Due lettere al «Daily Chronicle»

 

 

 

 

Il caso del secondino Martin: alcune crudeltà della vita di prigione1

 

Al direttore del «Daily Chronicle»

 

Signore, apprendo con vivo disappunto dalle colonne del suo giornale che il secondino Martin, del carcere di Reading, è stato licenziato dai Sovrintendenti della Prigione perché ha dato alcuni biscotti a un bambinetto affamato. Io stesso ho visto i bambini il lunedì prima di essere rilasciato. Erano stati appena arrestati e stavano in fila nello stanzone centrale della prigione nelle loro divise da carcerati, portavano le lenzuola sotto braccio prima dell’invio alle celle a loro destinate. Mi capitò di passare in una delle gallerie nel parlatorio, dove dovevo avere un colloquio con un amico. Erano dei bambinetti piuttosto minuti, il più piccolo – quello al quale il secondino diede i biscotti – era un frugoletto minuscolo, per il quale non erano stati capaci di trovare vestiti abbastanza piccoli. Ovviamente avevo visto molti bambini in prigione durante i due anni nei quali vi ero rimasto. La prigione di Wandsworth in particolare ospitava sempre un gran numero di bambini. Ma il bambinetto che vidi quel pomeriggio del 17 maggio, a Reading, era più piccino di qualsiasi altro. Non occorre che io racconti la mia terribile angoscia al vedere questi bambini a Reading, in quanto conoscevo quale era il trattamento in serbo per loro. È incredibile la crudeltà che viene esercitata, di giorno e di notte, sui bambini nelle carceri inglesi, eccetto per coloro che ne sono stati testimoni e hanno piena coscienza della brutalità del sistema.

Al giorno d’oggi la gente non comprende cos’è la crudeltà. La considerano una sorta di terribile passione medievale, e la collegano con quella razza di uomini come Ezzelino da Romano e altri, ai quali infliggere di proposito un dolore dava una vera follia di piacere. Ma uomini dello stampo di Ezzelino sono semplicemente tipi anormali di individualismo perverso. La crudeltà ordinaria è semplicemente stupidità; è completa mancanza di immaginazione; è il risultato di sistemi stereotipati ai giorni nostri, di regole ferree e di stupidità. Dovunque esista accentramento lì c’è stupidità. Ciò che è disumano nella vita moderna è la burocrazia. L’autorità è distruttiva tanto per coloro che la esercitano quanto per quelli che la subiscono. La Direzione della Prigione e il sistema che la mantiene sono le fonti primarie della crudeltà che viene esercitata su un bambino in prigione. Le persone che sostengono il sistema hanno intenzioni nobilissime. Anche coloro che lo mantengono hanno intenzioni umane. La responsabilità viene trasferita alle regole disciplinari. Si suppone che una cosa, in quanto è la legge, sia giusta.

L’attuale trattamento dei bambini è terribile, soprattutto da parte di coloro che non capiscono la particolare psicologia della loro natura. Un bambino riesce a comprendere una punizione inflitta da un individuo, quale può essere un genitore o un tutore, e sopportarla con un certo grado di acquiescenza. Quello che non viene compreso è una punizione inflitta dalla società. Naturalmente con gli adulti accade il contrario. Quelli di noi che sono in prigione, o che ci sono stati, possono comprendere, come di fatto vi riescono, qual è il significato di quella forza collettiva chiamata società, e qualsiasi cosa possiamo pensare dei suoi metodi o delle sue richieste, possiamo costringerci ad accettarla. D’altra parte, la punizione inflittaci da un singolo è una cosa che nessun adulto sopporta, o ci si attende che la sopporti.

Di conseguenza il bambino, essendo sottratto ai suoi genitori da persone che non ha mai visto, e di cui non sa nulla, trovandosi in una cella solitaria ed estranea, circondato da strane facce, ricevendo passivamente ordini e punizioni dai rappresentanti di un sistema che non riesce a comprendere, diventa preda immediata della prima e più importante emozione prodotta dalla moderna vita del carcere: l’emozione del terrore. Il terrore di un bambino in prigione è pressoché illimitato. Ricordo una volta a Reading, mentre stavo andando fuori per l’ora d’aria, di aver visto un bambinetto nella cella poco illuminata che si trovava di fronte alla mia. Due secondini – uomini non duri – parlavano con lui, con una certa apparente severità, o forse gli davano qualche suggerimento utile sul come comportarsi. Uno si trovava nella cella con lui, l’altro rimaneva al di fuori. Il viso del bambino era come un cuneo bianco di puro terrore; nei suoi occhi c’era il terrore di un animale braccato. La mattina successiva lo sentii piangere all’ora di colazione, gridava di essere liberato. Il suo pianto era diretto ai genitori. Di tanto in tanto riuscivo a sentire la voce profonda del secondino di guardia che gli diceva di stare zitto. Tuttavia non era neanche in prigione accusato di un qualche piccolo reato. Era semplicemente trattenuto in attesa di giudizio. Questo lo sapevo dal fatto che portava i suoi vestiti, che sembravano piuttosto ben fatti; indossava però i calzini e le scarpe della prigione. Ciò stava a dimostrare che era un ragazzo molto povero, le cui scarpe, se ne aveva, erano in cattivo stato. I giudici e i magistrati, di norma una classe del tutto ignorante, trattengono spesso i bambini per una settimana, e dopo può darsi che gli condonino qualsiasi condanna gli è concesso far passare. Essi chiamano ciò «non mandare un bambino in prigione». Naturalmente questa è un’idea stupida che loro si fanno. Per un bambinetto, sia egli in prigione in attesa di giudizio o dopo la condanna, non è certo questa una finezza di posizione che egli riesca a comprendere. Agli occhi dell’umanità dovrebbe essere una cosa orribile per lui il solo fatto di essere lì.

