16.
Trascorsero così due o tre mesi. Un giorno, in ottobre, Jurij Andrèevich disse a Larisa Fëdorovna:
«Sai, pare che dovrò lasciare il posto. E’ sempre la solita storia. Comincia nel migliore dei modi: ‘Noi siamo sempre contenti del lavoro onesto. E se avete delle idee, specie se nuove, eccetera, eccetera, figuratevi! Siate il benvenuto. Lavorate, lottate, sperimentate.’
«Alla prova dei fatti, per idee s’intende soltanto la loro esteriorità, il contorno verbale destinato a esaltare la rivoluzione e le autorità costituite. E’ deprimente. Io non ne sono capace. Forse, nella realtà, hanno ragione. Io non sono con loro. Ma mi è difficile conciliarmi con l’idea che loro siano eroi, anime eccelse e io un’animuccia meschina che sta per l’oscurantismo e l’asservimento dell’uomo. Hai mai sentito nominare Nikolàj Vedenjapin?»
«Certo. Ancora prima di conoscere te; e tu stesso me ne hai parlato molte volte. Lo ricorda spesso anche Sìmochka Tuncev, che è una sua seguace. Ma, a mia vergogna, non ho letto i suoi libri. Non mi piacciono le opere esclusivamente di filosofia. Secondo me, la filosofia dev’essere un sobrio condimento dell’arte e della vita. Occuparsi di sola filosofia è altrettanto strano che mangiare solo rafano. Scusami, però, ti ho interrotto con le mie sciocchezze.»
«No, al contrario. Sono d’accordo con te. E’ un giudizio che condivido. Sì, dunque lo zio. Forse è vero che la sua influenza mi ha guastato. Ma proprio loro gridano a una voce: che diagnostico geniale! che diagnostico geniale! Ed è vero. E’ raro che io sbagli nel riconoscere una malattia. Ma questa, capisci, è proprio quella intuizione che loro odiano tanto, mentre io ne ho fin troppa; intuizione, ossia la conoscenza integrale che abbraccia d’un colpo tutto il quadro. Mi assilla il problema del mimetismo, dell’adattamento esterno degli organismi alla colorazione dell’ambiente circostante. E’ qui, in questo adattamento cromatico, che si nasconde il sorprendente passaggio dell’interiore nell’esteriore. Ho osato accennarne nelle mie lezioni e il commento è stato: ‘Idealismo, misticismo. La filosofia della natura di Goethe, neoschellinghianesimo.’ Bisogna che me ne vada. Chiederò io stesso di essere licenziato dal Gubzdràv e dall’istituto, mentre cercherò di restare all’ospedale finché non mi cacceranno. Non ti voglio spaventare, ma a volte ho la sensazione che un giorno o l’altro sarò arrestato.»
«Per carità, Jùrochka. Siamo ancora lontani da questo, per fortuna. Ma è vero, una maggior prudenza non fa male. Da quanto ho potuto notare, l’insediamento di ogni potere nuovo attraversa varie tappe. La prima è il trionfo della ragione, lo spirito critico, la lotta contro i pregiudizi. Poi viene il secondo periodo. Prendono il sopravvento le forze oscure di ‘quelli che aderiscono’, i simpatizzanti per convenienza. E allora cominciano le denunce, i sospetti, gli intrighi, gli odi. E tu hai ragione, noi ci troviamo al principio della seconda fase. Non occorre andar lontano a cercare gli esempi. Hanno trasferito qui, da Chodatskoe, nel collegio del tribunale rivoluzionario, due vecchi forzati politici, ex operai, Antipov e un certo Tiverzin. Tutti e due mi conoscono benissimo, uno di loro è addirittura il padre di mio marito. E’ solo da quando sono stati trasferiti qui, da poco, io ho cominciato a tremare per la vita di Kàten’ka e per la mia. Da loro ci si può aspettare di tutto. Antipov non mi vuol bene e con gente del genere può benissimo capitare che un bel giorno tolgano di mezzo me e perfino Pasha, in nome della suprema giustizia rivoluzionaria.»
Questi discorsi ebbero presto un seguito. Era stata effettuata, nel frattempo, una perquisizione notturna nella casa n° 48 della Màlaja Bujànovka, accanto all’ambulatorio, della vedova Goregljadov. Erano stati scoperti un deposito di armi e un’organizzazione controrivoluzionaria. Molte persone furono arrestate e in città continuarono le perquisizioni e gli arresti. La gente mormorava che alcuni dei sospetti avevano passato il fiume e si sentivano considerazioni come queste: «A che serve? Il fiume non basta, ci sono fiumi e fiumi. A Blagovèkensk sull’Amùr, per esempio, su una riva c’è lo Stato sovietico e dall’altra parte la Cina. Ti tuffi in acqua, nuoti, e addio! Chi si ricorda più di te? Quello sì che si può dire un fiume. E’ tutt’un altro discorso.»
