18.
Erano i giorni della Presnja15. La loro casa venne a trovarsi in piena zona d’insurrezione. Pochi passi più in là, sulla Tverskaja, stavano costruendo una barricata; si vedeva tutto dalla finestra dell’albergo. Dal loro cortile portavano grandi secchi d’acqua, che versavano sulla barricata per cementare con una corazza di ghiaccio le pietre e i rottami ammassati.
Il cortile vicino era il punto di raduno degli insorti, qualcosa come un centro sanitario o di rifornimento.
Passarono due ragazzi. Lara li conosceva entrambi: uno, Nika Dudorov, era un amico di Nadja, e da lei l’aveva incontrato la prima volta. Apparteneva allo stesso tipo di Lara, un ragazzo diritto, fiero, taciturno. Non era diverso da lei e non la interessava.
L’altro era Antipov, allievo dell’istituto tecnico: viveva presso la vecchia Tiverzin, la nonna di Olia Demin. Frequentando Marfa Gavrìlovna, Lara aveva cominciato a notare l’impressione che produceva sul ragazzo. Pasha Antipov era ancora così infantilmente candido da non nascondere la felicità che quegli incontri gli procuravano, come se Lara fosse un boschetto di betulle, durante le vacanze, con l’erba pulita e le nuvole, e lui potesse impunemente esprimere il proprio rapito entusiasmo, senza paura d’essere deriso.
Appena ebbe notato l’influenza che esercitava su di lui, inconsciamente Lara cominciò ad approfittarne. Ma di plasmare quel carattere dolce e malleabile si sarebbe occupata seriamente molti anni dopo, in un’epoca assai posteriore della loro amicizia, quando Pasha già sapeva di amarla perdutamente e che ormai la vita non gli concedeva più alcuno scampo.
I ragazzi giocavano al più terribile e adulto dei giochi, alla guerra, a una guerra cui già solo parteciparvi voleva dire la forca o il confino. Ma il modo in cui portavano annodate le estremità dei loro cappucci rivelava come fossero ancora dei fanciulli, col papà e la mamma a casa. Lara li guardava come una grande guarda i bambini. Sui loro pericolosi divertimenti spirava un’aria d’innocenza, che da essi si comunicava a tutto il resto: alla sera di gelo, che si era ricoperta di un’ispida brina, così densa da sembrare nera; al cortile velato dì ombre azzurre; alla casa di fronte, dove si rifugiavano i ragazzi; e soprattutto ai colpi di rivoltella che senza tregua schioccavano da quella parte: «I ragazzi sparano,» pensò Lara. E non si riferiva solo a Nika e a Patulja, ma a tutta la città che sparava. «Bravi ragazzi, onesti,» pensò. «Sono bravi. Per questo sparano.»