23.
La mattina dopo Antonina Aleksàndrovna disse:
«Lo sai che sei proprio curioso, Jura? Sei pieno di contraddizioni. Di solito, se vola una mosca, ti svegli e non chiudi più occhio fino al mattino; qui c’è stato un baccano, una confusione, una baraonda del diavolo, e tu che dormivi come un ghiro. Stanotte sono scappati il cassiere Pritul’ev e Vasja Brykin. Sì, pensa! Anche la Tjagunòv e la Ogryzkòv. Aspetta, non è ancora tutto. Anche Voronjùk. Sì, sì, è fuggito, scappato. Immagina un po’. Ma nessuno sa se sono scappati tutti insieme od ognuno per conto suo, e chi è scappato o prima e chi dopo. Un mistero. Sì, certo, Voronjùk naturalmente, una volta scoperta la fuga degli altri, avrà deciso di sottrarsi alla sua responsabilità. Ma gli altri? Se ne sono andati tutti di loro volontà o qualcuno è stato fatto fuori? Si sospettano le donne, per esempio. Ma è la Tjagunòv che ha ucciso la Ogryzkòv o il contrario? Chi lo sa. Il caposcorta correva da un capo all’altro del treno e gridava: ‘Come, date il segnale di partenza? In nome della legge esigo che il convoglio non si muova finché non siano stati catturati i fuggiaschi.’ Ma il capotreno non ha voluto saperne: ‘Siete impazzito,’ gli ha detto. ‘Io trasporto riserve per il fronte, precedenza assoluta. Cosa volete, che aspetti la vostra banda di pidocchiosi! Che idee!’ E tutti e due, capisci, sotto a prendersela con Kostoèd. Come mai lui, un cooperatore, un uomo di raziocinio, stava qui e non ha trattenuto quel soldato, un povero ignorante, un incosciente, da un gesto così pazzesco? ‘E sei pure populista!’ gli dicono. Ma Kostoèd, si capisce, gli ha risposto per le rime. ‘Interessante!’ gli fa: ‘Allora, secondo voi, è il prigioniero che deve sorvegliare la guardia? E’ come dire alla gallina di cantare al posto del gallo.’ E io, a darti urtoni nel fianco e nelle spalle: ‘Jura,’ ti gridavo, ‘alzatì, sono scappati!’ Macché! neppure il cannone ti avrebbe svegliato. Ma scusa, continuerò poi. Ora…. Non ce la faccio più… Papà, Jura, guardate che meraviglia!»
Oltre il rettangolo dei finestrino verso cui, sdraiati, tendevano la testa, si apriva un territorio sconfinato, interamente sommerso dalla piena. Il fiume aveva straripato e l’acqua arrivava fin sotto il terrapieno della ferrovia. Guardando dall’altezza dei pancacci, per un effetto ottico sembrava che il treno scivolasse addirittura sull’acqua, alla cui superficie, in pochissimi punti venata di un azzurro ferrigno, il calore dei mattino faceva balenare lucidi riflessi oleosi, come una cuoca unge con una penna intinta nell’olio la crosta di una frittella ancora calda.
In quel lago, che sembrava non avesse sponde, affondavano insieme ai prati, ai fossati e agli arbusti, cumuli di nuvole bianche.
In mezzo all’acqua affiorava una sottile striscia di terra, piena di alberi che, con la loro immagine capovolta, apparivano sospesi fra il cielo e la terra, fra la terra e il cielo.
«Le anitre selvatiche! Una nidiata!» gridò Aleksàndr Aleksàndrovich.
«Dove?»
«Vicino all’isola. No, non là. Più a destra, a destra. Ah, diavolo! Sono volate via, le hanno spaventate.»
«Ah, sì, vedo. Devo dirvi una cosa, Aleksàndr Aleksàndrovich, ve ne parlerò un’altra volta. I nostri fuggiaschi hanno fatto bene a decidersi. E, probabilmente, non c’è stato nessun delitto. Sono semplicemente fuggiti, come fugge quest’acqua.»