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Eppure viveva a pochi passi da loro, quasi sotto i loro occhi, proprio entro il giro delle loro ricerche.
Il giorno della sua scomparsa, uscendo dalla casa di Gordon - era ancora chiaro, prima del tramonto - si era diretto lungo la via Brònnaja verso casa, in via Spiridònovka, e dopo meno di cento passi, s’era imbattuto nel suo fratellastro Evgràf Zivago, che camminava in direzione opposta. Non lo vedeva da oltre tre anni e non aveva saputo più nulla di lui. Evgràf si trovava casualmente a Mosca, dove era arrivato da poco tempo. Secondo il suo solito, sembrava piovuto dal cielo ed era inaccessibile alle domande che lasciava cadere con battute e silenziosi sorrisi. In compenso, lì su due piedi, senza bisogno di entrare in particolari, con due o tre domande si rese conto di tutte le pene e le avversità di Jurij Andrèevich, e lì stesso, nelle strette svolte di quel vicolo tortuoso, in mezzo alla ressa della gente che passava, concepì un piano pratico per aiutarlo e salvarlo. La sparizione e l’isolamento di Jurij Andrèevich erano stati una sua idea, una sua trovata.
Prese in affitto per lui una stanza nel vicolo che aveva ancora il nome di Kàmergerskij, accanto al Teatro di Arte. Lo rifornì di denaro, si occupò di trovargli in un ospedale un lavoro decoroso che gli desse una prospettiva di attività scientifica. Aiutò, insomma, il fratello in tutte le questioni pratiche e gli promise anche di risolvere, in un modo o nell’altro, il problema della sua famiglia a Parigi: o Jurij Andrèevich li avrebbe raggiunti li, o loro avrebbero potuto tornare da lui. Si impegnò a occuparsi di tutto personalmente e a sistemare ogni cosa. L’aiuto del fratello rincuorò Jurij Andrèevich. Come sempre, il mistero della sua potenza era inesplicabile. Jurij Andrèevich non tentò nemmeno di sciogliere l’enigma.