10.
La stanza era esposta a mezzogiorno. Con due finestre guardava i tetti del Teatro, oltre i quali, alto sul Corso Ochotnyi, incombeva il sole estivo sprofondando nell’ombra il selciato del vicolo.
Per Jurij Andrèevich era più che una stanza da lavoro, più che uno studio. In quel periodo di bruciante attività, in cui i suoi disegni e progetti non riuscivano a esser contenuti negli appunti che gli stavano davanti sul tavolo, e le immagini di quanto aveva pensato ed elaborato fantasticamente riempivano tutti i lati della stanza, come gli abbozzi di tanti quadri poggiati con la tela contro il muro ingombrano lo studio di un artista, la sua abitazione era una sala conviviale dello spirito, una scatola di sogni, un deposito di rivelazioni.
Fortunatamente, le trattative con la direzione dell’ospedale andavano per le lunghe e il momento di entrare in servizio era rinviato a tempo indeterminato. Approfittando della fortuita libertà, lavorava.
Cominciò col mettere in ordine quello che aveva già scritto, di cui o ricordava alcuni brani, o Evgràf gliene aveva chissà dove rintracciati e riportati altri, sia nei manoscritti originali, sia in trascrizioni altrui. Il disordine di quel materiale lo costringeva a disperdersi più ancora di quanto vi fosse portato per inclinazione naturale. Ben presto abbandonò quel lavoro e, dalla sistemazione di vecchi scritti, passò a comporne di nuovi, trasportato da più recenti ispirazioni.
Redigeva in minuta saggi di articoli, simili ai rapidi appunti del primo soggiorno a Varykino, e trascriveva brani di poesie come gli salivano alla mente, l’inizio, la fine o la parte centrale, alla rinfusa, senza un preciso criterio. Talvolta stentava a seguire i pensieri che lo assalivano in folla: nonostante le abbreviazioni di parole e i rapidi segni con cui le annotava, non faceva in tempo a fermare tutte le impressioni.
Si affrettava. Quando la sua immaginazione era stanca, nei momenti di ristagno, la sollecitava e stimolava con disegni ai margini dei fogli. Raffiguravano strade che attraversavano un bosco e crocicchi di città, con l’insegna pubblicitaria «Moreau e Vetcinkin. Seminatrici. Trebbiatrici».
Uno solo era il tema degli articoli e delle poesie: la città.