Atto II

 

Il giardino di Manor House. Una vasta scalinata di pietra grigia conduce alla casa. Il giardino, di vecchio stile, è pieno di rose. È il mese di luglio. Qua e là seggiole di vimini, e una tavola rustica coperta di libri, sotto un grande albero di tasso.

Miss Prism è seduta alla tavola. Cecilia è un po’ più in là, intenta a innaffiare i fiori.

 

MISS PRISM (chiamando): Cecilia, Cecilia! Quest’occupazione materiale di annaffiare le rose spetta a Moulton, non a te! Soprattutto in questo momento in cui ti attendono squisiti i piaceri intellettuali. La grammatica tedesca è qui sulla tavola. Ti prego di aprirla a pagina quindici. Ripeteremo la lezione di ieri.

CECILIA (avanzando, svogliata): Ma a me il tedesco non piace. È una lingua che non dona alla mia pelle. Dopo la lezione di tedesco sono proprio brutta.

MISS PRISM: Bambina mia, sai quanto il tuo tutore sia ansioso di migliorare la tua educazione. Ha insistito in particolar modo sulla necessità d’imparare il tedesco; lo ha detto di nuovo ieri prima di andare in città. Anzi, tutte le volte che va in città mi raccomanda le lezioni di tedesco.

CECILIA: Quel caro zio è così serio! Qualche volta è così serio che temo che non stia bene.

MISS PRISM (contegnosa): Il tuo tutore gode ottima salute, e la sua gravità dovrebbe essere un esempio per tutti, trattandosi d’una persona giovane come lui. Non conosco nessuno che abbia una concezione dei doveri e delle responsabilità rigorosa quanto la sua.

CECILIA: Probabilmente è per questo che ha l’aria tanto annoiata, quando siamo tutti e tre insieme.

MISS PRISM: Cecilia! Mi fai veramente stupire. Il signor Worthing ha molte cose a cui pensare nella sua vita. Sarebbe sconveniente da parte sua parlare di frivolezze e di gaie oziosità. E poi devi tenere presente la sua costante preoccupazione per quello sciagurato di suo fratello.

CECILIA: Mi piacerebbe che qualche volta lo zio lasciasse venire qui quello sciagurato di suo fratello. Son sicura che noi potremmo avere un’influenza benefica sul suo carattere, miss Prism. Voi potreste farlo sicuramente. Il tedesco e la geologia e le cose di questo genere hanno il potere di fortificare il carattere, no? (Cecilia comincia a scrivere sul suo diario).

MISS PRISM: Temo che neanch’io potrei avere alcuna influenza su un giovane che, a quanto dice il fratello, è irreparabilmente leggero e incostante. E non credo neanche che mi piacerebbe fare l’esperienza di redimerlo. Non mi piace questa mania moderna di mutare in due minuti la gente cattiva in brave persone. Un uomo deve raccogliere quel che ha seminato. Metti via il diario, Cecilia. Non capisco proprio perché tu debba tenerlo.

CECILIA: Tengo un diario per segnarvi i segreti meravigliosi della mia vita. Se non li scrivessi nel diario probabilmente li dimenticherei.

MISS PRISM: La “memoria”, cara Cecilia, è il diario che dobbiamo portarci appresso.

CECILIA: Sì, ma la memoria ricorda per solito le cose che non son mai accadute e che non potevano accadere. Io credo che la memoria sia responsabile di tutti i romanzi in tre volumi che la libreria circolante ci manda.

MISS PRISM: Non parlare così alla leggera dei romanzi in tre volumi. Una volta ne ho scritto uno anch’io.

CECILIA: Davvero! Oh, come dovete essere intelligente! Spero che non finisse bene. Non mi piacciono i libri col lieto fine. Mi deprimono.

MISS PRISM: Il buono finisce sempre bene, e il cattivo finisce sempre male. Questo è il succo d’ogni romanzo.

CECILIA: Probabilmente è così. Ma non è sempre giusto. E il vostro romanzo è stato pubblicato?

MISS PRISM: Purtroppo no. Sfortunatamente il manoscritto venne abbandonato. Uso questa parola nel significato di perduto o smarrito. E adesso al lavoro, basta con queste digressioni oziose.

CECILIA (sorridendo): Ma io vedo il nostro caro canonico Chasuble che si avanza.

MISS PRISM (alzandosi e andandogli incontro): Reverendo! Ecco proprio una gradita sorpresa.

(Entra il rev. Chasuble).

IL CANONICO CHASUBLE: E come va stamattina? Spero bene, miss Prism.

CECILIA: Miss Prism si lamentava in questo momento di un po’ di mal di testa. Credo che le farebbe bene fare una passeggiatina con voi nel parco, reverendo.

MISS PRISM: Cecilia, io non ho neanche menzionato il mio mal di testa.

CECILIA: No, miss Prism; ma io sentivo istintivamente che voi avevate mal di testa. In realtà pensavo al vostro mal di testa, e non alla mia lezione di tedesco quando il canonico è entrato.

IL CANONICO CHASUBLE: Spero, Cecilia, che non sarete disattenta.

CECILIA: Temo purtroppo di sì.

IL CANONICO CHASUBLE: Mi stupisce. Se io avessi la fortuna di essere allievo di miss Prism, son sicuro che suggerei il sapere dalle suelabbra. (Miss Prism boccheggia).Parlo, beninteso, metaforicamente. La mia metafora era trattadalle api. Eh... Il signor Worthing non è ancora tornato dalla città?

MISS PRISM: Non lo aspettiamo fino a lunedì pomeriggio.

IL CANONICO CHASUBLE: Sì, gli piace passare la domenica a Londra. Ma non è uno di quegli uomini il cui solo scopo nella vita è il piacere, come è il caso invece di quello sciagurato di suo fratello. Ma non voglio disturbare più a lungo Egeria e la sua pupilla.

MISS PRISM: Egeria? Il mio nome è Laetitia, reverendo.

IL CANONICO CHASUBLE (con un inchino): Era soltanto un’allusione classica, tratta dagli autori pagani. Vi vedrò certamente entrambe per il vespro?

MISS PRISM: Penso, caro dottore, che una passeggiata con voi mi farà bene. È proprio vero, ora sento anch’io che ho mal di testa.

IL CANONICO CHASUBLE: Con piacere, miss Prism, con piacere. Andremo fino alla scuola del villaggio e torneremo qui.

MISS PRISM: Sarà proprio delizioso. Cecilia, durante la mia assenza tu leggerai il libro di economia politica. Il capitolo sulla caduta della rupìa lo puoi saltare. È un po’ troppo sensazionale. Anche questi problemi monetari hanno il loro lato melodrammatico. (Esce dalla parte del giardino con il canonico Chasuble).

CECILIA (getta i libri uno dopo l’altro sulla tavola): Odiosa economia politica! Odiosa geografia! Odioso tedesco!

(Entra Merriman con un biglietto da visita su un vassoio d’argento).

MERRIMAN: Il signor Ernesto Worthing è arrivato in questo momento in carrozza dalla stazione. Ha portato con sé anche il bagaglio.

CECILIA (prende il biglietto e legge): «Ernesto Worthing, 4B, Albany, W.». Il fratello dello zio! Gli avete detto che il signor Worthing è in città?

