11.
Altra era la storia di Vasja. Suo padre era stato ucciso in guerra e la madre lo aveva mandato a Pietroburgo, presso lo zio, perché imparasse un mestiere.
Quell’inverno, lo zio, proprietario di un negozio di ferramenta nell’Apràksinyj Dvor, era stato chiamato al soviet per fornire alcuni chiarimenti. Aveva sbagliato porta e, invece di entrare nella stanza indicata sull’avviso, era capitato in quella accanto. Era appunto l’anticamera della commissione per il lavoro obbligatorio. C’era una gran folla. Quando la gente convocata alla sezione con un invito ebbe raggiunto un numero sufficiente, i soldati rossi circondarono i presenti, li portarono a pernottare nelle caserme Seménovskie e, il mattino seguente, li accompagnarono alla stazione per caricarli sul treno di Vòlogda.
La notizia che così gran numero di persone era stato trattenuto si diffuse in città e, il giorno dopo, molti familiari accorsero alla stazione a salutare. Anche Vasja e la zia andarono a congedarsi dallo zio.
Questi implorò la sentinella di lasciarlo uscire un momento per riabbracciare la moglie. La sentinella, lo stesso Voronjùk, che ora scortava il gruppo del quattordicesimo vagone, non aveva voluto dare il suo consenso senza la garanzia che l’uomo sarebbe ritornato. Marito e moglie avevano allora proposto di lasciare il nipote come ostaggio e Voronjùk aveva accettato. Così Vasja era stato condotto dentro il recinto, mentre lo zio ne era stato fatto uscire. Né zio né zia si fecero più vivi.
Quando si scoprì l’inganno, Vasja, che non lo sospettava lontanamente, cominciò a piangere, si gettò ai piedi di Voronjùk e gli baciò le mani supplicandolo di lasciarlo andare. Ma non valse a nulla. Voronjùk non era implacabile per durezza di carattere, ma i tempi erano pericolosi, gli ordini severissimi e la sentinella rispondeva con la vita del numero di persone che aveva in consegna. E così, Vasja era rimasto nell’«armata del lavoro».
Il cooperatore Kostoèd-Amurskij, che aveva goduto della stima di tutti i carcerati sotto il governo zarista come ora sotto il nuovo regime e che era sempre amico di tutti, aveva più volte richiamato sull’assurda situazione di Vasja l’attenzione del caposcorta. Ma questi, pur riconoscendo l’evidenza dell’equivoco, sosteneva che difficoltà formali non permettevano di esaminare il caso durante il viaggio, e si riprometteva di chiarirlo all’arrivo.
Vasja era un bel ragazzo con un volto dai lineamenti regolari, come quelli che i pittori danno agli scudieri degli antichi zar e agli angeli, di una purezza e di un candore eccezionali. Il suo divertimento preferito era di sedere ai piedi degli adulti, con le ginocchia fra le braccia, e ascoltare a testa in su quello che loro dicevano o raccontavano. Allora, dal gioco dei muscoli del suo volto, o per trattenere le lacrime pronte a sgorgare o per reprimere il riso che lo soffocava, si sarebbe potuto ricostruire il contenuto dei discorsi. L’argomento della conversazione si rifletteva nel viso di quel ragazzo sensibile come in uno specchio.