18.
Improvvisamente tutto mutò, i luoghi e il tempo. Finita la pianura, la strada s’inoltrava fra le montagne, colline e alture. Il vento del nord, che aveva soffiato negli ultimi tempi, era caduto. Dal sud venne un alito di tepore, come da una stufa.
Le pendici dei monti qua e là erano coperte di boschi. Per attraversarli il treno doveva inerpicarsi e ridiscendere poi dolcemente. Si arrampicava ansando in mezzo alla foresta, a stento, come un vecchio boscaiolo con dietro tutta una folla di passeggeri a guardarsi attorno e a notare ogni cosa.
Ma non c’era gran che da guardare. Nella profondità del bosco tutto era ancora sonno e quiete, come d’inverno. Solo ogni tanto, come da un collare o da un bavero, a sbottonarlo, qualche arbusto e qualche albero frusciando liberava dalla neve i rami più bassi, ove via via s’ammucchiava.
Jurij Andrèevich fu preso dalla sonnolenza. Per tutti quei giorni rimase steso nel suo posto in alto: dormiva, al risveglio si perdeva nei pensieri o si metteva in ascolto. Ma per allora non c’era gran che da ascoltare.