Salomé

Tragedia in un atto

1892

 

 

 

 

Premessa

 

Sull’ideazione di questo breve dramma ha scritto qualche pagina tanto convincente quanto storicamente esatta il critico Francesco Mei nella sua appassionata biografia dello scrittore (Wilde, Rusconi ed., Milano, pp. 90-91):

 

Durante il soggiorno parigino, dai primi di novembre del 1891 alla metà di gennaio del 1892, Wilde si rimise in contatto con quei giovani scrittori che cercavano nuove forme d’espressione in un simbolismo decadente, rivolto ad esaltare il valore assoluto della parola al di fuori del linguaggio comune. La capitale francese attraeva Wilde non solo per i costumi molto più liberi che non a Londra, ma anche per l’atmosfera intellettuale più congeniale e stimolante. Ospite per qualche giorno dell’ambasciatore inglese Lord Edward Robert Bulwer-Litton, ex viceré delle Indie, che condivideva i suoi gusti particolari, Wilde poteva passare dalla bohème dei ritrovi studenteschi di Montmartre e del Quartiere Latino ai salotti aristocratici ed esclusivi del Faubourg Saint-Germaine, come quello della baronessa Deslandes e della principessa russa Urasov.

Tuttavia, c’era in Oscar un fondo puritano che non gli permetteva di condividere fino in fondo la disperata identificazione di arte e vita dei poeti maledetti: era troppo inglese, troppo legato all’immagine aristocratica del dandy. Più che a Verlaine, si sentiva congeniale a quegli scrittori, come Gide e Pierre Louÿs, in cui l’attrazione dei sensi era temperata da un’autentica inquietudine spirituale e che, come Maeterlinck e Mallarmé, riuscivano a mediare le pulsioni erotiche nell’alchimia quasi ascetica della parola.

 

Ma ecco i tempi della «folgorazione» e della rapidissima stesura. Lo scrittore Jean Lorrain, oggi più noto per il duello sostenuto contro Proust che per i suoi meriti letterari (Belletti e veleni, Polvere di Parigi, Il signor di Phocas ecc.), era all’epoca l’interprete più sottile e caustico della Parigi mondana e ottimo critico d’arte. Nel suo studio, in cui Lorrain aveva anni prima tentato una meno probabile carriera artistica, Wilde vide un cartone preparatorio della grande tela della Salomé di Gustave Moreau, quella in cui la principessa, adorna solo di gioielli, danza davanti alla testa del Battista. Per più giorni lo scrittore tentò di trasporre sulla pagina le emozioni che la visione del quadro e il soggetto trattato avevano suscitato in lui, ma senza riuscirvi. Provò più volte a stendere il copione ma il tema lo toccava troppo da vicino. Capiva che solo trasferendolo in un’aura mistica e surreale avrebbe potuto oggettivare il grumo emotivo che lo agitava. Forse la relazione con il giovane Alfred Douglas portava adesso stranamente alla luce qualcosa di oscuro, rimosso nell’inconscio, che in seguito alla nuova esperienza amorosa acquistava evidenza drammatica.

 

L’ispirazione decisiva gli venne un pomeriggio in cui, tornando al suo albergo in Rue des Capucines, sollecitato dalla vista di un quaderno nuovo, seguì l’idea che gli era balenata parlandone a pranzo con gli amici. Scrisse di seguito fino alle undici di sera, poi decise di scendere a mangiare qualcosa al Grand-Café, all’angolo tra il Boulevard e rue Scribe. Sentiva che si era avvicinato al cuore del soggetto, ma gli mancava ancora qualcosa. Si rivolse allora al violinista Riso, che dirigeva l’orchestrina zigana: «Sto scrivendo un dramma su una donna che danza a piedi nudi nel sangue di un uomo che ha amato e che ha fatto uccidere. Ma non riesco ad afferrare bene lo spirito della situazione. Suonami qualcosa che mi metta in sintonia...». Il violinista comprese al volo: Wilde ascoltò, si immerse nell’atmosfera, prese qualche appunto. La notte stessa il copione era terminato.