MERRIMAN: Sì, signorina. È sembrato molto sorpreso. Gli ho detto che voi e miss Prism eravate in giardino. Ha detto che desiderava parlarvi un momento da sola.

CECILIA: Dite al signor Ernesto di venire qui. Sarà bene avvertire a governante di preparargli una stanza.

MERRIMAN: Sì, signorina. (Esce).

CECILIA: Non ho mai incontrato un vero scavezzacollo in vita mia. Ho quasi paura. Temo purtroppo che avrà l’aria di una personaqualunque. (Entra Agenore con aria disinvolta). E infatti!

AGENORE: Siete la cuginetta Cecilia, immagino...

CECILIA: Fate soltanto un piccolo errore. Io non sono piccola. Anzi, credo d’essere più alta del comune per la mia età. (Agenore resta stupefatto). Ma sono vostra cugina Cecilia. E voi, da quanto vedo sul biglietto da visita, siete il fratello dello zio Gianni, mio cugino Ernesto, lo sciagurato cugino Ernesto.

AGENORE: Oh! Io non sono affatto uno sciagurato, cugina Cecilia. Non dovete pensare che io sia uno scavezzacollo.

CECILIA: Se non siete uno scavezzacollo, ci avete ingannati in un modo imperdonabile. Spero che non conduciate una doppia vita, pretendendo di essere uno scavezzacollo mentre siete invece un fiore di virtù. Sarebbe una vera ipocrisia.

AGENORE (la guarda stupefatto): Purtroppo sono stato piuttosto scapestrato.

CECILIA: Mi fa piacere di sentirvelo dire.

AGENORE: Se devo dire la verità, già che ci siamo, sono piuttosto un cattivo soggetto... nel mio piccolo.

CECILIA: Non credo che ci sia da vantarsene, sebbene immagini che debba essere abbastanza piacevole.

AGENORE: È molto più piacevole essere qui con voi.

CECILIA: Non capisco come mai siate qui. Zio Giovanni non ritornerà fino a lunedì dopo pranzo.

AGENORE: Questo mi rincresce molto. Dovrò ripartire col primo treno lunedì mattina: ho un appuntamento che sono ansiosissimo di perdere.

CECILIA: E non potreste perderlo senza andare a Londra?

AGENORE: Eh, no! L’appuntamento è a Londra.

CECILIA: Capisco quanto sia importante non andare a un appuntamento, soprattutto se si vuole conservare il senso della bellezza della vita; ma penso che sarebbe meglio aspettare il ritorno dello zio. So che desidera parlarvi del suo progetto di farvi emigrare.

AGENORE: Di che cosa?

CECILIA: Di farvi emigrare. È andato in città a comprarvi il corredo.

AGENORE: Ma io non permetterò mai che Giovanni si occupi del mio corredo. Non ha nessun gusto per le cravatte.

CECILIA: Non credo che avrete bisogno di cravatte. Lo zio vuole mandarvi in Australia.

AGENORE: In Australia? Preferirei morire piuttosto.

CECILIA: Lo ha detto mercoledì a cena: dovrete scegliere tra l’Australia e l’altro mondo.

AGENORE: Le informazioni che ho avuto dell’Australia e dell’altro mondo non sono incoraggianti. Mi contento di questo mondo.

CECILIA: Sì; ma questo mondo è contento di voi?

AGENORE: Temo di no. Per questo voglio che mi recuperiate. Dovreste farne la vostra missione, cugina Cecilia.

CECILIA: Questo pomeriggio non ho tempo.

AGENORE: Vi rincrescerebbe allora se questo pomeriggio provassi a recuperarmi da solo?

CECILIA: Un’idea un po’ donchisciottesca. Ma certo: potreste provarci.

AGENORE: Ci proverò. Mi sembra già di sentirmi migliore.

CECILIA: Mi sembra che stiate peggio d’aspetto.

AGENORE: È perché ho appetito.

CECILIA: Che distrazione da parte mia! Avrei dovuto pensarlo subito che quando una persona sta per cambiare totalmente vita, ha bisogno di nutrirsi di frequente, e bene. Volete che andiamo in casa?

AGENORE: Grazie. Posso prima cogliere un fiore per mettermelo all’occhiello? Non ho appetito, se non mi metto un fiore all’occhiello.

CECILIA: Una marescialla Niel? (Prende le forbici sulla tavola).

AGENORE: No, preferisco una rosa rosa.

CECILIA: Perché? (Recide una rosa).

AGENORE: Perché voi siete come una rosa rosa, cugina Cecilia.

CECILIA: Non parlatemi in questo modo. Miss Prism non mi dice mai cose simili.

AGENORE: Vuol dire che miss Prism è una vecchia zitella miope. (Cecilia gli infila la rosa all’occhiello). Voi siete la più bella ragazza che io abbia mai visto.

CECILIA: Miss Prism dice che la bellezza è una trappola.

AGENORE: Una trappola in cui ogni uomo di buon senso sarebbe felice di cadere.

CECILIA: Non so se mi piacerebbe intrappolare un uomo di buon senso. Non saprei di che cosa parlargli.

(Entrano in casa. Ritornano dal giardino miss Prism e il canonico Chasuble).

MISS PRISM: Voi siete troppo solo, caro dottor Chasuble. Dovreste sposarvi. Posso ancora comprendere un misantropo, ma un donnantropo proprio no!

IL CANONICO CHASUBLE: Credete a me, io non merito una frase così moderna. Tanto il precetto che la prassi della Chiesa Primitiva sono contrari al matrimonio.

MISS PRISM (sentenziosa): Per questa ragione la Chiesa Primitiva non è durata fino ai giorni nostri. E voi non vi rendete conto, caro reverendo, che persistendo a rimanere celibe un uomo diventa un costante oggetto di tentazione pubblica. Gli uomini dovrebbero essere più prudenti; il celibato può condurre le navicelle più fragili alla perdizione.

IL CANONICO CHASUBLE: Ma quando un uomo è sposato non è ugualmente attraente?

MISS PRISM: Un uomo sposato è attraente soltanto per sua moglie.

IL CANONICO CHASUBLE: E sovente neanche per lei, mi dicono.

MISS PRISM: Dipende dalle simpatie intellettuali della donna. Quando una donna è matura ci si può contare. Bisogna fidarsi della stagionatura. Le donne giovani sono acerbe.(Il canonico la guarda stupito). Parlavo in termini di orticultura. La mia metafora si ispirava allafrutta. Ma dov’è Cecilia?

IL CANONICO CHASUBLE: Forse ci aveva seguiti alla scuola.

(Entra Giovanni Worthing lentamente dal fondo del giardino. È vestito in lutto strettissimo, con un nastro nero al cappello e guanti neri).

MISS PRISM: Signor Worthing!

IL CANONICO CHASUBLE: Signor Worthing?

MISS PRISM: Questa è davvero una sorpresa. Non vi aspettavamo fino a lunedì dopo pranzo.

WORTHING (stringendo la mano di Prism con aria tragica): Sono ritornato più presto di quanto credessi. Reverendo, spero chestiate bene.

IL CANONICO CHASUBLE: Caro signor Worthing! Che significato hanno queste gramaglie? Non una terribile calamità, voglio sperare.

