La questione va presa sul serio in quanto la narra nientemeno che Tito Livio, al quale sarebbe irrispettoso negare il credito.

Il re dei Biturgi, tale Ambigato che combatteva dai due lati un po’ come vedeva Giano, guardava e riguardava il proprio potere sia dal lato dei Galli celti sia da quello dei Romani, e fu proprio come Giano grande iniziatore: mandò suo nipote a colonizzare la Cisalpina. Secondo la tradizione altrettanto mitica del Ver Sacrum, per il quale ogni tanto lo sciame troppo popoloso era costretto a sciamare, suo nipote Belloveso approdò nella piana dove s’intrecciavano tre fiumiciattoli, il Seveso, l’Olona e il Lambro. Arrivò egli con compagni a cavallo appartenenti alle mitiche tribù dei Biturigi, Arverni, Sènoni, Edui, Ambarri, Carnuti e Aulerci. Sconfisse gli Etruschi che ambivano a vivere da quelle parti e scoprì una scrofa di cinghiale a pelo particolarmente lungo che venne chiamata lanuta. Lì impiantò la sua futura città, considerando la faccenda estremamente propizia. Il nome della città potrebbe quindi provenire sia da medio lanum (in mezzo alla lana), il che sarebbe comprovato da un bassorilievo ancora presente sul broletto, sia dal celtico medhe-lan (la città di mezzo, quella fra i fiumiciattoli, laddove i Celti ponevano lo spazio sacro in una radura).

In mezzo agli affari la città ci stette sin dall’inizio, ma ebbe la sua vera fortuna allorché divenne romana nel III secolo prima dell’era cristiana e capitale occidentale dell’impero romano, nel III secolo dell’era moderna sotto Diocleziano. Sempre città di mezzo si fece centrale quando elesse vescovo sant’Ambrogio e quando allora connetteva l’Europa renana al Nord Africa dal quale proveniva sant’Agostino. Ebbe un ruolo fondamentale nel Medioevo, a tal punto che non appena Barbarossa la sconfisse ne portò i simboli maggiori, le reliquie dei Re Magi, a Colonia in Germania. Fece sognare a Gian Galeazzo Visconti, il ricchissimo padrone della Lombardia e sposo della povera figlia d’un re di Francia immiserita dalla Guerra dei cent’anni, di diventare re d’una Italia che non ancora esisteva, quando egli estendeva i suoi domini da Belluno a Pisa e Assisi. Di quell’ambizione rimane la Fabbrica del Duomo di Milano e la mirabile Certosa di Pavia. Rimase allora pure, per via di quel matrimonio, il sogno francese di diventarne l’erede con Carlo VIII, e quello successivo di Carlo V d’esserne duca. Divenne infatti francese, poi spagnola, poi ancora austriaca e infine indipendente fulcro delle energie che portarono all’Unità d’Italia. Fu prima capitale dell’industria e del Futurismo. Ma prima ancora fu fulcro della riforma della Chiesa voluta dal cardinale Carlo Borromeo e poi da suo cugino il cardinale Federico, al quale deve tuttora quel senso di understatement, di garbo e di apparente frugalità che ne costituisce il mito e il mistero.

La buona strada: 127 passeggiate d’autore a Milano, in Lombardia e dintorni
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