1.
Un giorno, durante l’inverno, Aleksàndr Aleksàndrovich regalò ad Anna Ivànovna un vecchio armadio. Lo aveva comperato d’occasione. Era d’ebano e di così enormi dimensioni che non sarebbe passato da nessun uscio. Lo portarono smontato, e si cominciò a pensare dove metterlo. Non andava nelle stanze a pianterreno, dove sarebbe entrato, perché altra era la sua funzione, e di sopra non poteva trovar posto per mancanza di spazio. Fu liberata perciò una parte del pianerottolo superiore della scala interna, vicino all’ingresso della camera da letto dei padroni.
A montare l’armadio venne il portiere Karkèl, che portò con sé la figlioletta Marinka di sei anni, alla quale fu dato un cannello di zucchero d’orzo. Marinka tirava su col naso e guardava imbronciata il lavoro paterno, leccando il cannello e i suoi ditini appiccicosi.
Per un po’ tutto andò liscio. L’armadio cresceva gradatamente sotto gli occhi di Anna Ivànovna. A un tratto, quando ormai mancava solo di mettere la parte superiore, le venne in mente di aiutare Markèl. Salì sul fondo dell’armadio, assai alto rispetto al pavimento, perse l’equilibrio e andò a urtare contro la parete laterale che si reggeva soltanto su perni a incastro. Il nodo con cui Markèl aveva provvisoriamente fissato le fiancate si sciolse. Insieme alle assi che rovinarono sul pavimento, Anna Ivànovna cadde di schiena e riportò una dolorosa contusione.
«Eh, signora mia, “màtushka”,» esclamò Markèl accorrendo verso di lei, «ma che idea v’è venuta in mente, poverina. Non c’è niente di rotto? Tastatevi le ossa. Quel che conta è l’osso, la mollica non ha importanza, la mollica si rifà e, come si dice, serve alle signore per figurare.» «E tu non strillare, mostriciattolo!» si sfogò su Marinka che piangeva. «Pulisciti il moccio e vai dalla mamma. Ah, signora mia, “màtushka”, credevate forse che senza di voi non sarei riuscito a montare questo sciagurato armadio? Voi certo pensavate che io non sono che un portiere, e difatti è così, ma, sapete, la nostra è razza di falegnami, abbiamo sempre lavorato da falegname, noi. Non ci crederete, ma di questi mobili, di questi armadi e buffet ne sono passati tanti nelle nostre mani per verniciarli e qualcuno anche di mogano e di noce. O anche, per dirvene una, i partiti, nel senso di fidanzate ricche, che mi sono passate sotto il naso, con rispetto parlando! Una quantità! Colpa di tutto è l’articolo bottiglia, bevande alcoliche.»
Con l’aiuto di Markèl, Anna Ivànovna raggiunse la poltrona che egli le accostò e vi si sedette, ansando e strofinandosi la parte contusa. Markèl si diede a ricostruire dalle rovine. Quando ebbe sistemato il tetto, disse:
«Adesso, ancora gli sportelli e poi può andare all’esposizione.»
Ad Anna Ivànovna l’armadio non piaceva. Per il suo aspetto e le sue dimensioni faceva pensare a un catafalco o al mausoleo degli zar, e le incuteva un superstizioso terrore. Lo aveva soprannominato «Tomba di Askol’d»18, intendendo con questa definizione il cavallo di Oleg19, che aveva causato la morte del padrone. Donna di molte letture ma disordinate, confondeva due nozioni affini.
Da quella caduta ebbe inizio la predisposizione di Anna Ivànovna alle malattie polmonari.