15.
L’estate arrivò e trascorse senza che ci se ne accorgesse. Il dottore guarì. Provvisoriamente, nella speranza di un’eventuale partenza per Mosca, prese servizio in tre posti. La rapida svalutazione del denaro costringeva allora a procurarsi vari impieghi.
Si alzava all’alba, usciva nella via Kupèceskaja e la discendeva, passando davanti al cinematografo Gigant, fino all’ex tipografia «All’armata cosacca degli Urali», ora ribattezzata «Il compositore rosso». All’angolo della via Gorodskaja, alla porta della Direzione degli Affari, si trovava davanti alla tabella «Ufficio reclami.» Attraversava obliquamente la piazza e sbucava nella Màlaja Bujànovka. Oltrepassando l’officina Stanhope per il cortile posteriore dell’ospedale entrava nell’ambulatorio militare, il luogo del suo principale lavoro.
Metà del tragitto si svolgeva sotto alberi frondosi che si protendevano sulla strada, accanto a bizzarre casette, per lo più in legno, con tetti a punta, gli steccati, i cancelli ornati e le imposte intagliate.
Nelle vicinanze dell’ambulatorio, nell’ex giardino della commerciante Goregljadov, sorgeva una curiosa e bassa casa di antica foggia russa. Era decorata di maioliche sfaccettate a smalto, con le piccole piramidi della sfaccettatura all’infuori, a somiglianza degli antichi palazzi dei boiardi di Mosca.
Dall’ambulatorio, tre o quattro volte ogni decade, egli si dirigeva nella via Stàraja Miàsskaja, alle sedute dell’Oblzdràv82 di Jurjatin, nell’ex casa Lighetti.
In tutt’altro quartiere, assai lontano, si trovava la casa regalata alla città dal padre di Anfìm, Efìm Samdevjatov, in memoria della moglie, morta dando alla luce Anfìm. Vi aveva sede l’Istituto di ginecologia e ostetricia fondato da Samdevjatov. Ora vi si svolgevano i Corsi accelerati medico-chirurgici «Rosa Luxemburg». Jurij Andrèevich vi teneva lezioni di patologia generale e di altre materie facoltative.
Da tutte queste occupazioni rientrava a notte inoltrata, stanco e affamato, e trovava Larisa Fëdorovna nel pieno delle faccende domestiche, al focolare, o davanti al mastello. In questo aspetto prosaico e quotidiano, arruffata, con le maniche rimboccate e i lembi della gonna appuntati sui fianchi, intimidiva quasi, toglieva il respiro con la sua regale bellezza, ancora più evidente che se Jurij Andrèevich l’avesse sorpresa abbigliata per un ballo, più imponente sui tacchi alti, in un ricco abito scollato e frusciante.
Larisa cucinava o lavava: poi, con l’acqua del bucato, lavava i pavimenti o, tranquilla e meno affannata, stirava e aggiustava la biancheria propria, del dottore e di Kàten’ka. Oppure, dopo aver sbrigato la cucina, il bucato e le pulizie, faceva lezione a Kàten’ka. O anche, immergendosi nei suoi manuali, si dedicava alla propria rieducazione politica, prima di riprendere a insegnare nella nuova scuola riformata.
Quanto più intime gli divenivano lei e la bambina, tanto meno Jurij Andrèevich si permetteva di trattarle come propri familiari e tanto più rigoroso era il divieto che gli imponevano il senso del dovere verso i suoi e il dolore per la fedeltà violata. In questa riserva non c’era nulla di offensivo per Lara e Kàten’ka. Al contrario, tale atteggiamento comportava un profondo rispetto per loro che escludeva ogni indiscreta dimestichezza.
Da un tale sdoppiamento Jurij Andrèevich era spesso tormentato e ferito. Vi si era abituato solo come ci si può abituare a una ferita non rimarginata, che si apre continuamente.