Questo terrore che afferra e domina il bambino, nello stesso modo in cui afferra anche l’uomo adulto, viene naturalmente intensificato più di quanto sia possibile esprimere dal sistema di celle solitarie delle nostre prigioni. Ogni bambino viene confinato alla sua cella ventitré ore su ventiquattro. Questa è la cosa terrificante. Segregare un bambino in una cella scarsamente illuminata è un esempio della crudeltà della stupidità. Se un individuo, un genitore o un guardiano, facesse questo a un bambino, verrebbe severamente punito. La Società per la Prevenzione della Crudeltà ai Bambini si occuperebbe immediatamente del caso. Ci sarebbe in tutti il massimo orrore per chiunque si fosse macchiato di una tale crudeltà. Senza alcun dubbio una condanna pesante seguirebbe la sentenza. Ma la nostra società attuale fa di peggio da sé; e per il bambino essere trattato in questo modo da una forza strana e astratta, delle cui rivendicazioni egli non è a conoscenza, è molto peggio di quanto sarebbe ricevere lo stesso trattamento dal proprio padre o dalla propria madre, o da qualcun altro a lui noto. Ma il trattamento disumano della società è per il bambino tanto più terribile perché non c’è appello. Un genitore o un guardiano possono essere spostati, e far uscire un bambino della stanza buia e solitaria in cui è confinato. Ma il sistema proibisce loro di dare qualsiasi assistenza al bambino. Se lo facessero, come lo ha fatto il secondino Martin, sarebbero mandati via.

La seconda cosa di cui soffre un bambino in carcere è la fame. Il cibo che gli viene dato consiste di un pezzo di pane di solito cotto male e di una lattina d’acqua per colazione alle sette e mezzo. A mezzogiorno fa il pranzo, consistente in una ciotola di porridge e alle cinque e mezzo prende un pezzo di pane secco e una ciotola d’acqua per cena. Questa dieta, nel caso di un adulto robusto, produce sempre un disturbo di tipo ben preciso: diarrea, con la debolezza che ne consegue. Perciò nelle grosse prigioni i medicinali astringenti sono distribuiti regolarmente dai secondini come fossero una cosa ovvia. Nel caso di un bambino, il bambino è di norma incapace di mangiare cibo. Chiunque sappia qualcosa di bambini sa con che facilità il loro processo di digestione viene sconvolto da un accesso di pianto, o da un problema o da disturbi mentali di qualsiasi tipo. Un bambino che ha pianto per tutto il giorno, e forse per metà della notte, in una cella solitaria e buia, ed è in preda del terrore, semplicemente non può mangiare questo cibo rozzo e disgustoso.

Nel caso del piccino al quale il secondino Martin diede i biscotti, il bambino piangeva per la fame il martedì mattina, e non riusciva proprio a mangiare il pane e l’acqua che gli venivano serviti per colazione. Martin uscì dopo che era stata servita la colazione, e comprò pochi biscotti dolci per il bambino piuttosto che vederlo morire di fame. Era un gesto bellissimo da parte sua, e come tale venne interpretato dal bambino che, del tutto ignaro del regolamento della prigione, disse a uno dei secondini anziani quanto era stato gentile con lui il secondino più giovane. Il risultato fu, naturalmente, un rapporto e il licenziamento.

Conosco benissimo Martin, e sono stato affidato a lui le ultime sette settimane della mia prigionia. Quando fu nominato a Reading gli venne affidata la Galleria C, dove ero confinato io, per cui lo vedevo continuamente. Rimasi colpito dalla singolare gentilezza e dall’umanità del suo modo di rivolgersi a me e agli altri prigionieri. Le parole gentili contano molto in prigione e un piacevole «Buon giorno» o «Buona sera» rende una persona felice come lo si può essere in quel luogo. Era sempre gentile e premuroso.

