14.
Era passata la mezzanotte, forse anche l’una. Jura aveva le orecchie che gli ronzavano. Dopo l’intervallo, durante il quale avevano bevuto in sala da pranzo il tè con i “petits-fours”, le danze ripresero e quando le candele dell’albero furono consumate, nessuno più le sostituì.
Jura stava in mezzo alla sala, guardando distrattamente Tonja che ballava con uno sconosciuto. Passando davanti a Jura, spingeva indietro, con un movimento del piede, la piccola coda del lungo abito di raso, la faceva guizzare come un pesciolino, poi scompariva nel mezzo delle danze.
Era molto accaldata. Nell’intervallo, quando si erano recati in sala da pranzo, aveva rifiutato il tè e calmato la sete mangiando una gran quantità di mandarini che sbucciava rapidamente uno dopo l’altro. Di continuo estraeva dalla cintura o dal risvolto della manica il fazzoletto di batista, minuscolo come un fiore d’albero da frutta, e si tergeva il sudore agli angoli della bocca e fra le dita. Ridendo e senza smettere di conversare animatamente, lo riponeva poi con gesto meccanico nella cintura o nel “volant” della vita.
Ora, mentre ballava con lo sconosciuto cavaliere, volteggiando urtava Jura, che si tirava da parte, rabbuiandosi; di sfuggita Tonja gli stringeva scherzosamente la mano e sorrideva in segno d’intesa. Finché, una volta, il fazzoletto che aveva in mano rimase a Jura. Egli lo portò alle labbra e chiuse gli occhi. Il fazzoletto emanava, misti insieme e ugualmente inebrianti, il profumo delle bucce di mandarino e quello della mano accaldata di Tonja. Era una cosa nuova nella sua vita, una cosa che non aveva mai provato e che, pungente, lo penetrava fino in fondo. Quell’odore, infantilmente ingenuo, era intimo e sensato come una parola sussurrata al buio. Jura stava fermo, con gli occhi chiusi, le labbra premute sul fazzoletto respirandone il profumo. A un tratto nella casa echeggiò uno sparo.
Tutti volsero la testa verso la tenda che separava il salotto dalla sala. Per un attimo vi fu silenzio. Poi cominciò la confusione. Tutti si agitavano e gridavano. Alcuni si precipitarono dietro Koka Kornakòv verso il punto dove era echeggiato lo sparo. Di là già correva loro incontro altra gente, che minacciava, piangeva, discuteva, togliendosi a vicenda la parola.
«Che cos’ha fatto,» ripeteva fuori di sé Komarovskij.
«Borja, sei vivo? Borja, sei vivo?» strillava istericamente la signora Kornakòv. «Ma non c’era fra gli invitati il dottor Drokov? Ma dov’è, dov’è adesso? Ah, lasciatemi, per favore! Per voi è un graffio, per me è la ragione di tutta la mia vita. Oh, mio povero martire, per aver smascherato tutti quei malfattori. Eccola, lei, eccola l’infame, ti strappo gli occhi, delinquente! Bene, non potrà più scappare, ora! Che avete detto, signor Komarovskij? Contro di voi? Ha sparato contro di voi? No, non posso… Soffro troppo per aver voglia di scherzare, signor Komarovskij. Koka, Kòkochka, hai sentito? Contro tuo padre… Sì… Ma la mano del Signore… Koka! Koka!»
Dal salotto, la folla si riversò nella sala. In mezzo, rispondendo scherzosamente e assicurando tutti della propria assoluta incolumità, avanzava Kornakòv, che si tamponava con una salvietta pulita il graffio sanguinante sulla mano sinistra. In un altro gruppo, più indietro e in disparte, qualcuno spingeva Lara tenendola per le braccia.
Vedendola, Jura allibì. Lei! E ancora in quali circostanze! E di nuovo, quell’uomo dalle tempie grigie. Ma ora sapeva chi era: il famoso avvocato Komarovskij, quello che aveva avuto a che fare con l’eredità dei babbo. Poteva anche fare a meno di salutarlo, tra loro fingevano di non conoscersi. Ma lei… Allora è stata lei a sparare? Contro il procuratore? Certo è una sovversiva. Poveretta. Ora sì che gliela faranno pagare. Com’è fieramente bella! E quelli là! Maledetti, la trascinano torcendole i polsi come a una ladra colta sul fatto.
Ma s’accorse subito d’aver sbagliato. Lara non si reggeva in piedi: la tenevano per le braccia perché non cadesse. La trascinarono a fatica fino alla più vicina poltrona, sulla quale si abbatté.
Jura corse presso di lei per farle riprendere i sensi, ma pensò che era meglio manifestare prima un certo interesse per la vittima dell’attentato. Si avvicinò a Kornakòv e disse:
«E’ stato chiesto un medico. Io sono in condizione di prestarvi aiuto. Mostratemi la mano. Be’, siete fortunato. E’ una sciocchezza, non la fascerei neppure. Tuttavia, un po’ di tintura di iodio non farà male. Ecco Felicata Semënovna, la chiederemo a lei.»
La Sventickij e Tonja si avvicinavano in fretta a Jura. Erano sconvolte. Gli dissero di lasciare tutto e di andare subito a vestirsi: erano venuti a cercarlo, a casa era successo qualcosa. Jura, sgomento, pensò al peggio e, dimenticando ogni cosa, corse a vestirsi.