14.
L’indomani viaggiarono a piccola velocità, con rallentamenti continui, per il timore di deragliare dai binari, in parte velati dalla tormenta e non ancora sgomberati dalla neve. Il treno si fermò in mezzo a un deserto senza segni di vita, dove i viaggiatori stentarono a riconoscere i resti di una stazione distrutta dal fuoco. Sulla sua facciata annerita si poteva distinguere la scritta: «Niznij Kel’mes.»
Non era solo l’edificio della stazione a conservare le tracce dell’incendio; alle sue spalle si scorgeva un villaggio abbandonato e ingombro di neve, che evidentemente aveva subito la stessa sorte.
L’ultima casa dell’abitato era carbonizzata; in quella vicina, alcune travi di ferro apparivano piegate ad angolo retto, con le punte rivolte all’interno, mentre dappertutto sulla strada si vedevano rottami di slitte, steccati abbattuti, ferri arrugginiti, stoviglie rotte. La neve sporca di fuliggine e di scorie nereggiava là dove il fuoco aveva bruciato in profonde chiazze, ed era cosparsa di rifiuti gelati con dei tizzoni rappresi nel ghiaccio, tracce dell’incendio e dei tentativi di spegnerlo.
Ma il villaggio e la stazione non erano completamente deserti: qua e là c’era ancora qualche anima sperduta.
«E’ bruciato tutto il paese?» domandò saltando sul marciapiede, tutto interessato, il capotreno al capostazione apparso in mezzo alle rovine.
«Salve. Ben arrivati. Sì, per bruciare hanno bruciato tutto, ma c’è di peggio dell’incendio.»
«Come?»
«Meglio non parlarne.»
«Strèl’nikov, possibile?»
«Proprio lui.»
«Che avevate fatto?»
«Mica noi. I vicini. Ma la strada passa di qui, ed è toccato anche a noi. Vedete quel villaggio laggiù? Per colpa loro. E’ il villaggio di Niznij Kel’mes del distretto di Ust’-Nerndà. Loro sono i colpevoli.»
«Che hanno fatto?»
«I sette peccati mortali, a dir poco. Hanno tolto di mezzo il Comitato dei poveri, ed è una; si sono ribellati al decreto che obbliga a fornire cavalli all’Esercito Rosso, e notate che sono tutti tartari allevatori di cavalli, e fa due; non hanno obbedito all’ordine di mobilitazione, e tre! Come vedete…»
«Già. E’ tutto chiaro. E per questo le hanno prese dall’artiglieria?»
«Appunto.»
«Da un treno blindato?»
«Si capisce.»
«Dolente. Da compiangere. Comunque non ci riguarda.»
«Il per di più è roba passata. Ma c’è qualcosa che non vi farà piacere. Dovrete fermarvi qui un giorno o due.»
«Non scherzate. Trasportiamo riserve per il fronte. Devo proseguire senza soste.»
«Macché scherzi! La linea è ostruita dalla neve, lo vedete voi stesso. La tormenta ha infuriato per una settimana, su tutto questo tratto. L’ha bloccato e non c’è nessuno per lo sgombero. Metà dei villaggio è fuggita. Mi servo di quelli che sono rimasti, ma non ce la fanno.»
«Ah, che vi pigli un accidente! Sono rovinato, sono rovinato! E che facciamo ora?»
«In qualche modo spaleremo la linea, e passerete.»
«E’ molto ingombra?»
«No, non si può dire. A tratti. La tormenta ci ha preso di striscio, ha imperversato d’angolo rispetto alla linea. li settore più difficile è quello centrale. Tre chilometri di avvallamento. Qui ci sarà da faticare, l’ingombro è serio. Ma più avanti non è gran che; la “tajgà”, il bosco hanno fatto da riparo. Anche prima dell’avvallamento, dov’è la campagna aperta, non è preoccupante. Il vento ha già spazzato.»
«Che il diavolo vi porti. Che guaio! Farò scendere tutti dal treno, devono aiutare.»
«E’ quello che pensavo anch’io.»
«Solo, non toccate i marinai e i soldati rossi. Il convoglio trasporta gente dell’armata del lavoro. Insieme ai passeggeri sono circa settecento.»
«Più che sufficienti. Appena ci portano le pale li mettiamo sotto. Mancano le pale. Ma abbiamo mandato a cercarle nei villaggi vicini. Ne troveremo.»
«Che guaio, accidenti! Pensate che ce la faremo?»
«E come no? D’assalto, si dice, si conquistano le città. Questa è la linea ferroviaria, un’arteria vitale. Ci mancherebbe altro.»