So di un altro caso nel quale egli mostrò grande gentilezza verso uno dei prigionieri, e non ho alcuna esitazione a menzionarlo. Una delle cose più terribili in prigione è il cattivo stato delle disposizioni in materia di sanità. A nessun prigioniero è permesso, in nessun caso, lasciare la sua cella dopo le cinque e mezzo. Se, di conseguenza, egli soffre di diarrea, come latrina deve usare la cella, e passare la notte in un ambiente fetido e malsano. Alcuni giorni prima della mia liberazione, Martin stava facendo la ronda alle sette e mezzo con uno dei secondini anziani allo scopo di raccogliere la stoppa e gli arnesi dei carcerati. Un uomo appena messo in prigione, il quale come sempre accade, soffriva di una violenta diarrea a causa del cibo, chiese al secondino anziano se gli permetteva di svuotare i rifiuti della sua cella a causa del terribile odore e della possibilità di un nuovo attacco durante la notte. Il secondino anziano si rifiutò nel modo più assoluto; era contro le disposizioni. L’uomo doveva passare la notte in quella terribile condizione. Martin, tuttavia, piuttosto che vedere quel miserabile in una tale, disgustosa situazione, disse che avrebbe svuotato egli stesso i rifiuti, e lo fece. Un secondino che svuotava i rifiuti di un prigioniero è, ovviamente, contrario alle regole, ma Martin fece questo atto di gentilezza verso quell’uomo per la semplice umanità della sua natura, e l’uomo gliene fu naturalmente quantomai grato.

Per quanto riguarda i bambini, di recente si è parlato e scritto molto sull’influenza contaminatrice della prigione su quelli piccoli. Quello che è stato detto è del tutto vero. Un bambino viene contaminato in modo terribile dalla vita della prigione. Ma l’influenza contaminatrice non è quella dei carcerati. È quella dell’intero sistema carcerario: il governatore, il cappellano, i secondini, la cella solitaria, l’isolamento, il cibo ributtante, le regole dei Commissari del Carcere, il metodo di disciplina, la vita, come viene definito. Si prendono tutte le precauzioni per isolare un bambino persino dalla vista di tutti i carcerati al di sopra dei sedici anni. I bambini siedono dietro una tenda nella cappella, e vengono mandati a prendere l’aria in piccoli cortili senza sole – a volte un cortile di pietra, a volte un cortile sul retro degli edifici – invece di questo, essi dovrebbero vedere i prigionieri più grandi durante l’ora d’aria. Ma la sola influenza che dia umanità in prigione è l’influenza dei prigionieri. La loro allegria in circostanze terribili, la compassione che hanno l’uno per l’altro, l’umiltà, la gentilezza, i piacevoli sorrisi di saluto quando si incontrano, la totale accettazione delle punizioni, sono tutte cose meravigliose, e io stesso ho imparato molte buone lezioni da loro. Non sto proponendo che i bambini non debbano sedere dietro una tenda nella cappella, o che debbano passare l’ora d’aria in un angolo del cortile comune. Sto semplicemente mettendo in rilievo che la cattiva influenza sui bambini non è, e non potrà mai essere, quella dei prigionieri, ma è, e lo rimarrà sempre, quella propria del sistema carcerario. Non c’è un solo uomo nel Carcere di Reading che non sarebbe stato felice di aver subito al loro posto la punizione dei tre bambini.

L’ultima volta che li vidi era il martedì seguente alla loro incarcerazione. Ero durante l’ora d’aria, alle undici e mezzo, con circa dodici altri uomini, quando i tre bambini ci passarono vicino, guardati da un secondino, e provenienti dal cortile di pietra umido e desolato dove erano stati per l’ora d’aria. Vidi negli occhi dei miei compagni grandissima pietà e compassione mentre fissavano i bambini. I prigionieri sono, come classe, estremamente gentili e compassionevoli gli uni con gli altri. La sofferenza e la comunanza nel soffrire rendono sensibili gli uomini e, giorno dopo giorno, errando per il cortile, sentivo con conforto e piacere quello che da qualche parte Carlyle chiama: «il fascino silenzioso e ritmato della compagnia umana». In ciò, come in tutte le altre cose, i filantropi e le persone come loro sono fuori strada. Non sono i carcerati che hanno bisogno di riforme. Sono le prigioni.

