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La guerra col Giappone non era ancora finita. Improvvisamente, altri avvenimenti la fecero passare in secondo piano. La Russia fu percorsa da ondate rivoluzionarie, una più violenta e più straordinaria dell’altra.
A quel tempo arrivò dagli Urali a Mosca la vedova di un ingegnere belga, una francese, diventata russa ormai, Amàlija Kàrlovna Guichard, con due figli, Rodiòn e Larisa. Iscrisse il figlio nel corpo dei cadetti e la figlia nel ginnasio femminile in settima, per l’appunto nella stessa classe frequentata da Nadja Kologrìvov.
Madame Guichard aveva ereditato i risparmi del marito in azioni, che dopo essere salite avevano cominciato a crollare. Per far fronte a quell’emorragia di denaro e aver nello stesso tempo un’occupazione, acquistò una piccola impresa, la sartoria Levìckaja, nei pressi della Porta Trionfale, che gli eredi della sarta le cedettero insieme con il diritto a conservare l’antico nome della ditta con tutte le lavoranti, le apprendiste e la vecchia clientela.
Madame Guichard era stata consigliata dall’avvocato Komarovskij, già amico di suo marito e ora suo sostegno, un uomo freddamente pratico, che conosceva come la propria mano la rete degli affari di tutta la Russia. Con lui stette in corrispondenza per quanto riguardava il trasloco; lui venne ad accoglierli alla stazione, e li condusse attraverso l’intera Mosca fino alle camere ammobiliate del «Cernogorie» nel Vicolo Oruzéjnyj, dove aveva prenotato una camera per loro; lui la esortò a iscrivere Rodja nel corpo dei cadetti e Lara in un ginnasio di sua fiducia, e sempre lui scherzò distrattamente col ragazzo e fissò la fanciulla sì da farla arrossire.