WORTHING: Mio fratello.

MISS PRISM: Nuovi debiti vergognosi? Nuove stravaganze?

IL CANONICO CHASUBLE: La solita vita di bassi piaceri?

WORTHING (scuotendo il capo): Morto!

IL CANONICO CHASUBLE: Vostro fratello Ernesto è morto?

WORTHING: Assolutamente morto.

MISS PRISM: Che lezione per lui! Così imparerà!

IL CANONICO CHASUBLE: Signor Worthing, vi porgo le mie sincere condoglianze. Vi resta almeno la consolazione di avere la certezza d’essere stato il più generoso, il più indulgente dei fratelli.

WORTHING: Povero Ernesto! Aveva molti difetti, ma è ugualmente una triste circostanza. Molto triste.

IL CANONICO CHASUBLE: Tristissima veramente. Gli siete stato vicino al momento della dipartita?

WORTHING: No. È morto all’estero. A Parigi per l’appunto. Ho ricevuto iersera un telegramma del direttore del Grand Hotel.

IL CANONICO CHASUBLE: Accennava alla causa del decesso?

WORTHING: Un forte raffreddore, a quanto sembra.

MISS PRISM: Chi semina vento, raccoglie tempesta.

IL CANONICO CHASUBLE (alzando una mano a frenarla): Un poco di carità, cara miss Prism. Nessuno di noi è perfetto. Io stesso sono singolarmente suscettibile a ogni corrente d’aria. L’inumazione avrà luogo qui?

WORTHING: No. A quanto parte ha espresso il desiderio di esser sepolto a Parigi.

IL CANONICO CHASUBLE: A Parigi! (Scuote il capo). Temo che sia un tipico segno di squilibrio mentale nelle sue ultime ore. Sarete contento, immagino, se domenica nel mio sermone farò una lieve allusione a questa sventura domestica. (Worthing, commosso, gli stringe la mano). Il mio sermone sul significato della manna nel deserto è adattabile a quasi tutte le occasioni, liete o, come nel caso attuale, dolorose. (Tutti sospirano). L’ho pronunciato a feste della mietitura, battesimi, cresime, in giorni di mortificazione e in giorni di letizia. Me ne sono servito recentemente nella Cattedrale come predica in una funzione benefica a favore della Società per la prevenzione della Scontentezza tra le classi più abbienti. Il vescovo, era presente, è rimasto molto colpito da alcune mie similitudini.

WORTHING: A proposito... avete parlato di battesimi, non è vero, reverendo? Immagino che voi siate bravissimo a battezzare. Giusto? (Espressione di sbalordimento del canonico Chasuble). Voglio dire: voi battezzate a orario continuato o no?

MISS PRISM: Mi dispiace tanto doverlo dire, ma si tratta d’uno dei compiti più frequentemente richiesti al rettore della nostra parrocchia. Ne ho parlato con esponenti delle classi più povere. Ma, a quanto pare, costoro non hanno la minima idea di quel che dev’essere la continenza.

IL CANONICO CHASUBLE: C’è un bambino che vi sta particolarmente a cuore, signor Worthing? Vostro fratello era celibe, credo.

WORTHING: Celibe.

MISS PRISM (con amarezza): Come tutte le persone che vivono unicamente per il piacere.

WORTHING: Reverendo, non si tratta d’un infante. I bambini mi piacciono, ma il fatto è che vorrei battezzarmi io stesso, oggi pomeriggio, se voi non avete niente di meglio da fare.

IL CANONICO CHASUBLE: Ma voi siete stato di sicuro già battezzato.

WORTHING: Non me ne ricordo.

IL CANONICO CHASUBLE: Avete gravi dubbi su questo punto?

WORTHING: Sì, ho la ferma convinzione di averne. Naturalmente non riesco a rendermi conto se la cosa possa disturbarvi. Magari mi trovate un po’ troppo vecchio.

IL CANONICO CHASUBLE: Niente affatto. L’aspersione, ma se vogliamo anche l’immersione, degli adulti è una prassi normalissima.

WORTHING: L’immersione... nell’acqua?

IL CANONICO CHASUBLE: Non dovete preoccuparvi. L’aspersione è più che sufficiente, anzi direi consigliabile. Il tempo è tanto capriccioso dalle nostre parti. A che ora volete fissare la cerimonia?

WORTHING: Oh, potrei far un salto da voi verso le cinque, se vi sta bene.

IL CANONICO CHASUBLE: Perfetto, perfetto! Pensate che a quell’ora debbo celebrare altri due battesimi. Un parto gemellare che si è verificato recentemente in una delle casette proprio al confine con la vostra tenuta. Il povero Jenkins, il barrocciaio: un gran lavoratore!

WORTHING: Oh, forse non sarà divertente farmi battezzare insieme ad altri bambini. Sarebbe puerile. Non possiamo spostare alle cinque e mezzo?

IL CANONICO CHASUBLE: Magnifico! Magnifico! (Estrae l’orologio). E adesso, caro signor Worthing, voglio togliere il disturbo da questa casa immersa nel dolore. Consentitemi solo di pregarvi di non lasciarvi troppo abbattere dalla sofferenza. Spesso quelle che ci sono apparse come durissime prove si sono poi rivelate come benedizioni mascherate.

MISS PRISM: A me pare una benedizione senza maschera!

(Dalla casa esce Cecilia).

CECILIA: Che bellezza: sei tornato, zio Gianni! Ma che significa quell’orrendo vestito? Vatti subito a cambiare.

MISS PRISM: Cecilia!

IL CANONICO CHASUBLE: Bambina mia... bambina mia...!

(Cecilia va incontro a Worthing, che la bacia in fronte con aria molto triste).

CECILIA: Che succede, zio Gianni? Fa’ un viso più allegro! Sembra che tu abbia mal di denti, mentre io ho una bellissima sorpresa per te. Indovina chi c’è in sala da pranzo? Tuo fratello!

WORTHING: Chi?

CECILIA: Tuo fratello Ernesto. È arrivato mezz’ora fa.

WORTHING: Ma che dici? Io non ho fratelli.

CECILIA: Oh, non dirlo. Per quanto in passato si sia comportato male con te, è pur sempre tuo fratello. Non puoi essere senza cuore fino al punto di rinnegarlo. Adesso lo faccio venire qui. E tu gli stringerai la mano, vero zio? (Torna in casa di corsa).

IL CANONICO CHASUBLE: Ecco una lieta novella.

MISS PRISM: Dopo che ci eravamo tutti rassegnati alla sua perdita, quest’arrivo improvviso non mi piace per niente.

WORTHING: Mio fratello in sala da pranzo? Non so che cosa significhi tutto ciò. È del tutto assurdo!

(Agenore e Cecilia entrano tenendosi per mano. Avanzano lentamente verso Worthing).

WORTHING: Santo cielo! (Fa cenno ad Agenore di sparire).

AGENORE: Giovanni, fratello mio, sono venuto a dirti che sono perfettamente pentito per tutti i dispiaceri che ti ho dato e che d’ora in avanti intendo cambiar vita!

(Worthing lo guarda in cagnesco e respinge la mano che gli viene tesa).

