10.

Quell’inverno Jura stava scrivendo la sua dissertazione sugli elementi nervosi della retina, per ottenere la medaglia d’oro universitaria. Benché avesse preso la laurea in medicina generale, conosceva l’occhio con la precisione di un futuro oculista.

In questo amore per la fisiologia della vista si manifestavano altri aspetti del suo carattere: l’inclinazione artistica, l’interesse per l’essenza estetica dell’immagine e per la struttura del pensiero logico.

Jura e Tonja in una slitta di piazza si recavano alla festa dell’albero di Natale in casa Sventickij. Avevano vissuto fianco a fianco i sei anni tra la fine dell’infanzia e l’adolescenza e si conoscevano a fondo: avevano abitudini in comune, un loro modo di scambiarsi veloci battute e di sbuffare appena per risposta. Era così che ora procedevano, in silenzio, serrando le labbra nel gelo, o scambiandosi solo qualche rapida osservazione. Ciascuno seguiva i suoi pensieri.

Jura aveva in mente la data del concorso che stava per scadere, e che doveva portare presto a termine la dissertazione. Ma in quell’allegra baraonda di fine d’anno che si vedeva per le strade, passava da un pensiero all’altro.

Alla facoltà di Gordon gli studenti pubblicavano una rivista stampata col poligrafo, di cui Gordon era il direttore. Jura da tempo gli aveva promesso un articolo su Blok. Per Blok deliravano tutti i giovani delle due capitali, e Jura e Misha ancora più degli altri.

Ma anche questo si cancellò presto dalla sua mente. La slitta continuava a correre e i due giovani, sprofondando il mento nel bavero e fregandosi le orecchie gelate, seguivano ognuno pensieri diversi. Pure in qualcosa i loro pensieri s’incontravano.

La scena di due giorni prima in camera di Anna Ivànovna li aveva trasformati. Era come se avessero riacquistato la vista e si fossero guardati con occhi nuovi.

Tonia, la compagna di sempre, quella realtà evidente che non richiedeva spiegazioni, si era rivelata quel che di più inaccessibile e complicato Jura potesse immaginare: una donna. Con un certo sforzo della fantasia, poteva pure concepire se stesso in vetta all’Ararat, eroe, profeta, vincitore, tutto quel che si volesse. Ma una donna, no.

Ed ecco che questo compito difficilissimo, superiore a ogni altro, se l’era preso sulle sue deboli spalle magroline Tonja (da quel momento, d’un tratto, era cominciata ad apparirgli esile e fragile, benché fosse una ragazza piena di salute). Nei confronti di lei, Jura fu preso da quell’ardente tenerezza e da quel timido stupore che costituiscono l’inizio di una passione.

La medesima cosa, con le naturali differenze, avveniva per Tonja.

Jura pensava che forse avevano fatto male a uscire. Purché non succedesse nulla durante la loro assenza. E rivide la scena. Avendo saputo che Anna Ivànovna stava peggio, si erano recati da lei già pronti per uscire e le avevano proposto di restare. Ma lei era ancora insorta decisamente e aveva preteso che si recassero alla festa. Jura e Tonja si erano avvicinati alla finestra, dietro la tenda, per vedere che tempo facesse. Tornando, i due lembi della tenda di tulle avevano aderito alla stoffa dei loro abiti nuovi e il leggero tessuto fu trascinato per alcuni passi da Tonja, come un velo di sposa. Quanti erano nella stanza risero, tanto simultaneamente, senza bisogno di parole, quella rassomiglianza era balzata agli occhi di tutti.

Jura si guardava in giro e vedeva le stesse cose che poco prima avevano colpito lo sguardo di Lara. La slitta produceva un rumore stranamente sonoro, e stranamente prolungata era l’eco che destava sotto gli alberi brinati dei giardini e dei viali. Le finestre bianche, di gelo e illuminate dall’interno somigliavano a preziosi scrigni di topazio schistoso color fumo. Dietro di esse ardeva dolcemente la vita natalizia di Mosca, scintillavano gli alberi, si affollavano gli invitati e gente in maschera giocava a rimpiattino, dimentica di tutto.

A un tratto Jura capì che Blok era questo: il fenomeno di Natale tutti i campi della vita russa, nella vita cittadina del Nord come nella più recente letteratura, sotto il cielo stellato della strada contemporanea e intorno all’albero illuminato nel salone di questo secolo. Pensò che non occorreva alcun articolo su Blok: sarebbe bastato semplicemente dipingere un’adorazione dei Magi russa, analogamente a quanto avevano fatto gli olandesi, con il gelo, i lupi e una cupa foresta di abeti.

Passarono per il Kamergerskij. Jura osservò un nero occhio formatosi nella crosta di ghiaccio di una finestra. Attraverso quell’occhio filtrava la luce di una candela che giungeva fino in istrada, quasi consapevole del proprio sguardo, come se spiasse loro che passavano e attendesse qualcuno.

«Una candela ardeva sul tavolo. Una candela ardeva…» sussurrò Jura fra sé. Era il nascere di qualcosa di confuso, di ancora informe. Forse il seguito sarebbe venuto da sé, senza sforzo. Ma non venne.

Il dottor Zivago
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