Naturalmente, nessun bambino al di sotto dei quattordici anni dovrebbe essere mandato in carcere. È un’assurdità e, come molte assurdità, ha risultati totalmente tragici. Se, tuttavia, essi devono essere mandati in prigione, durante il giorno dovrebbero stare in un laboratorio e in un’aula con un guardiano. Di notte dovrebbero dormire in un dormitorio, con un guardiano notturno che badasse a loro; dovrebbe essere loro permesso di stare all’aperto per almeno tre ore al giorno. Le celle delle carceri buie, mal ventilate, puzzolenti, sono tremende per un bambino, anzi lo sono per chiunque. Si respira sempre aria cattiva in prigione. Il cibo dati ai bambini dovrebbe consistere di tè, biscotti e minestra. La minestra della prigione è molto buona e sana. Una deliberazione della Camera dei Comuni potrebbe risolvere in mezz’ora il problema del trattamento dei bambini. Spero che lei userà la sua influenza per farlo fare. Il modo in cui sono trattati attualmente i bambini è davvero un oltraggio all’umanità e al buon senso. È frutto della stupidità.

Vorrei ora richiamare l’attenzione su un’altra cosa terribile che accade nelle carceri inglesi, anzi nelle carceri in tutto il mondo dove viene attuato il sistema del silenzio e della reclusione nelle celle. Mi riferisco ai molti uomini che impazziscono o si istupidiscono in prigione. Nelle colonie penali questo è, ovviamente, piuttosto comune; ma avviene anche nelle carceri comuni.

Circa tre mesi fa ho notato, tra i carcerati che stavano nel cortile con me, un uomo giovane che mi sembrava sciocco o istupidito. Naturalmente, ogni prigione ha i suoi clienti stupidi, che vi tornano continuamente, e si può dire che vivano in prigione. Ma questo uomo giovane mi colpì perché era più istupidito degli altri a causa del suo ghigno sciocco e della sua risata idiota, e della peculiare irrequietezza delle sue mani che si torcevano continuamente. Era stato notato da tutti gli altri carcerati per la stranezza del comportamento. Di tanto in tanto non usciva per l’ora d’aria, e ciò stava a dimostrare che lo si puniva confinandolo nella sua cella. Alla fine ho scoperto che era sotto sorveglianza: guardato notte e giorno dai secondini. Quando compariva fuori nel cortile sembrava sempre isterico, e camminava torno torno gridando o ridendo. Nella cappella doveva stare seduto sotto lo sguardo di due secondini, che lo sorvegliavano attentamente per tutto il tempo. A volte si cacciava la testa tra le mani – una trasgressione alle regole della cappella – e il secondino gliela tirava immediatamente su, così che egli doveva tenere gli occhi costantemente fissi nella direzione del tavolo dove si faceva la Comunione. A volte piangeva – non dava alcun disturbo – ma con lacrime che gli scorrevano giù per la faccia e con un singulto isterico in gola. A volte ghignava a se stesso come un idiota, facendo delle smorfie. In più di un’occasione venne fatto uscire dalla cappella per tornare alla sua cella, e ovviamente, veniva punito di continuo. Poiché la panca dove io mi sedevo nella cappella era immediatamente dietro la panca alla fine della quale si trovava il pover’uomo, avevo la possibilità di osservarlo a fondo. Naturalmente lo vidi anche continuamente fuori per l’ora d’aria, mi accorsi che stava diventando pazzo, ed era trattato come se stesse fingendo.

Sabato della scorsa settimana stavo nella mia cella, erano circa le una, occupato a pulire e lucidare le pentolette che avevo usato per il pranzo. All’improvviso ho sobbalzato perché il silenzio della prigione era stato rotto da urla terribili e rivoltanti, piuttosto ululati, tanto che all’inizio io pensai che un animale, un toro o una mucca, fosse macellato in modo inesperto fuori dal muro di cinta della prigione. Tuttavia, mi resi subito conto che i lamenti provenivano dal seminterrato della prigione, e sapevo che stavano fustigando qualche miserabile. Non occorre che dica quanto fu terribile e ripugnante per me, e iniziai a chiedermi chi fosse ad essere punito in quel modo orrendo. All’improvviso si fece strada in me l’idea che stessero fustigando quello sfortunato pazzo. Non si può narrare quello che provai al riguardo; non ha niente a che vedere con il problema.