CECILIA: Zio Gianni, non vorrai rifiutare la mano di tuo fratello?

WORTHING: Non la stringerei per tutto l’oro del mondo. Considero uno scandalo la sua venuta qui. E lui sa benissimo la ragione.

CECILIA: Zio Gianni, sii generoso. C’è qualcosa di buono in ognuno di noi. Ernesto mi stava parlando del suo amico Bumbury che è sempre ammalato e che lui va a visitare con tanta frequenza. Un uomo che ha tanta comprensione per un invalido non può essere cattivo, uno che lascia i piaceri di Londra, per sedersi accanto a un letto di dolore.

WORTHING: Ah, t’ha raccontato di Bumbury, eh?

CECILIA: Sì, m’ha detto tutto del povero signor Bumbury e del tremendo stato della sua salute.

WORTHING: Bumbury... Non gli permetterò di parlarti né di Bumbury, né d’altro. C’è da perder la pazienza!

AGENORE: Riconosco d’essere dalla parte del torto. Però devo dire che la freddezza di mio fratello mi fa male al cuore. Mi aspettavo un’accoglienza più cordiale, soprattutto in considerazione del fatto che è la prima volta che vengo qui.

CECILIA: Zio, se non stringi la mano di Ernesto, non ti perdonerò mai.

WORTHING: Mai?

CECILIA: Mai, mai, mai!

WORTHING: Be’, è l’ultima volta che lo faccio. (Stringe la mano di Agenore, ma lo guarda in cagnesco).

IL CANONICO CHASUBLE: Come mi fa piacere assistere alla riconciliazione di due fratelli, e così perfetta! Io dico che dovremmo lasciarli soli.

MISS PRISM: Cecilia, tu vieni con noi.

CECILIA: Subito, miss Prism. La mia piccola missione di pace è terminata.

IL CANONICO CHASUBLE: Oggi hai compiuto un’azione meritoria, cara piccola.

MISS PRISM: Non giudichiamo prima del tempo.

CECILIA: Sono così felice!

(Escono tutti eccetto Agenore e Worthing).

WORTHING: Pezzo di farabutto! Vattene via, e il più presto possibile. Non permetto bumbureggiamenti in questa casa.

(Entra Merriman).

MERRIMAN: Ho messo il bagaglio del signor Ernesto nella camera accanto alla sua. Va bene così?

WORTHING: Cosa?

MERRIMAN: Le valigie del signor Ernesto, signore. Le ho disfatte e ho messo tutto nella camera accanto alla sua.

WORTHING: Le valigie?

MERRIMAN: Sì, signore. Tre bauletti, un nécessaire, due cappelliere e un grande paniere da pic-nic.

AGENORE: Questa volta credo di non potermi fermare per più di una settimana.

WORTHING: Merriman, ordina subito il calesse. Il signor Ernesto è stato improvvisamente richiamato in città.

MERRIMAN: Sì, signore. (Rientra in casa).

AGENORE: Gianni, sei un bugiardo sfacciato. Non sono stato affatto richiamato in città.

WORTHING: Sì, invece.

AGENORE: Non è giunto alle mie orecchie nessun richiamo.

WORTHING: Ti richiama il tuo dovere di gentiluomo.

AGENORE: Il mio dovere di gentiluomo non s’è mai immischiato nei miei piaceri.

WORTHING: Me ne rendo conto.

AGENORE: E poi Cecilia è deliziosa.

WORTHING: Non devi parlare della signorina Cardew con questo tono. Non mi piace.

AGENORE: E a me non piace come sei vestito. Sei proprio ridicolo. Perché mai non sali a cambiarti? Vestirsi a lutto per una persona che stai per ospitare per una settimana in casa tua è assolutamente puerile. Anzi è grottesco.

WORTHING: Tu qui una settimana non la passi di sicuro, né come ospite, né come qualcos’altro. Devi partire col treno delle quattro e quarantacinque.

AGENORE: Finché sei in lutto non ci penso nemmeno. Non sarebbe da amico. Se fossi in lutto io, tu certo non mi lasceresti solo. Ci rimarrei molto male, se lo facessi.

WORTHING: Se mi cambio, vai via?

AGENORE: Sì, ma non metterci troppo tempo. Non ho mai visto nessuno tanto pignolo nel vestirsi e con risultati tanto deludenti.

WORTHING: Meglio che esser sempre tutto in ghingheri come te!

AGENORE: Forse qualche volta sono troppo ben vestito. In compenso però sono sempre troppo beneducato.

WORTHING: La tua vanità è ridicola. Il tuo modo di agire oltraggioso e la tua presenza nel mio giardino assolutamente assurda. Ti ricordo che devi prendere il treno delle quattro e quarantacinque. Spero che farai un gradevole viaggio di ritorno. Il tuo bumbureggiamento, o come lo vuoi chiamare, non ha avuto successo, questa volta.

(Worthing rientra in casa).

AGENORE: E invece, secondo me è stato un trionfo. Mi sono innamorato di Cecilia, e questo vale tutto. (Cecilia avanza dal fondo del giardino. Prende un innaffiatoio e comincia a innaffiare i fiori). Devo vederla prima di andare via e mettermi d’accordo con lei per un’altra bumburiata. Ah, eccola.

CECILIA: Sono tornata esclusivamente per innaffiare le rose. Credevo che foste in compagnia dello zio Gianni.

AGENORE: È andato a ordinare il calesse per me.

CECILIA: Ah, sì? Vi porta a fare una bella passeggiata?

AGENORE: No, vuole che parta.

CECILIA: Dunque dobbiamo separarci?

AGENORE: Ho paura di sì. Certo è una separazione molto dolorosa.

CECILIA: È sempre doloroso separarsi da chi si conosce da troppo poco tempo. L’assenza di vecchi amici la si può anche sopportare con rassegnazione. Ma la separazione da qualcuno al quale si sia stati appena presentati, per quanto breve, è quasi intollerabile.

AGENORE: Grazie.

(Entra Merriman).

MERRIMAN: Il calesse è alla porta, signore.

(Agenore guarda Cecilia con una muta richiesta).

CECILIA: Merriman fatelo aspettare... cinque minuti.

MERRIMAN: Sì, signorina.

(Merriman esce).

AGENORE: Spero, Cecilia, di non offendervi se dico con franchezza che voi mi sembrate la personificazione dell’assoluta perfezione.

CECILIA: La vostra franchezza vi fa molto onore, Ernesto. Se me lo consentite, voglio trascrivere quel che avete detto sul mio diario. (Va al tavolino e si mette a scrivere sul suo diario).

AGENORE: Tenete davvero un diario? Darei qualunque cosa per poterlo leggere. Posso?

CECILIA: Oh, no. (Lo copre con la mano). Vedete, sono soltanto i pensieri, le impressioni d’una ragazzina. Di conseguenza ho l’intenzione di pubblicarlo. Quando uscirà in volume spero che ne ordinerete una copia. Ma vi prego, Ernesto, parlate ancora. Mi piace enormemente trascrivere quel che dice un altro. Sono arrivata fino a «assoluta perfezione». Continuate. Io sono pronta.

AGENORE (preso alla sprovvista): Ehm, ehm...

