VEDI SANT’AMBROGIO E CAPISCI COS’È
MILANO
NON SI PUÒ CAPIRE MILANO senza avere guardato con attenzione la massa architettonica della basilica di Sant’Ambrogio e il cortile con i quattro portici che la precede, quello una volta riservato ai catecumeni. Quell’architettura di mattoni ha una capacità di porsi sulla terra con un senso di staticità tellurica e solida che corrisponde al meglio dell’anima altrettanto solida dei milanesi e che Marco Zanuso ha ripreso alla perfezione, in versione moderna, nel progetto del Piccolo Teatro. Ed è tuttora l’esempio maggiore rimasto d’uno stile romanico in fase di formazione nei secoli finali del primo millennio. Ma è la storia che raccontano le sue stesse pietre a commuovere, da quella delle due torri a lungo in competizione l’una con l’altra, quella alta episcopale dei canonici e quella bassa monastica benedettina, ognuna con i suoi privilegi, i suoi pellegrini e ovviamente le sue offerte, a quella delle testimonianze interne alla basilica, il ciborio del vescovo Angilberto II, inizio del IX secolo, il paliotto d’oro dell’altare suo contemporaneo e sicuramente massimo capolavoro dell’oreficeria d’allora e forse di tutti i tempi, le reliquie nella cripta, il misterioso serpente di bronzo detto di Mosè. E poi, al di là di inutili polemiche, l’eccellente nuova pavimentazione progettata pochi anni or sono da Caccia Dominioni, un esemplare tentativo di restituire la morbidezza dei pavimenti quando prendono la patina dei secoli.
Nehushtan, Necustàn alla milanese, è il serpente di Mosè che si innalza su una colonna di porfido nella parte sinistra della basilica: gli era attribuito il potere di guarire i vermi e i malanni intestinali. Alla fine dei tempi scenderà dalla colonna per raggiungere la valle di Giosafat, il luogo dell’Ultimo Giudizio.