Il giorno seguente, sabato 16, ho visto il pover’uomo durante l’ora d’aria, il volto fragile e terribilmente infelice gonfio di lacrime e con un’espressione isterica che lo rendeva irriconoscibile. Passeggiava nel recinto centrale insieme ai vecchi, i mendicanti e gli zoppi, così che io potei osservarlo per tutto il tempo. Era la mia ultima domenica in prigione, una giornata bellissima, la giornata più bella avuta nel corso dell’anno, e lì, nella magnifica luce solare, questa povera creatura – una volta fatta a immagine di Dio – camminava mostrando i denti come una scimmia, e facendo con le mani i gesti più strani, come se suonasse nell’aria un qualche invisibile strumento a corde, o cercasse di sistemare i due elementi opposti in qualche curioso gioco. Per tutto il tempo queste lacrime isteriche, senza le quali nessuno di noi lo ha mai visto, tracciavano rivoletti sporchi sul suo viso bianco e sporco. La grazia orribile e calcolata dei suoi gesti lo rendeva simile a un buffone. Era un’assurdità vivente. Tutti gli altri carcerati lo guardavano, e nessuno di loro rideva. Tutti sapevano quello che gli era successo, e che stava diventando pazzo, era già pazzo. Dopo mezz’ora dal secondino gli venne ordinato di rientrare, e suppongo che venne punito. Per lo meno il lunedì non era fuori per l’ora d’aria, anche se penso di averlo visto all’angolo del cortile di pietra, guardato da un secondino.

Il martedì – il mio ultimo giorno in prigione – lo vidi nel cortile. Stava peggio di prima, e venne fatto rientrare di nuovo. Da allora in poi non ho più saputo niente di lui, ma ho saputo da uno dei carcerati che camminava con me durante l’ora d’aria che gli erano state date ventiquattro frustate in cucina sabato pomeriggio, dietro ordine dei giudici che erano in visita su rapporto del dottore. Gli urli lamentosi che avevano riempito di orrore tutti noi erano i suoi.

Quest’uomo sta diventando senza dubbio pazzo. I medici della prigione non hanno alcuna conoscenza delle malattie mentali di nessun tipo. Come classe sono uomini ignoranti. La patologia della mente è una cosa che non conoscono. Quando un uomo diventa pazzo, essi lo trattano come se fingesse. Lo fanno punire ripetutamente. Naturalmente, l’uomo peggiora. Quando sono terminate le punizioni ordinarie, il dottore fa rapporto sul caso ai giudici. Il risultato è la fustigazione. Ovviamente non viene fatta con un gatto a nove code. Lo strumento è una verga; ma si può immaginare il risultato sul povero demente. Il suo numero è, o era, A.2.11. Ho cercato anche di scoprire il suo nome. È Prince. Si dovrebbe fare subito qualcosa per lui. È un soldato, e la sua condanna è la corte marziale. Lo scadere sono sei mesi. Tre devono ancora passare.

Posso chiederle di usare la sua influenza per far esaminare questo caso, e per vedere che il carcerato pazzo sia trattato nel modo dovuto?

I rapporti dei Commissari Medici non sono di alcuna utilità. Non possono essere creduti. Gli ispettori medici non sembrano capire la differenza tra l’idiozia e la demenza: tra la mancanza completa di una funzione o di un organo e la malattia di una funzione o di un organo. Quest’uomo A.2.11 sarà in grado, non ho dubbi, di dire il suo nome, la natura del suo reato, il giorno del mese, la data dell’inizio e della scadenza della sua condanna; ma che la sua mente sia malata non lascia dubbi. Attualmente è un terribile duello tra lui e il dottore. Il dottore sta lottando per una teoria. L’uomo per la sua vita. Bramo affinché vinca l’uomo. Ma aspettiamo che tutto il caso sia esaminato da esperti che comprendono i disturbi mentali, e da persone di sentimenti umani, ai quali ancora rimane un po’ di buon senso e di compassione. Non c’è alcun motivo per cui al sentimentale dovrebbe essere chiesto di interferire. Procura sempre danno.

Il caso è un esempio speciale della crudeltà inseparabile da un sistema stupido, in quanto l’attuale Governatore di Reading è un uomo dal carattere gentile e umano, che viene amato e rispettato grandemente da tutti i carcerati. È stato nominato l’ultimo luglio e, per quanto non possa alterare le regole del sistema carcerario, ha cambiato lo spirito con il quale venivano fatte osservare dai suoi predecessori. È molto benvoluto tra i carcerati e tra i secondini e di fatto ha cambiato molto il tono complessivo della vita nel carcere. D’altra parte il sistema è, naturalmente, al di là della sua portata per quanto concerne il cambiamento delle regole. Non ho alcun dubbio che egli quotidianamente veda molto di quello che sa essere ingiusto, stupido e crudele. Ma ha le mani legate. Naturalmente non conosco la sua opinione riguardo al caso di A.2.11, né, tantomeno, la sua opinione sul sistema attuale. Lo giudico semplicemente dal cambiamento completo che ha introdotto nel Carcere di Reading. Con il suo predecessore il sistema era portato avanti con la massima severità e stupidità.

