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Ma di tifo si ammalò molto più tardi. Nel frattempo, le condizioni della famiglia Zivago peggiorarono ancora. Erano all’estremo della miseria, e non ce la facevano più ad andare avanti. Jurij Andrèevich aveva ricercato il comunista vittima dell’aggressione, che egli aveva salvato diverso tempo prima. Questi aveva fatto quanto poteva, ma era scoppiata la guerra civile e ora il protettore di Jurij Andrèevich era sempre in viaggio. Inoltre, coerentemente alle proprie convinzioni, considerava naturali le difficoltà del momento e non confessava di patire lui stesso la fame.
Jurij Andrèevich aveva anche provato a rivolgersi allo speculatore della Barriera di Tver’. Ma nel frattempo, ogni traccia di lui era scomparsa e anche di sua moglie, ormai guarita, non si sapeva più nulla. Gli inquilini della casa erano cambiati. La Demin era al fronte e Jurij Andrèevich non riuscì a trovare la Galiullin, divenuta amministratrice.
Un giorno ricevette al prezzo ufficiale un quantitativo di legna che bisognava portarsi a casa dalla stazione Vindavskij. Seguiva a piedi il vetturino e la carrozza che trascinava quell’inattesa ricchezza lungo l’interminabile via Meshchanskaja. Quando, d’un tratto, la strada cominciò a non sembrargli più quella e s’accorse di barcollare, di non reggersi più sulle gambe. Capì che era venuto il suo momento: era il tifo. Il vetturino lo raccolse ormai a terra. Non riuscì mai a ricordare come lo avessero portato a casa, adagiato in qualche modo sulla legna.