CECILIA: Non tossite, Ernesto. Quand’uno detta deve parlare fluentemente e senza tossire. A ogni modo io non so come si scriva un colpo di tosse. (Scrive appena Agenore riprende a parlare).

AGENORE (parlando con estrema rapidità): Cecilia da quando ho posato gli occhi sulla vostra incomparabile beltà, ho osato amarvi, follemente, appassionatamente, devotamente, senza speranza.

CECILIA: Non credo che dovreste dirmi che mi amate follemente, appassionatamente, devotamente e senza speranza. Senza speranza non lega con il resto, non vi pare?

AGENORE: Cecilia!

(Entra Merriman).

MERRIMAN: Il carrozzino è ancora in attesa, signore.

AGENORE: Ditegli di tornare la settimana ventura alla stessa ora.

MERRIMAN (guardando Cecilia, che non fa alcun segno): Sì, signore. (Esce).

CECILIA: Lo zio Gianni sarebbe seccatissimo, se sapesse che rimanete fino alla settimana ventura alla stessa ora.

AGENORE: Io me ne infischio dello zio Gianni. Io me ne infischio di tutti, eccetto che di voi. Vi amo, Cecilia. Volete sposarmi?

CECILIA: Oh che sciocchino! Ma certo! Siamo già fidanzati da tre mesi.

AGENORE: Da tre mesi?

CECILIA: Sì, esattamente: tre mesi giovedì.

AGENORE: Ma come ci siamo fidanzati?

CECILIA: Da quando lo zio mi aveva rivelato che aveva un fratello minore scapestrato e discolo, voi siete diventato l’unico tema di conversazione fra me e miss Prism. E naturalmente un uomo di cui si parla sempre diventa un uomo interessante. Si sente che ci dev’essere qualcosa in lui. Confesso che era un po’ sciocco da parte mia, ma io mi sono innamorata di voi, Ernesto.

AGENORE: Amore! E da quando ci siamo proprio fidanzati?

CECILIA: Il 14 febbraio. Stanca della continua ignoranza della mia esistenza, avevo deciso di farla finita e vi ho accettato come fidanzato sotto questo albero. Il giorno dopo ho comprato questo anellino in vostro nome e questo è il braccialetto con il nodo d’amore che vi ho promesso di portare sempre.

AGENORE: Ve l’ho donato io? È carino vero?

CECILIA: Sì, avete molto buon gusto, Ernesto. È la scusa che io ho sempre trovato per la vostra vita dissoluta. E questa è la cassettina in cui tengo le vostre care lettere. (Si inginocchia alla tavola, apre la cassettina, ne trae un pacchetto di lettere legato con un nastrino azzurro).

AGENORE: Le mie lettere! Ma cara, dolce Cecilia, io non vi ho mai scritto delle lettere!

CECILIA: Non dovresti ricordarmelo, Ernesto. So molto bene che ho dovuto scrivermele da sola. Me ne scrivevo tre per settimana, e qualche volta anche quattro.

AGENORE: Lasciatemele leggere, Cecilia!

CECILIA: Impossibile. Vi dareste troppe arie. (Richiude la cassettina). Le ultime tre che mi avete scritto dopo che abbiamo rotto il fidanzamento sono così belle, e così piene d’errori, che anche adesso non posso leggerle senza piangere un pochino.

AGENORE: Ma come; abbiamo rotto il fidanzamento?

CECILIA: Sicuro il 22 marzo. Potete vederne la data sul mio diario. (Glielo mostra). «Oggi ho rotto il fidanzamento con Ernesto. Penso che sia meglio così. Il tempo continua a essere bellissimo.»

AGENORE: Ma perché lo abbiamo rotto? Che cosa avevo fatto? Ionon ho fatto nulla, Cecilia. Sono molto offeso che abbiate deciso di rompere. Soprattutto quando il tempo era bellissimo.

CECILIA: Non sarebbe stato un fidanzamento serio, se non fossestato rotto almeno una volta. Ma prima che la settimana fosse finita vi avevo perdonato.

AGENORE (le si inginocchia davanti): Siete davvero un angelo, Cecilia!

CECILIA: E voi un ragazzo romantico. (Agenore la bacia, Cecilia gli passa le dita fra i capelli). Spero che questi ricci siano naturali, vero?

AGENORE: Sì, cara, naturali, con un pochino di aiuto.

CECILIA: Sono proprio contenta.

AGENORE: Non romperete più il fidanzamento, vero?

CECILIA: Non credo che potrò più romperlo, ora che vi ho conosciuto. E poi c’è la questione del nome.

AGENORE (un po’ nervoso): Naturalmente.

CECILIA: Voi non dovete ridere di me, caro, ma è sempre stato il mio sogno amare un uomo che si chiamasse Ernesto. (Agenore si alza, si alza anche Cecilia). C’è qualcosa in quel nome che mi ispira assoluta fiducia. Dev’essere triste per una donna sposare un uomo che non si chiama Ernesto.

AGENORE: Ma, cara bambina, volete dire che non potreste amarmi se mi chiamassi con un altro nome?

CECILIA: Con quale nome?

AGENORE: Non so... un nome qualsiasi... per esempio Agenore.

CECILIA: Non mi piace il nome Agenore!

AGENORE: Ebbene, mia dolce, cara, adorata Cecilia, io non vedo proprio che cosa possiate obiettare contro il nome di Agenore. Non è affatto un brutto nome. Anzi è un nome aristocratico. Quasi tutti i miei amici che finiscono alla Corte dei Fallimenti si chiamano Agenore. Sul serio, Cecilia... se mi chiamassi Agenore mi amereste lo stesso?

CECILIA (alzandosi): Potrei rispettarvi, ammirare il vostro carattere, ma non credo che potrei dedicarvi tutti i miei pensieri.

AGENORE: Oh Cecilia! (Prende il suo cappello). Il curato è, immagino, pratico di ogni sorta di riti religiosi?

CECILIA: Il dottor Chasuble è un uomo coltissimo. Non ha mai scritto libri, così potete immaginare quante cose ha ancora in testa.

AGENORE: Bisogna che vada subito a trovarlo per un battesimo importantissimo.

CECILIA: Oh!

AGENORE: Non starò via più di mezz’ora.

CECILIA: Visto che siamo fidanzati dal 14 febbraio e che vi ho incontrato oggi per la prima volta, mi sembra crudele che mi lasciate per una intera mezz’ora. Non potreste accontentarvi di venti minuti?

AGENORE: Volo e torno. (La bacia e fugge in fondo al giardino).

CECILIA: Che ragazzo impetuoso! Mi piacciono i suoi capelli. Bisogna che annoti la sua proposta sul mio diario.

(Entra Merriman).

MERRIMAN: C’è una certa signora o signorina Fairfax che chiede del signor Worthing. Dice che si tratta di una cosa molto importante.

CECILIA: Il signor Worthing non è nello studio?

MERRIMAN: Il signor Worthing era andato verso la chiesa qualche tempo fa.

CECILIA: Pregate la signora di passare in giardino; il signor Worthing sarà di ritorno certamente fra poco. E portate il tè.

MERRIMAN: Sì, signorina. (Esce).