Rimango, signore, suo fedele servitore,

 

OSCAR WILDE

 

27 maggio

 

 

La riforma carceraria2

 

Al direttore del «Daily Chronicle»

 

Signore, vengo a sapere che la Riforma di Legge del Segretario di Stato verrà presentata questa settimana per la prima o seconda volta e, poiché il suo giornale è stato l’unico in Inghilterra ad interessarsi realmente e in modo vitale a questo importante problema, spero che lei mi permetta, visto che ho avuto una lunga e personale esperienza di vita in un carcere inglese, di far rilevare quali riforme sono urgentemente necessarie nel nostro attuale sistema, stupido e barbaro.

Da un articolo di fondo che è comparso sul suo giornale circa una settimana fa, apprendo che, fra le riforme proposte, la più rilevante è quella che prevede un aumento nel numero degli ispettori e dei visitatori ufficiali che devono avere accesso nelle nostre prigioni.

Una riforma del genere è perfettamente inutile: il motivo è estremamente semplice. Gli ispettori e i giudici di pace che visitano le prigioni vanno lì per vedere che i regolamenti siano osservati correttamente. Non vengono per nessun altro scopo, né del resto hanno alcun potere, se anche lo desiderassero, di cambiare un solo comma dei regolamenti. Nessun carcerato ha mai ricevuto il più piccolo aiuto, o attenzione, o cura da qualcuno dei visitatori ufficiali. I visitatori arrivano non per aiutare i prigionieri, ma per vedere che siano osservate le regole. L’obiettivo della loro venuta è assicurare l’applicazione di un codice assurdo e disumano. E, poiché devono avere una qualche occupazione, nel fare ciò si prendono molta cura. Un prigioniero cui è stato concesso il minimo privilegio teme l’arrivo degli ispettori e, il giorno dell’ispezione carceraria, il personale della prigione è più brutale del solito nei confronti dei carcerati. Ovviamente, il loro obiettivo è dimostrare che mantengono un’eccellente disciplina.

Le riforme necessarie sono molto semplici. Riguardano le necessità del corpo e le necessità della mente di ognuno degli sfortunati carcerati.

Riguardo alle prime, ci sono tre tipi di punizioni permanenti autorizzate dalla legge nelle prigioni inglesi:

 

1. Fame.

2. Insonnia.

3. Malattia.

 

Il cibo dato ai carcerati è del tutto inadatto. La maggior parte è ributtante, ed è completamente insufficiente. Tutti soffrono la fame giorno e notte. Per ogni prigioniero viene pesata attentamente oncia per oncia una certa quantità di cibo. È quel tanto che basta a tenere in vita, non esattamente la vita, ma l’esistenza. Ma si è sempre tormentati dal dolore e dalla malattia della fame.

Il risultato di questa alimentazione – che nella maggior parte dei casi consiste di pappa d’avena liquida, grasso di rognone e acqua – è la malattia in forma di diarrea continua. Questo disturbo, che negli ultimi tempi è diventato una malattia permanente per la maggior parte dei carcerati, è un’istituzione riconosciuta in ogni prigione. Per esempio nel Carcere di Wandsworth – dove sono stato confinato per due mesi, fino a quando hanno dovuto portarmi in ospedale, dove sono rimasto per altri due mesi – i secondini fanno il giro due o tre volte al giorno con medicine astringenti, che passano ai carcerati come fosse una cosa naturale. Non occorre dire che dopo circa una settimana di questa cura la medicina non produce alcun effetto. Il povero carcerato rimane allora preda della più estenuante, deprimente e umiliante malattia che si possa concepire: e se, come spesso accade, non riesce, a causa della debolezza fisica, a completare i giri richiesti alla manovella della mola da tortura, gli viene fatto rapporto per pigrizia, e viene punito con grandissima severità e con brutalità. E non è finita.

Non può esserci niente di peggio delle disposizioni sanitarie delle carceri inglesi. In passato ogni cella era fornita di una specie di latrina, ora sono state eliminate. Non esistono più. Al loro posto ad ogni carcerato viene dato un vasetto di latta. È permesso ai prigionieri svuotare tre volte al giorno i propri rifiuti, ma non è loro permesso accedere ai gabinetti del carcere, eccetto durante l’unica ora d’aria. E, dopo le cinque di sera, non è permesso loro di lasciare la cella con nessun pretesto, o per nessun motivo. Di conseguenza un uomo che soffre di diarrea si trova in una situazione così disgustosa, sulla quale non c’è bisogno di diffondersi, perché sarebbe indecoroso farlo. Le sofferenze e le torture che i carcerati subiscono a causa delle ripugnati condizioni sanitarie sono assolutamente indescrivibili. E l’aria fetida delle celle, aumentata da un sistema di ventilazione del tutto inefficace, è così nauseabonda e malsana che non è una cosa rara tra i secondini, quando la mattina vengono dall’aria aperta a ispezionare le singole celle, avere violenti conati di vomito. L’ho visto io stesso in più di tre occasioni, e vari secondini me ne hanno parlato come di una delle cose disgustose che il loro lavoro comporta.

