10.
Nella sala della biblioteca di Jurjatin, Jurij Andrèevich stava esaminando i libri richiesti. La sala di lettura poteva contenere un centinaio di persone, aveva molte finestre, sotto le quali, disposte per il lungo, si allineavano diverse file di tavoli. Quando faceva buio, la biblioteca chiudeva, perché in primavera la città non veniva illuminata. Ma Jurij Andrèevich non si era mai trattenuto fino al crepuscolo, né fermato in città oltre il pomeriggio. Lasciava presso la locanda di Samdevjatov il cavallo che i Mikùlicyn gli prestavano, leggeva tutto il mattino e verso mezzogiorno ripartiva alla volta di Varykino.
Prima di quelle visite in biblioteca, era stato raramente a Jurjatin, non avendo ragioni particolari per recarvisi. Perciò la conosceva appena. E quando, sotto i suoi occhi, la sala di lettura a poco a poco si riempiva di persone, che si sedevano chi distante da lui, chi più vicino, provava la sensazione di far conoscenza con la città, quasi si trovasse in uno dei punti più frequentati e nella sala non confluissero i lettori, ma si assembrassero le case e le strade in cui quelli vivevano.
Tuttavia la vera Jurjatin, quella reale e non l’immaginaria, si poteva scorgere dalle finestre della sala. Presso la finestra centrale, la più grande, c’era un recipiente con l’acqua bollita. Quando i lettori per riposarsi uscivano a fumare sulla scala, si fermavano accanto al recipiente, bevevano l’acqua, versando quella che avanzava nella vaschetta e si affollavano alla finestra ammirando la vista della città.
C’erano due tipi di lettori: persone appartenenti al ceto intellettuale, ed erano la maggioranza, e gente del popolo semplice.
Fra i primi predominavano le donne, poveramente vestite, trasandate, prive di ogni civetteria. In genere, tutta gente con le facce lunghe, afflosciate e gonfie per svariate ragioni come la fame, i travasi di bile, gli edemi da idropisia. Erano assidui della biblioteca, conoscevano personalmente gli impiegati e si sentivano come a casa propria.
La gente del popolo, con belle facce sane, vestita ammodo, da festa, entrava con aria timida e confusa, come in chiesa, ma rumorosamente, non per ignoranza dei regolamento, ma proprio per il desiderio di entrare nel massimo silenzio e per l’incapacità di controllare tutto il vigore dei propri passi e delle proprie voci.
Di fronte alle finestre, in una nicchia della parete, separati dal resto della sala da un alto bancone, stavano su una pedana gli impiegati, un bibliotecario anziano e due aiutanti. Una di queste, con uno scialle di lana, stava sempre tutta imbronciata, e si toglieva e si rimetteva continuamente il «pince-nez», evidentemente non per un qualche bisogno della vista, ma a causa del suo umore variabile. L’altra, con una camicetta di seta nera, doveva soffrire di una malattia polmonare, perché teneva sempre davanti alla bocca e al naso il fazzoletto, attraverso il quale parlava e respirava.
Gli impiegati della biblioteca avevano gli stessi visi emaciati, allungati e smunti di buona parte dei lettori, la stessa pelle floscia e molle, terrea, con chiazze verdastre, del colore dei cetrioli salati e della muffa. E tutti e tre facevano a turno le stesse cose: a bassa voce spiegavano ai novizi il regolamento della biblioteca, esaminavano i moduli delle richieste, consegnavano e riprendevano indietro i libri e, nelle pause, attendevano a compilare certi loro rendiconti annuali.
E senza ragione, per una strana associazione d’idee, alla vista della città reale fuori della finestra e di quella immaginaria nella sala, nonché per una certa affinità suggerita dal pallido gonfiore di quei volti, come se tutti fossero malati di gozzo, Jurij Andrèevich si ricordò dell’incollerita scambista della stazione di Jurjatin, la mattina del loro arrivo, e del panorama della città in lontananza, di Samdevjatov seduto accanto a lui sul pavimento del vagone, e delle sue spiegazioni. E quelle spiegazioni, ricevute lontano da lì, in altro luogo, le avrebbe volute collegare con ciò che ora vedeva da vicino, nel cuore stesso di quel panorama. Ma non ricordava i nomi citati da Samdevjatov e non riuscì a orientarsi.