si recarono per l’ultima volta ad ammirare lo spettacolo della linea sgombra. Sulla massicciata già non c’era più nessuno. Il dottore e la moglie indugiarono guardando lontano e scambiandosi qualche osservazione, quindi tornarono indietro verso il vagone.
Mentre si avvicinavano, udirono le grida arrabbiate e sgolate di due donne. Le riconobbero subito: erano la Ogryzkòv e la Tjagunòv. Le due donne procedevano nella loro stessa direzione, verso la coda del treno, ma dalla parte opposta, dal lato della stazione, mentre Jurij Andrèevich e Antonina Aleksàndrovna costeggiavano il bosco. Un’ininterrotta parete di vagoni si allungava fra le due coppie, nascondendole l’una all’altra. Le donne non erano quasi mai all’altezza del dottore e di Antonina Aleksàndrovna, ma un po’ più avanti o molto indietro.
Erano tutte e due affannatissime e ogni momento sembrava che le forze le tradissero. Forse, camminando, affondavano nella neve o scivolavano; almeno a giudicare dalle voci che ora salivano di tono fino a gridare, ora si abbassavano fino a un mormorio. Evidentemente, la Tjagunòv stava inseguendo la Ogryzkòv per prenderla probabilmente a pugni ogni volta che la raggiungeva. Riversava intanto sulla rivale tutta una serie scelta di insulti, che sulle labbra melodiose di lei che posava alla signora, suonavano cento volte più oscene del più sgradevole e volgare turpiloquio mascolino.
«Ah, brutta sozzona, disgraziata!» urlava. «Sempre tra i piedi, lì a dimenar la gonna, a gettare occhiate da puttana! Non ti bastava il mio, quel babbeo, no, pure su un’anima innocente ti dovevi buttare, cagna. Alza la coda e si mette a corrompere i minorenni, adesso!»
«Perché, tu saresti moglie legittima anche di Vasja?»
«Ti faccio vedere io se sono legittima o no, spudorata, impestata! Non te n’esci viva di qua, mi rovino, mi rovino!»
«Oh, oh, alza le mani, questa! Abbassa le zampe, pazza furiosa! Che vuoi da me?»
«Voglio che tu crepi, pidocchio, gatta rognosa, svergognata!»
«Neanche a dirlo. Si sa, io sono una cagna, una gatta. Tu invece sei la gran dama, si capisce. Nata in un fosso, maritata sotto un portone, ingravidata da un topo, hai partorito un riccio… Aiuto, aiuto, gente! Questa assassina mi ammazza! Ahi, salvate una ragazza, difendete un’orfana…»
«Su, spicciamoci. Non le posso sentire, è troppo ripugnante,» disse Antonina Aleksàndrovna, allontanandosi in fretta col marito. «Va a finir male.»