Il cibo dato ai prigionieri dovrebbe essere sano e adeguato. Non dovrebbe essere di genere tale da produrre quell’incessante diarrea che all’inizio è un disturbo, e poi diventa una malattia duratura.

Le disposizioni sanitarie nelle carceri inglesi dovrebbero essere cambiate completamente. A ogni prigioniero dovrebbe essere permesso di avere accesso ai gabinetti quando necessario e di svuotare i propri rifiuti quando ne ha bisogno. L’attuale sistema di ventilazione delle singole celle è completamente inservibile. L’aria passa attraverso grate intasate, e attraverso un piccolo sfiatatoio nella finestrella sbarrata, che è di gran lunga troppo piccola, e costruita troppo male perché vi entri un’adeguata quantità di aria fresca. Viene permesso di uscire dalla propria cella per un’ora sulle ventiquattro che compongono il lungo giorno, e così per ventitré ore si respira l’aria più fetida che ci sia.

Riguardo alla punizione dell’insonnia, esiste soltanto nelle carceri inglesi e cinesi. In Cina viene inflitta mettendo il prigioniero in una piccola gabbia di bambù; in Inghilterra per mezzo del tavolaccio. Il suo scopo è quello di causare insonnia. Non ha altro fine e immancabilmente ci riesce tanto che, persino quando in seguito viene concesso di dormire su un materasso duro, come si verifica nel corso della prigionia, si soffre ancora di insonnia. Il sonno è infatti, come tutte le cose salutari, un’abitudine. Tutti i carcerati che sono stati su un tavolaccio soffrono di insonnia. È una punizione odiosa e rozza.

Per quanto riguarda i bisogni dello spirito, la prego affinché mi conceda di dire qualcosa.

Sembra quasi che l’attuale sistema carcerario abbia come scopo la rovina e la distruzione delle facoltà mentali. La produzione di alienazione mentale è, se non il suo obiettivo, certamente il suo risultato. Questo è un fatto ben assodato. Le cause sono ovvie. Senza libri, senza contatti umani, isolato da qualsiasi influenza umana e umanizzante, condannato al silenzio eterno, derubato di ogni contatto con il mondo esterno, trattato come un animale stupido, brutalizzato al di sotto del livello delle creature brute, il pover’uomo che è recluso in un carcere inglese riesce difficilmente a sfuggire alla pazzia. Non mi piace soffermarmi su queste cose raccapriccianti; ancor meno suscitare momentanei interessi sentimentali su di loro. Perciò, col suo permesso, metterei semplicemente in rilievo quello che si dovrebbe fare.

Ogni carcerato dovrebbe avere un’adeguata scorta di buoni libri. Attualmente, durante i primi tre mesi di prigione, non vengono assolutamente ammessi libri, eccetto la Bibbia, il Libro delle Preghiere, e un libro d’inni. Dopo di allora viene concesso un libro a settimana. Questo non solo è insufficiente, ma i libri che compongono una comune biblioteca del carcere sono perfettamente inutili. Sono soprattutto libri religiosi scadenti, scritti male, scritti in apparenza per bambini, e del tutto inadatti tanto per i bambini quanto per qualsiasi altra persona. I carcerati dovrebbero essere incoraggiati a leggere, e ad avere qualsiasi libro desiderino. Inoltre i libri dovrebbero essere ben scelti. Attualmente la scelta di libri viene fatta dal cappellano della prigione.

Con il sistema attuale ai carcerati è permesso vedere gli amici soltanto quattro volte l’anno, venti minuti alla volta. Questo è un sistema errato; ai carcerati dovrebbe infatti essere permesso vedere i loro amici una volta al mese, e per un tempo ragionevole. Si dovrebbe cambiare l’usanza, di moda adesso, di esibire un carcerato ai propri amici. Con l’attuale sistema il prigioniero viene rinchiuso in una grossa gabbia di ferro o in una grossa cassa di legno con una piccola apertura coperta da una rete di filo metallico, attraverso la quale gli è concesso di sbirciare. Gli amici vengono collocati in una gabbia analoga, distante circa tre o quattro piedi, e due secondini si mettono lì in mezzo ad ascoltare e, se lo vogliono, interrompono la conversazione al punto in cui si trova. Propongo che ai prigionieri sia permesso di vedere i propri parenti e gli amici in una stanza. Le disposizioni attuali sono vessatorie e ripugnanti in modo inesprimibile. Una visita da parte di parenti o amici rappresenta per ogni carcerato l’intensificarsi dell’umiliazione e di angoscia mentale. Molti carcerati, piuttosto che sostenere una prova del genere, si rifiutano di vedere gli amici. E non posso dirmi sorpreso. Quando si incontra il proprio avvocato, lo si vede in una stanza con una porta a vetri sull’altro lato della quale sta il secondino. Quando un uomo incontra sua moglie e i suoi figli, o i suoi genitori, gli amici, gli dovrebbe essere concesso lo stesso privilegio. Essere messo in mostra dentro una gabbia, come una scimmia, davanti a persone cui si vuole bene, e che ci vogliono bene, è una degradazione inutile e terribile.