 

Wilde scrisse Salomé in francese perché aspirava a crearsi una fama internazionale. Ma altri motivi, di carattere estetico e personale, contribuirono alla scelta. La lingua straniera gli facilitava, con il distacco dal linguaggio comune, logorato dall’uso, l’intento di restituire alla parola tutto il suo potere evocativo di suggestione simbolica e quasi sacrale.

Sul primo tentativo di rappresentare l’opera a Londra, la prima rappresentazione parigina e la prima edizione a stampa della Salomé, si veda la Introduzione al teatro di Masolino D’Amico in questo stesso volume alle pp. 277-78.

Per quanto concerne le rappresentazioni italiane va ricordato un curioso esperimento di rappresentazione parziale al Teatro degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia, che il «còrago sublime» raccontava press’a poco così: «Una sera al termine dello spettacolo di Ubu roi di Jarry nell’estate del 1926, gli spettatori erano rimasti in sala a chiacchierare e a discutere e qualcuno s’era messo al pianoforte e suonava la danza dei sette veli dall’opera straussiana; era presente anche Evgenija Borisenko, che di lì a poco avrebbe assunto lo pseudonimo di Jia Ruskaja; la danzatrice improvvisò qualche movimento, e ipso facto fu deciso di tentare una messa in scena della Salomé wildiana in soli tre giorni di prove e con la collaborazione degli attori che prendevano parte a Ubu, tra cui Sacripante, la Vercelloni (che sarebbe stata Erodiade) e Lazzarini (Johanaan). Fu fatto e fu un trionfo, ma per due sole repliche perché all’improvviso la Ruskaja sparì e non fu possibile sostituirla».

Rappresentazioni successive con Helena Wnorovska e altre furono coraggiosi tentativi di imporre al pubblico la celebrazione di un erotismo amorale e irrazionale senza riscatti piccolo-borghesi, ma non ottennero quei consensi che era lecito sperare.

Un mezzo infortunio per il regista (Corrado Pavolini) fu il ciclo di rappresentazioni milanesi promosse dall’impresario Remigio Paone, protagonista Laura Adani. Mancò totalmente, a giudizio della critica, «l’atmosfera greve che ammorba la reggia di Gerusalemme» e le invenzioni o disgressioni registiche finirono col frantumare questo testo erudito e allusivo, tra i più statici che si possano immaginare.

Restano invece nella storia delle rappresentazioni sceniche importanti le numerose rielaborazioni che di questo testo ha dato Carmelo Bene tra gli anni Sessanta e Settanta, con la collaborazione di Lydia Mancinelli, Alfiero Vincenti, Piero Vida, Luigi Mezzanotte. Con la genialità che solo adesso gli viene riconosciuta, Bene comprese perfettamente che l’estetismo di Wilde era soltanto un modo di stare in scena: «Ci sono due mondi: uno è il mondo reale e di questo non vale la pena di parlare perché lo vedono tutti; l’altro è il mondo dell’arte del quale invece bisogna parlare perché altrimenti non esisterebbe». Nell’apparente gusto parodistico, Bene ci offrì senza pesantezze non l’apologia del languore estetizzante, ma la formula sarcatica e innovatrice della sensibilità moderna.

In anni più recenti il contributo maggiore alla esatta comprensione di questo testo insolito, che celebra la degenerazione della disciplina morale dei sentimenti, è stato dato dalla illuminante regia di Steven Berkoff al Festival di Spoleto: una direzione forse eversiva, ma lucidamente consapevole che «faire l’amour c’est faire le mal». Tra le numerose rappresentazioni a carattere sperimentale si ricordano una buona interpretazione di Anna Suzzi (al Teatro dell’Uccelliera in Villa Borghese a Roma) e una interessante regia di Gian Luca Bottoni (Sala Europa a Bologna, protagonista Karin Grosch, ambientazione anni Settanta).

 

LUCIO CHIAVARELLI

 

 

PERSONAGGI

 

Erode Antipa, Tetrarca di Giudea

Il profeta Johanaan

Il giovane Siriaco, Capitano della Guardia

Tigellino, giovane Romano

Un Cappadocio

Un Nubiano

Primo Soldato

Secondo Soldato

Il paggio di Erodiade

Primo Nazzareno

Secondo Nazzareno

Primo Giudeo

Secondo Giudeo

Terzo Giudeo

Quarto Giudeo

Quinto Giudeo

Un Saduceo

Un Fariseo

Il boja Naaman

Erodiade, donna del Tetrarca

Salomé, figlia di Erodiade

Le schiave di Salomé

 

Scena unica: terrazza nel palazzo di Erode.

