3.
Il dottore aveva lavoro fino ai capelli: d’inverno, tifo petecchiale; d’estate, dissenteria e, oltre a ciò, nei giorni di battaglia un intenso afflusso di feriti che giungevano dai luoghi delle operazioni.
Nonostante gli insuccessi e i quasi continui ripiegamenti, nuovi insorti nelle zone attraversate dall’esercito contadino e transfughi del campo nemico venivano incessantemente a rinforzare le file partigiane Nell’anno e mezzo che il dottore aveva trascorso coi partigiani, il loro numero si era decuplicato. Quando, alla riunione dello stato maggiore clandestino a Krestovozdvizensk, Liverij Mikùlicyn aveva annunciato l’ammontare delle sue forze, le aveva esagerate di almeno dieci volte.
Ora quella cifra era stata raggiunta.
Jurij Andrèevich aveva alcuni aiutanti, sanitari di recente preparazione, ma con un’esperienza già sufficiente. I suoi assistenti per la terapeutica erano un comunista ungherese, il medico militare Kerèny Layos, ex prigioniero di guerra, che nel campo chiamavano «compagno Lajushcij», e l’infermiere croato Angeljar, anche lui prigioniero austroungarico. Col primo, Jurij Andrèevich parlava tedesco; il secondo, nativo dei Balcani slavi, capiva alla meno peggio il russo.