VENEZIANI, NON SI PASSA
MA CHE BEL CASTELLO, marcondirondirondello, lo potrete proprio dire dinnanzi al castello di Soncino. In quella losanga territoriale delineata dalle punte di Monza, Bergamo, Brescia e Piacenza, Soncino è collocata esattamente in mezzo, questione che oggi potrebbe sembrare di poco conto ma che, quando gli uomini erano in armatura e si davano allegramente fendenti feroci, era tutt’altro che ininfluente. Il castello era appena di là dall’Adda per i milanesi, in un territorio che faceva gola ai veneziani, e si capisce quindi che il grande Sforza Francesco, subito dopo la pace di Lodi che stabiliva nel 1454 i confini con gli appetiti della Serenissima, facesse un grande sforzo per consolidare le sue torri che già nel Dugento erano servite a difendere quella grassa e ricca campagna. L’imperatore Carlo V fece di Soncino un marchesato e del castello un luogo capitale. Passò l’edificio negli anni in proprietà agli Stampa (divenuti poi Casati Stampa), quelli del bel palazzo di via Torino a Milano. E appena unita l’Italia fu restaurato da Luca Beltrami che era allora uno dei promotori del neomedievale a tutti i costi, il Beltrami del castello Sforzesco di Milano per intenderci, che fece di Soncino un oggetto ben più medievale ancora e forse dal sapore più autentico. Passeggiata autenticamente romantica ed evocativa, compresa la qualità dell’alimentazione campestre.
Tra gli affreschi di età sforzesca troviamo la figura di un cane seduto sotto un albero, simbolo di tranquillità fino a quando non viene provocato. L’emblema è tradizionalmente attribuito a Bernabò Visconti, e poi mantenuto anche dallo Sforza, quale legittimazione di continuità dinastica: anche una delle formelle legate all’araldica visconteo-sforzesca del Museo del Duomo di Milano ha lo stesso soggetto.
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da Milano: 60 chilometri