 

La scena finge una vasta terrazza che s’apre sul salone dei banchetti nel palazzo di Erode. Alcuni soldati stanno addossati alla balaustra. A destra, una gradinata amplissima; nello sfondo a sinistra una vecchia cisterna cinta da un riparo di bronzo verde. Luna.

 

IL GIOVANE SIRIACO: Come è bella la principessa Salomé questa sera!

IL PAGGIO DI ERODIADE: Guarda la luna! È così strana la luna! Sembra una donna che si levi su dalla tomba. Sembra una donna morta. È come se andasse in cerca di cose morte.

IL GIOVANE SIRIACO: Ha un’aria strana. Sembra una piccola principessa che porti un velo giallo e abbia i sandali d’argento. Come una principessa i cui piedi siano piccole tortore bianche. Par di vederla danzare.

IL PAGGIO DI ERODIADE: Sembra una donna morta. Lentissima si muove.

(Chiasso dal salone dei banchetti.)

PRIMO SOLDATO: Che strepito! Chi sono quelle bestie selvatiche che urlano?

SECONDO SOLDATO: I Giudei. Sempre così fanno. Disputano sulla loro religione.

PRIMO SOLDATO: Perché disputano sulla loro religione?

SECONDO SOLDATO: Non so. Sempre lo fanno. I Farisei, per esempio, stimano che esistano gli angeli, e i Saducei dicono che gli angeli non esistono.

PRIMO SOLDATO: Mi pare sciocco disputare su cose simili.

IL GIOVANE SIRIACO: Come è bella la principessa Salomé questa sera!

IL PAGGIO DI ERODIADE: Tu sempre la guardi. Troppo la guardi. È pericoloso guardare la gente così. Qualcosa di terribile può accadere.

IL GIOVANE SIRIACO: È molto bella stasera.

PRIMO SOLDATO: Il Tetrarca è di umore nero.

SECONDO SOLDATO: Sì; di umore nero.

PRIMO SOLDATO: Sta guardando qualcosa.

SECONDO SOLDATO: Sta guardando qualcuno.

PRIMO SOLDATO: Chi sta guardando?

SECONDO SOLDATO: Non so.

IL GIOVANE SIRIACO: Come è pallida la principessa! Mai l’ho veduta così pallida. Sembra il riflesso di una rosa bianca in uno specchio d’argento.

IL PAGGIO DI ERODIADE: Non devi guardarla. Troppo la guardi.

PRIMO SOLDATO: Erodiade ha riempito la coppa del Tetrarca.

IL CAPPADOCIO: È quella la regina Erodiade? Quella con una mitria nera ricamata di perle, e che ha i capelli incipriati d’azzurro?

PRIMO SOLDATO: Sì; quella è Erodiade, la donna del Tetrarca.

SECONDO SOLDATO: Il Tetrarca ama il bere. Ha vini di tre sorta; uno che gli portano dall’isola di Samotracia, ed è paonazzo come il manto di Cesare.

IL CAPPADOCIO: Non l’ho veduto mai, Cesare.

SECONDO SOLDATO: Un altro che viene da una città chiamata Cipro, ed è giallo come l’oro.

IL CAPPADOCIO: Mi piace, l’oro.

SECONDO SOLDATO: E il terzo è vin di Sicilia. Rosso come il sangue.

IL NUBIANO: Gli Dei del mio paese hanno gran sete di sangue. Due volte l’anno sacrifichiamo agli Dei ragazzi e fanciulle; cinquanta giovani e cento giovinette. Ma pare che non gliene diamo mai abbastanza, perché sono molto severi con noi.

IL CAPPADOCIO: Nel mio paese non è rimasto neppure un Dio. I Romani li hanno scacciati. C’è chi dice che si sono nascosti nelle montagne; ma non può essere vero. Per tre notti andai sulle montagne, cercandoli in ogni dove: e non li ho trovati. Allora mi diedi a chiamarli per nome; e non sono venuti. Io credo che siano morti.