CECILIA: La signora Fairfax! Immagino sarà una delle tante beghine che obbligano lo zio John nelle sue attività filantropiche a Londra. Non mi piacciono le donne che passano tutto il loro tempo in attività filantropiche. Mi sembra una faccenda troppo spinta.

(Entra Merriman).

MERRIMAN: La signorina Fairfax. (Entra Guendalina, esce Merriman).

CECILIA (andandole incontro): Lasciate che mi presenti da me. Sono Cecilia Cardew.

GUENDALINA: Cecilia Cardew... (Si stringono la mano). Che nome dolce! Qualcosa mi dice che saremo buone amiche. Mi piacete già infinitamente. La mia prima impressione non è mai sbagliata.

CECILIA: Come è gentile da parte vostra dirmi queste cose dopo che ci siamo conosciute da così poco tempo. Prego, sedetevi.

GUENDALINA (sempre in piedi): Posso chiamarvi Cecilia?

CECILIA: Con piacere!

GUENDALINA: E voi chiamatemi pure Guendalina.

CECILIA: Se lo desiderate.

GUENDALINA: Allora siamo d’accordo, vero?

CECILIA: Spero di sì.

(Una pausa. Poi si siedono tutte e due allo stesso tempo).

GUENDALINA: Forse è meglio che vi dica chi sono. Mio padre è Lord Bracknell. Non avete mai sentito il nome di papà?

CECILIA: Non credo.

GUENDALINA: Fuori dall’ambiente di famiglia, papà, sono lieta di dirlo, non lo conosce nessuno. E così dovrebbe essere sempre. La casa è l’ambiente vero di un uomo. E quando un uomo comincia a trascurare i suoi doveri domestici diventa troppo simile a una donna, non è vero? E questo non mi piace. Rende gli uomini davvero troppo attraenti. Cecilia, la mamma, che ha sull’educazione delle opinioni molto antiquate, mi ha allevata come se fossi un po’ miope; fa parte del suo sistema pedagogico; non vi rincresce, spero, se vi guardo attraverso l’occhialino?

CECILIA: Affatto, Guendalina. A me piace essere guardata.

GUENDALINA (dopo averla guardata attraverso l’occhialino): Siete qui per una visita, immagino?

CECILIA: Neanche per sogno! Io vivo qui.

GUENDALINA: Davvero? Immagino che anche vostra madre, o qualche vecchia parente di sesso femminile, viva qui con voi.

CECILIA: Neanche per sogno! Non ho madre, anzi, non ho nessun parente.

GUENDALINA: Veramente?

CECILIA: Il mio caro tutore, con l’assistenza di miss Prism, ha l’arduo compito di badare a me.

GUENDALINA: Il vostro tutore?

CECILIA: Sì, sono la pupilla del signor Worthing.

GUENDALINA: Oh! È strano che non me lo abbia mai detto. Ha voluto fare il misterioso! Diventa sempre più interessante. Non sono più sicura però che la notizia mi faccia molto piacere. (Si alza e le si avvicina). Mi piacete molto, Cecilia; mi siete piaciuta dal primo istante che vi ho vista; ma debbo farvi una confessione: ora so che siete la pupilla del signor Worthing e non posso trattenermi dal dire che preferirei che foste un po’ più vecchia di quanto sembrate... e non così attraente. In realtà, se debbo esser franca...

CECILIA: Ma certo! Io penso che quando uno ha da dire delle cose spiacevoli, dovrebbe sempre essere sincero.

GUENDALINA: E allora, per parlare con franchezza, preferirei che aveste quarantadue anni e foste anche bruttina. Ernesto ha un carattere molto leale; è la quintessenza dell’onestà e della verità; sarebbe impossibile per lui essere bugiardo e ipocrita; ma anche gli uomini dal più nobile carattere sono estremamente suscettibili all’influenza della bellezza. La storia moderna, non meno di quella antica, è piena di penosi esempi della cosa a cui alludo. Se non fosse così, la Storia sarebbe illeggibile.

CECILIA: Scusate, Guendalina, avete detto Ernesto?

GUENDALINA: Sì.

CECILIA: Oh, ma non è il signor Ernesto Worthing il mio tutore. È suo fratello, suo fratello maggiore.

GUENDALINA: Ernesto non mi ha mai detto di avere un fratello.

CECILIA: Purtroppo non sono stati in buoni rapporti per molto tempo.

GUENDALINA: Allora capisco. Adesso che ci penso non ho mai inteso un uomo parlare di suo fratello. Probabilmente gli uomini lo considerano un argomento antipatico. Cecilia, mi avete proprio levato un peso dal cuore. Stavo diventando molto sospettosa. Sarebbe stato terribile se una nuvola avesse attraversato un’amicizia come la nostra, vero? Naturalmente... voi siete sicura, proprio sicura... che non è il signor Ernesto Worthing il vostro tutore?

CECILIA: Sicurissima. In realtà, ora sono io che sto per diventare la sua tutrice.

GUENDALINA: Come dite?

CECILIA (timida e in confidenza): Carissima Guendalina, non c’è ragione perché debba nascondere questo segreto. Di sicuro il nostro giornaletto locale darà la cronaca di questo avvenimento. Il signor Ernesto Worthing e io siamo fidanzati.

GUENDALINA (alzandosi, con esagerata freddezza): Mia carissima Cecilia, credo che ci sia un piccolo errore. Il signor Ernesto Worthing è fidanzato con me. L’annuncio sarà pubblicato sul Morning Post sabato al più tardi.

CECILIA (alzandosi a sua volta, molto educatamente): Temo che vi facciate delle illusioni. Ernesto mi ha proposto di sposarlo proprio dieci minuti fa. (Le mostra il diario).

GUENDALINA (esaminando il diario con l’occhialino): È certamente una cosa curiosa perché mi aveva chiesto di essere sua moglie ieri pomeriggio alle 5,30. Se volete sincerarvene, ecco qua. (Tira fuori dalla borsa il suo diario). Io non viaggio mai senza il mio diario. Bisogna sempre avere qualcosa di sensazionale da leggere in treno. Mi dispiace Cecilia, se questa è una delusione per voi, ma credo di avere la precedenza.

CECILIA: Mi dispiacerebbe più di quanto non posso dire causarvi un qualsiasi dolore, morale o fisico, ma debbo farvi notare, cara Guendalina, che evidentemente Ernesto, dopo aver fatto la sua proposta a voi, deve aver cambiato parere.

GUENDALINA (meditando): Se il poveretto è stato colto in un tranello sarà mio dovere intervenire per trarlo in salvo, subito e con mano ferma.

CECILIA (riflettendo con tristezza): Quali che siano le trappole in cui il mio caro ragazzo si è andato a cacciare, non glielo rimprovererò mai dopo che saremo sposati.

GUENDALINA: Fate allusione a me, signorina Cardew, come a una «intrappolatrice»? Siete molto presuntuosa. In un’occasione come questa bisogna parlare francamente. Diventa un piacere.

CECILIA: Volete dire, signorina Fairfax, che io ho fatto cadere Ernesto in un tranello? Come osate? Questa non è un’occasione da mettersi i guanti. Quando io vedo una vanga, la chiamo vanga.

GUENDALINA: Sono lieta di poter dire di non aver mai visto una vanga. È ovvio che le nostre condizioni sociali sono differenti.

