LE SCULTURE EQUESTRI E I
CAPOLAVORI
SCONFITTA L’ULTIMA RESISTENZA DEI GALLI nella pianura padana con la presa di Bononia, l’attuale Bologna, nel 189 prima di Cristo, Roma intraprese la costruzione della via che tuttora collega Rimini a Piacenza passando appunto da Bologna. Il nome della strada proviene dal console Marco Emilio Lepido, che ne fu il primo promotore. Piacenza da allora vive la sua ambiguità: è limite estremo dell’Emilia ma pure porta d’accesso sul Po per la Lombardia. Diventa città cerniera e ne conserva i documenti architettonici, dalla torre ottagonale carolingia della basilica di Sant’Antonio, forse la più intatta del IX secolo, quella che ricorda il periodo nel quale era capitale ducale longobarda, alla successiva cattedrale romanica di Santa Maria Assunta e Santa Giustina. Ma assume la sua gloria massima quando diventa capitale del ducato che papa Paolo III regala nel 1545 al figlio Pier Luigi, avuto quand’ancora era solo cardinale. E in gloria e memoria dei successori vengono piazzati dinnanzi al broletto gotico i due primi capolavori della scultura barocca italiana, le statue equestri che Ranuccio Farnese commissiona al giovane toscano Francesco Mochi per celebrare nel 1612 se stesso e il padre Alessandro. Da soli questi due esemplari dei primi svolazzi plastici del bronzo pubblico moderno meritano la visita.
Ancor più bella in dialetto piacentino, Piasëinsa evoca nel suo nome la dolcezza del vivere che si può assaporare nel Facsal, la passeggiata nel verde del centro storico sopra ciò che è rimasto delle mura cittadine: il nome Facsal è una storpiatura dei Vauxhall Gardens di Londra, così popolari nel XIX secolo da diventare comun denominatore per gli altri giardini alberati.
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da Milano: 70 chilometri