2.
Un po’ più avanti, annotò:
«Ci siamo stabiliti nella parte posteriore dell’antica casa padronale, in due stanze di una dipendenza di legno, che negli anni dell’infanzia di Anna Ivànovna era destinata da Krueger alla servitù più scelta, alla sarta di famiglia, all’economa e alla balia in pensione.
«La costruzione era quasi cadente, ma l’abbiamo riparata abbastanza presto. Con l’aiuto di uno pratico, abbiamo modificato la disposizione del tubo della stufa che dà nelle due stanze, e così otteniamo maggior calore.
«In questo punto del parco le tracce della vecchia sistemazione sono scomparse sotto la nuova vegetazione che ha invaso tutto. Ora, d’inverno, quando intorno tutte le cose sono morte e le vive non le nascondono più, i tracciati d’una volta riappaiono più chiari sotto la neve.
«Siamo stati fortunati. Abbiamo avuto un autunno tiepido e asciutto. Siamo riusciti a raccogliere le patate prima della pioggia e del sopraggiungere del freddo. Tolto quel che dovevamo a Mikùlicyn e che gli abbiamo restituito, ci restano circa venti sacchi di patate. Sono tutte nel cassone centrale della cantina, protette da vecchie coperte e dal fieno. Sempre nello scantinato abbiamo riposto due botti di cetrioli, salati da Tonja, e altrettante di crauti. I cavoli freschi sono appesi ai pilastri, pianta contro pianta, legati a coppia. Nella sabbia asciutta abbiamo sotterrato le provviste di carote. C’è anche una discreta provvista di rafani, di barbabietole e di rape, e, in casa, abbiamo molti piselli e fagioli. La legna nella rimessa basterà fino a primavera. D’inverno io amo il tiepido alitare dello scantinato, che investe con odore di radici, di terra e di neve, quando di mattina presto, prima dell’alba, si solleva la ribalta della botola, facendosi lume con la fioca lanterna che minaccia ogni momento di spegnersi.
«Si esce dalla rimessa che non è ancora giorno. Basta che la porta cigoli o che si starnutisca inavvertitamente, o solo che la neve scricchioli sotto i piedi, e dal lontano orto, dove i torsi di cavoli spuntano di sotto il bianco, balzano fuori e fuggono le lepri, le cui tracce leggere solcano in lungo e in largo la neve. E d’intorno, uno dopo l’altro, latrano a lungo i cani. Gli ultimi galli hanno già cantato, hanno finito per oggi. E comincia ad albeggiare.
«Oltre che dalle orme delle lepri, la sconfinata distesa di neve è segnata da quelle delle linci che si allineano regolarmente come perle infilate, buca dopo buca. La lince cammina come il gatto, una zampa dietro l’altra, percorrendo, a quel che si dice, molte «verste» in una notte.
«Qui gli danno la caccia con delle tagliole, ma invece delle linci, restano prese in trappola solo povere lepri, che poi vengono tolte assiderate, congelate e mezzo sepolte dalla neve.
«Da principio, durante la primavera e d’estate, è stato piuttosto duro non ne potevamo più. Ora, in queste serate invernali, riposiamo. Ci possiamo raccogliere attorno alla lampada grazie ad Anfìm Efìmovich, che ci fornisce il petrolio. Le donne cuciono o lavorano a maglia, io o Aleksàndr Aleksàndrovich leggiamo ad alta voce. La stufa arde e io, riconosciuto ormai come capo fumista, bado a chiudere al momento giusto il tiraggio, per evitare perdita di calore. Se un tizzone che brucia male blocca il tiraggio, di corsa lo porto fumante fuori dalla porta e lo getto lontano. E il tizzone, seminando scintille, vola nell’aria come una fiaccola ardente, illumina attorno un tratto del nero parco addormentato e i rettangoli bianchi del prato per spegnersi sfrigolando su un mucchio di neve.
«Letture a non finire di “Guerra e pace”, dell’“Eugenio Onegin” e degli altri poemi di Pushkin. Leggiamo nella traduzione “Rosso e nero” di Stendhal, “Le due città” di Dickens e i racconti brevi di Kleist.»