(Entra Merriman, seguito dal domestico. Porta un vassoio, la tovaglia, e il portabiscotti. Cecilia sta per ribattere; ma alla presenza dei domestici si trattiene; e le due ragazze si guardano in cagnesco).

MERRIMAN: Preparo il tè qui come sempre, signorina?

CECILIA: Sì, come sempre.

(Merriman sgombra la tavola dai libri e apparecchia. Una lunga pausa. Le due ragazze si guardano sempre in cagnesco).

GUENDALINA: Ci sono delle belle passeggiate nelle vicinanze, signorina Cardew?

CECILIA: Moltissime. Dalla cima di quelle colline si vedono cinque contee.

GUENDALINA: Cinque contee! Non credo che mi piacerebbe; io odio la folla.

CECILIA: Suppongo che per questo vivete in città.

(Guendalina si morde le labbra, e batte il piede nervosamente).

GUENDALINA (guardandosi attorno): Avete un bel giardino, signorina Cardew.

CECILIA: Sono lieta che vi piaccia, signorina Fairfax.

GUENDALINA: Non avevo idea che ci fossero dei fiori in campagna.

CECILIA: Oh, i fiori qui sono comuni come la gente in città.

GUENDALINA: Personalmente io non capisco come la gente possa vivere in campagna, ammesso che qualcuno ci viva. La campagna mi annoia sempre a morte.

CECILIA: Ah! Sarebbe questa la depressione agricola, come la chiamano i giornali? Credo che l’aristocrazia ne risenta molto in questo momento. Mi è stato detto che è quasi un’epidemia. Posso offrirvi una tazza di tè?

GUENDALINA (con gentilezza esagerata): Grazie. (A parte): È una ragazza detestabile! Ma ho bisogno di una tazza di tè.

CECILIA: Zucchero?

GUENDALINA (con superiorità): No, grazie. Lo zucchero non è più di moda.

(Cecilia la guarda rabbiosa; poi prende le mollette e mette quattro zollette di zucchero nella tazza).

CECILIA: Una fettina di ciambella o pan burrato?

GUENDALINA: Pan burrato, per piacere. La ciambella non la si serve più nelle case alla moda.

CECILIA (taglia una grossa fetta di ciambella e la mette nel piatto di Guendalina. Al domestico): Per la signorina Fairfax.

(Merriman serve, poi esce con il domestico. Guendalina beve il tè e fa una smorfia. Depone la tazza, allunga la mano per prendere il pan burrato e trova la torta. Si alza indignata).

GUENDALINA: Mi avete riempito la tazza di zucchero, e vi avevo chiesto chiaramente di darmi del pan burrato. Io sono famosa per la gentilezza del mio carattere e la dolcezza della mia natura, ma vi avviso che state andando troppo in là.

CECILIA (alzandosi): Per salvare il mio povero, innocente e fiducioso ragazzo dalle macchinazioni di un’altra ragazza farei qualunque cosa.

GUENDALINA: Dal primo momento che vi ho vista, ho diffidato di voi. Non mi sbaglio mai in queste cose.

CECILIA: Temo, signorina Fairfax, di abusare del vostro tempo. Senza dubbio avete delle altre visite da fare nel vicinato.

(Entra Giovanni Worthing).

GUENDALINA: Ernesto! Mio caro Ernesto!

WORTHING: Guendalina! Tesoro! (Fa per baciarla).

GUENDALINA (ritraendosi): Un momento... Posso chiederti se sei fidanzato con questa signorina? (Indica Cecilia).

WORTHING (ridendo): Con la piccola e cara Cecilia? No certo! Cosa può aver messo quest’idea nella tua graziosa testolina?

GUENDALINA: Grazie. Ora puoi! (Gli offre la guancia).

CECILIA (con estrema delicatezza): Sapevo che doveva esserci un equivoco, signorina Fairfax. Il signore che in questo momento vi stringe alla vita è il mio tutore, Giovanni Worthing.

GUENDALINA: Scusate, state dicendo?

CECILIA: Questo è lo zio Gianni.

GUENDALINA (retrocedendo): Oooh! Gianni!

(Entra Agenore).

CECILIA: Eccolo, Ernesto.

AGENORE (andando da Cecilia senza notare gli altri): Amore mio! (Tenta di baciarla).

CECILIA (ritraendosi): Un momento, Ernesto! Permettimi una domanda. Sei fidanzato con questa signorina?

AGENORE (guardandosi attorno): Con quale signorina? Santo cielo! Guendalina!

CECILIA: Sì, con Santocielo Guendalina, voglio dire con lei.

AGENORE (ridendo): No certo! Cosa può aver messo quest’idea nella tua graziosa testolina?

CECILIA: Grazie. (Offre la guancia per farsi baciare). Ora puoi. (Agenore la bacia).

GUENDALINA: Sapevo che doveva esserci un equivoco, signorina Cardew. Il signore che in questo momento vi stringe alla vita è mio cugino, Agenore Moncrieff.

CECILIA (staccandosi da Agenore): Oooh! Agenore!

(Le due ragazze vengono una accanto all’altra e si circondano reciprocamente la vita, con un gesto di affettuosa protezione).

CECILIA: Ti chiami Agenore?

AGENORE: Non posso negarlo.

CECILIA: Oooh!

GUENDALINA: Ti chiami davvero Giovanni?

WORTHING (gonfiando il petto con una certa qual fierezza): Potrei negarlo, se volessi; potrei negare qualunque cosa, se volessi. Ma mi chiamo proprio Giovanni. Mi chiamano Giovanni da molti anni.

CECILIA (a Guendalina): Siamo vittime tutte e due d’un raggiro volgarissimo!

GUENDALINA: Mia povera Cecilia! Come t’hanno ferita!

CECILIA: Mia povera Guendalina! Come t’hanno ingannata!

GUENDALINA (lenta e seria): Mi chiamerai sorellina, non è vero? (Si abbracciano).

(Worthing e Agenore emettono un gemito e cominciano a camminare su e giù).

CECILIA (quasi allegra): C’è una sola domanda che vorrei rivolgere al mio tutore.

GUENDALINA: Ottima idea! Signor Worthing, c’è solo una domanda che vorrei aver la licenza di rivolgervi. Dov’è vostro fratello Ernesto? Siamo entrambe fidanzate con vostro fratello Ernesto, ed è quindi importante per tutte e due scoprire dove si trova adesso Ernesto.

WORTHING (lentamente e esitante): Guendalina... Cecilia... è veramente penoso per me esser costretto a dire la verità. È la prima volta in vita mia che mi trovo in questa situazione e confesso di non aver alcuna esperienza di casi del genere. Comunque, vi dirò in tutta sincerità che non ho fratelli che rispondano al nome di Ernesto. Non ho nessun fratello. Mai avuto fratelli in vita mia. E non ho nessuna intenzione di averne uno in futuro.

CECILIA (sorpresa): Non hai un fratello?

WORTHING (allegro): No!

GUENDALINA (severa): Non avete mai avuto fratelli di nessun genere?

WORTHING (gentilmente): Di nessunissimo genere.

GUENDALINA: Ormai è chiaro, Cecilia. Non siamo fidanzate con nessuno.