A tutti i carcerati dovrebbe essere concesso scrivere e ricevere una lettera almeno una volta al mese. Attualmente è permesso scrivere soltanto quattro volte l’anno. Questo è del tutto insufficiente. Una delle tragedie della vita del carcere è che tramuta in pietre il cuore degli uomini. I sentimenti dell’affetto naturale, come tutti gli altri sentimenti, hanno bisogno di essere nutriti. Muoiono facilmente di inerzia. Una breve lettera, quattro volte l’anno, non è sufficiente a tenere in vita gli affetti più gentili e umani attraverso i quali in definitiva la natura viene mantenuta ricettiva alle influenze belle e delicate che riescono a guarire una vita misera e ormai in rovina.

La consuetudine di mutilare e di purgare le lettere dei prigionieri dovrebbe avere fine. Attualmente, se in una lettera un carcerato si lamenta del sistema carcerario, quella parte viene tagliata via con un paio di forbici. Se, d’altra parte, si lamenta quando parla ai suoi amici attraverso le sbarre della gabbia, o attraverso l’apertura della cassa di legno, viene brutalizzato dai secondini, e gli viene fatto rapporto per una punizione a settimana fino alla visita successiva; per allora ci si aspetta che egli abbia appreso, non a esseresaggio, ma astuto, questo lo si impara sempre. È una delle poche cose che si imparano in carcere. Per fortuna le altre cose sono, in alcuni casi, di maggiore importanza.

Se mi è permesso di spingermi oltre i limiti del consentito, posso dirlo? Lei ha suggerito nel suo editoriale che a nessun cappellano carcerario dovrebbe essere consentito avere alcuna occupazione al di fuori del carcere stesso. Ma questa è una cosa che non ha nessuna importanza. I cappellani del carcere sono del tutto inutili. Essi sono, come classe, ben intenzionati, ma stupidi, uomini davvero sciocchi. Non sono di alcun aiuto a nessun prigioniero. Più o meno ogni sei settimane una chiave gira nella serratura della porta della propria cella, e il cappellano entra. Ovviamente, si sta attenti. Egli chiede se si legge la Bibbia. Si risponde «Sì», oppure «No», a seconda del caso. Fa poi delle citazioni da qualche testo, esce e chiude la porta a chiave. A volte lascia un libretto.

I funzionari cui non dovrebbe essere concesso avere altra occupazione al di fuori del carcere, o avere una clientela privata, sono i medici del carcere. Attualmente costoro hanno di solito, anche se non sempre, molti clienti privati, e hanno delle cariche presso altre istituzioni. La conseguenza di ciò è che la salute dei carcerati e le condizioni sanitarie del carcere vengono completamente trascurate. Ritengo che come classe, e fin da quando ero molto giovane lo ho sempre considerato, i medici siano di gran lunga la professione più umana della comunità. Ma devo fare un’eccezione per i medici del carcere; essi sono, per quanto ho avuto modo di conoscerli, e per quanto ho visto negli ospedali e da qualsiasi altra parte, di maniere brutali, di indole rozza e assolutamente indifferente alla salute dei carcerati o al loro benessere. Se ai medici carcerari fosse vietata la clientela privata, sarebbero costretti ad interessarsi alla salute e alla condizione sanitaria delle persone che vengono loro affidate. Ho cercato di indicare nella mia lettera alcune delle riforme necessarie al nostro sistema carcerario inglese. Sono semplici, praticabili e umane. Naturalmente, sono soltanto un inizio. Ma è ora che si cominci, e questo può avvenire soltanto attraverso una forte pressione dell’opinione pubblica, formulata e promossa dal suo potente giornale.

Ma per rendere efficaci queste riforme molto deve essere fatto. E il primo compito, forse il più difficile, è rendere umani i governatori delle prigioni, civilizzare i secondini e cristianizzare i cappellani.

Il Suo, ecc.

 

L’AUTORE DELLA «BALLATA DEL CARCERE DI READING»

 

23 marzo

 

 

 

1 Questa lettera, datata 28 maggio 1897, e la seguente, La riforma carceraria, furono pubblicate sul «Daily Chronicle».

2 24 marzo 1898.

Questo ebook appartiene a lidia barone - 1124737 Edito da Newton Compton Editori Acquistato il 01/08/2011 13.50.20 con numero d'ordine 63790
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