«L’atmosfera s’intorbida,» disse Lara. «E’ passato il tempo in cui ci sentivamo sicuri. Finiranno con l’arrestarci, te e me. Che ne sarà allora di Katen’ka? Io sono la mamma, devo prevenire questa sciagura e trovare una via d’uscita. Devo prendere subito una decisione. Quando ci penso mi sembra d’impazzire.»
«Pensiamoci, allora, vediamo. Dove si può trovare aiuto? C’è la possibilità di parare la minaccia? E’ qualcosa di fatale?»
«Fuggire non è possibile, e, poi, dove? Ma ci si può ritirare in qualche luogo appartato, fuori mano. Andare a Varykino, per esempio. Penso alla casa lì. E’ abbastanza distante e tutto è in abbandono. Laggiù non daremmo nell’occhio come qui. Si avvicina l’inverno. Mi sentirei di affrontarlo laggiù. Prima che ci raggiungano, avremo guadagnato un anno di vita ed è già qualcosa. A mantenere i contatti con la città ci aiuterebbe Samdevjatov. Forse accetterebbe anche di nasconderci. Che ne dici? E’ vero, là non c’è anima viva, è un deserto, un posto da far paura. Almeno così era in marzo, quando ci sono andata. E dicono che ci siano i lupi. Terribile. Ma gli uomini, specie gli uomini come Antipov o Tiverzin, oggi sono più terribili dei lupi.»
«Non so che dirti. D’altra parte sei tu la prima a spingermi a partire per Mosca, a insistere perché non rimandi il viaggio. Ora è più facile, mi sono informato alla stazione. Ai venditori clandestini evidentemente non fanno più caso e, a quanto pare, non arrestano più chiunque si trovi su un treno senza biglietto. Sono stanchi di fucilare, fucilano di rado. E io sono preoccupato del fatto che tutte le mie lettere a Mosca rimangono senza risposta. Bisogna che arrivi laggiù e sappia che ne è stato dei miei. Sei tu la prima a dirmelo. Ma come devo intendere allora il tuo discorso su Varykino? E’ possibile che pensi di avventurarti senza di me in quel luogo spaventoso?»
«No, senza di te è inconcepibile, si capisce.»
«E d’altra parte mi vuoi mandare a Mosca.»
«Sì, mi pare necessario.»
«Senti, ho un magnifico piano. Andiamo tutti a Mosca. Tu e Kàten’ka partite con me.»
«A Mosca? Sei impazzito. Per quale motivo? No, devo restare. Io devo essere pronta qui, nelle vicinanze. Qui si decide la sorte dì Kàten’ka. Devo aspettare per vedere come si mettono le cose e trovarmi a portata di mano, in caso di bisogno.»
«Allora pensiamo a Kàten’ka.»
«Di tanto in tanto viene a trovarmi Sìmùshka, Sima Tuncev. Giorni fa abbiamo parlato anche di te.»
«Lo so. La vedo spesso in casa.»
«Mi meraviglio di te. Dove hanno gli occhi gli uomini?. Al tuo posto mi sarei già innamorato di lei. Non hai visto che grazia, che distinzione! Alta, bella, intelligente, istruita, buona, e così precisa nei suoi giudizi.»
«Il giorno del mio arrivo dalla prigionia mi ha fatto da barbiere sua sorella, la sarta, Glafira.»
«Lo so. Vivono insieme con la maggiore, Avdot’ja, la bibliotecaria. E’ un’onesta famiglia di lavoratrici. Vorrei pregarle che, in caso estremo, se io e te fossimo arrestati, prendano Kàten’ka con loro. Non ho ancora deciso.»
«Solo in caso estremo. Prima d’arrivare a una simile sciagura, se Dio vuole, abbiamo ancora tempo.»
«Dicono che Sima sia un po’ pazza. E in realtà non si può considerare una donna del tutto normale. Ma è perché è così profonda, così originale. E’ straordinariamente colta. Non da intellettuale, ma come può esserlo il popolo. C’è una grande affinità di idee fra te e lei. Le affiderei a cuor leggero l’educazione di Katja.»