CECILIA: Non è piacevole per una ragazza trovarsi all’improvviso in una situazione del genere, vero?

GUENDALINA: Entriamo in casa. Lì non oseranno seguirci.

CECILIA: Eh, no. Gli uomini son talmente vigliacchi. Sei d’accordo?

(Si ritirano nella casa rivolgendo ai due uomini sguardi pieni di disprezzo).

WORTHING: Suppongo che questo sinistro pasticcio sia quella che tu chiami una bumburiata.

AGENORE: Sì, ed è una bumburiata meravigliosa. La più colossale bumburiata che abbia combinato in vita mia.

WORTHING: Ma tu non hai nessun diritto di bumburiare qui!

AGENORE: Che assurdità! Uno ha il diritto di bumburiare dovunque. Chiunque bumbureggia seriamente lo sa benissimo.

WORTHING: C’è anche chi bumbureggia seriamente? Andiamo!

AGENORE: Bisogna pur fare qualcosa sul serio, se vogliamo divertirci un po’ nella vita. Io, guarda caso, bumbureggio seriamente. Cosa diavolo sarai capace di far sul serio tu non lo so immaginare. Probabilmente tutto. Sei talmente incosciente!

WORTHING: Ho una sola piccola soddisfazione in tutta questa incresciosa storia, ed è che il tuo amico Bumbury questa volta è andato definitivamente in cielo. Non riuscirai più a filartela in campagna come una volta, caro Age. Il che è quel che ci vuole.

AGENORE: Anche tuo fratello lo vedo malridotto, non trovi? Non riuscirai più a scendere a Londra con la tua solita e abitudinaria perversione. Nemmeno questo è un gran male.

WORTHING: Quanto al tuo contegno verso la signorina Cardew, devo dire che aver ingannato una fanciulla così timida, innocente e semplice non merita perdono. Senza contare che si tratta della mia pupilla.

AGENORE: È altrettanto imperdonabile aver ingannato una brillante, intelligente, espertissima giovane dama come la signorina Fairfax. Senza contare che è mia cugina.

WORTHING: Volevo fidanzarmi con Guendalina, tutto qui. Io l’amo.

AGENORE: E io volevo solo fidanzarmi con Cecilia. L’adoro.

WORTHING: Che peccato non esista la minima possibilità d’un tuo matrimonio con la signorina Cardew!

AGENORE: D’altra parte nemmeno io credo che ci siano possibilità d’un tuo matrimonio con la signorina Fairfax.

WORTHING: Non sono affari tuoi.

AGENORE: Se fossero affari miei, eviterei di parlarne. (Comincia a mangiare i salatini e le paste). È da persone volgari parlare dei propri affari. Lo fa soltanto gentucola come gli agenti di cambio, e soltanto a pranzo.

WORTHING: Come fai a rimanertene calmo mangiando pasticcini mentre ci troviamo dentro un pasticcio enorme, io non so proprio immaginarlo. Sei assolutamente privo di sentimento.

AGENORE: Io non saprei mangiare i pasticcini se fossi tutto agitato. Finirei coperto di briciole: bisogna mandarli giù con calma, non c’è altro modo.

WORTHING: Voglio dire che il tuo divorar pasticcini in una circostanza come questa dimostra una totale mancanza di cuore.

AGENORE: Quando sono in un mare di guai c’è una sola cosa che può tirarmi su: mangiare. Anzi, quando i guai sono davvero terribili, come ti dirà chiunque mi conosce a fondo, rifiuto tutto tranne cibo e bevande. In questo momento sono infelice e perciò divoro ciambelle e pasticcini. E poi ho sempre avuto un debole per quelli leggermente salati. (Si alza).

WORTHING (alzandosi anche lui): Be’, non è una buona ragione per farli fuori tutti con quell’ingordigia. (Gli toglie il piatto di mano).

AGENORE: Perché non prendi invece un pezzetto di ciambella? A me non piace.

WORTHING: Santi numi! Un uomo potrà ben mangiare qualche dolcetto nel suo giardino!

AGENORE: Ma se hai detto poco fa che mangiare significa essere senza cuore.

WORTHING: Ho detto che era senza cuore da parte tua. C’è una bella differenza.

AGENORE: Può essere. Ma i pasticcini sono gli stessi. (Gli toglie il piatto dei dolcetti).

WORTHING: Age, vorrei proprio che te ne andassi.

AGENORE: Non vorrai chiedermi d’andarmene senza avermi offerto un pasto. Sarebbe assurdo. E poi io non viaggio mai a stomaco vuoto. Non lo fa nessuno, salvo i vegetariani o roba del genere. Inoltre ho preso appuntamento con il canonico Chasuble per farmi battezzare alle sei meno un quarto col nome di Ernesto.

WORTHING: Caro amico, prima rinunzi a quest’idea e meglio è. Io mi sono accordato questa mattina col canonico Chasuble per farmi battezzare alle cinque e mezza. Naturalmente mi farò imporre il nome di Ernesto, come vuole Guendalina. Non possiamo farci battezzare come Ernesti tutti e due. È assurdo. Poi io ho tutti i diritti di farmi battezzare, se ne ho voglia. Non ci sono prove che sia mai stato battezzato da chicchessia. Con tutte le probabilità non lo sono mai stato e il reverendo mi dà ragione. Il tuo caso è molto diverso. Tu sei già stato battezzato.

AGENORE: Sì, ma sono tanti anni che non mi battezzo.

WORTHING: D’accordo, ma sei stato battezzato. Quest’è l’importante.

AGENORE: Proprio così. Quindi io so che il mio fisico tollera il battesimo. Invece tu, se non sei più che sicuro d’esser stato battezzato, mi sembra molto imprudente che corra questo rischio adesso. Potrebbe farti male. Non avrai già dimenticato che un tuo consanguineo per poco non finiva all’altro mondo questa settimana a Parigi, in seguito a un forte raffreddore.

WORTHING: Sì, ma i forti raffreddori non sono ereditari. Sei tu che me lo hai detto.

AGENORE: Forse una volta no, ma oserei dire che oggi lo sono. La scienza continua a fare progressi incredibili in tutti i campi.

WORTHING (riprendendo ancora il piatto dei pasticcini): Oh, che sciocchezze! Non sei capace che di dir sciocchezze!

AGENORE: Gianni, hai ricominciato coi pasticcini. Vorrei che la finissi: ce ne sono rimasti solo due... (Li prende). Te l’avevo detto, tra me e i pasticcini c’è un’affinità elettiva. (Gli offre la ciambella).

WORTHING: La ciambella io non posso soffrirla!

AGENORE: E allora perché permetti che la offrano ai tuoi amici? Che razza d’idea hai dell’ospitalità?

WORTHING: Agenore! Ti ho già detto d’andartene. Non ti voglio qui! Perché non te ne vai?

AGENORE: Non ho ancora finito il mio tè. E c’è rimasto ancora un pasticcino. (Worthing geme e sprofonda su una sedia. Agenore continua a mangiare).

 

Sipario

Questo ebook appartiene a lidia barone - 1124737 Edito da Newton Compton Editori Acquistato il 01/08/2011 13.50.20 con numero d'ordine 63790
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