PRIMO SOLDATO: I Giudei adorano un Dio che non si può vedere.

IL CAPPADOCIO: È un’idea che non mi entra in testa.

PRIMO SOLDATO: Di più, credono soltanto nelle cose invisibili.

IL CAPPADOCIO: Questa poi mi pare proprio da ridere!

VOCE DI JOHANAAN: Dopo di me verrà un Altro più grande di me. Io non sono degno neppure di slacciargli i calzari. Quando giungerà si allieteranno i luoghi desolati; daran fiore come il giglio. Gli occhi dei ciechi vedranno la luce e si apriranno le orecchie dei sordi. Il bambino appena nato caccerà la mano nell’antro del drago; condurrà i leoni per la criniera.

SECONDO SOLDATO: Fallo tacere. Non dice che cose ridicole.

PRIMO SOLDATO: No, no. È un santo. E i suoi modi sono dolci. Ogni giorno quando gli porto il cibo me ne rende grazie.

IL CAPPADOCIO: Chi è?

PRIMO SOLDATO: Un profeta.

IL CAPPADOCIO: Come si chiama?

PRIMO SOLDATO: Johanaan.

IL CAPPADOCIO: E donde viene?

PRIMO SOLDATO: Dal deserto; dove si nutriva di locuste e miele selvatico. Aveva indosso pelli di cammello, e una striscia di pelle attorno ai lombi. Era terribile a vedersi. Sempre lo seguiva una grande moltitudine, né gli mancavano discepoli.

IL CAPPADOCIO: Di che stava parlando ora?

PRIMO SOLDATO: Noi non lo comprendiamo mai. Dice talvolta cose spaventose; ma capirne il senso è impossibile.

IL CAPPADOCIO: Lo si può vedere?

PRIMO SOLDATO: No. Il Tetrarca lo ha vietato.

IL GIOVANE SIRIACO: La principessa ha nascosto il volto dietro al ventaglio! Le sue piccole mani candide trepidano come colombe che volino al nido. Sembrano farfalle bianche. Realmente sono simili a farfalle bianche.

IL PAGGIO DI ERODIADE: Che importa a te? Perché la guardi? Non devi guardarla... Qualcosa di terribile può accadere.

IL CAPPADOCIO (indicando la cisterna): Quale strana prigione!

SECONDO SOLDATO: È una vecchia cisterna.

IL CAPPADOCIO: Una vecchia cisterna! Ha da essere molto malsana.

SECONDO SOLDATO: Ma no! Il fratello del Tetrarca, per esempio, il fratello maggiore, primo marito della regina Erodiade, dodici anni ve lo tennero imprigionato; e tuttavia non morì. Dopo dodici anni bisognò strangolarlo.

IL CAPPADOCIO: Strangolarlo? E chi fu tanto ardito?

SECONDO SOLDATO (additando il boja, un negro enorme): Quell’uomo laggiù, Naaman.

IL CAPPADOCIO: Non ebbe paura?

SECONDO SOLDATO: Oh, no. Il Tetrarca gli mandò l’anello.

IL CAPPADOCIO: Quale anello?

SECONDO SOLDATO: L’anello di morte. Così non ebbe paura.

IL CAPPADOCIO: Tuttavia è terribile, strangolare un re.

PRIMO SOLDATO: Perché? Hanno anche essi un collo solo, come l’altra gente.

IL CAPPADOCIO: A me par terribile.

IL GIOVANE SIRIACO: La principessa si alza! Abbandona la mensa! Sembra molto agitata. Oh, viene in qua; sì, viene verso di noi. Come è pallida! Mai l’ho veduta così pallida.

IL PAGGIO DI ERODIADE: Non la guardare. Ti scongiuro di non guardarla.

IL GIOVANE SIRIACO: È simile a una colomba sperduta... Ad un narciso che rabbrividisce nel vento... È simile a un fiore argenteo.

(Entra Salomé).

SALOMÉ: Non voglio restare. Non posso restare. Perché tutto il tempo il Tetrarca mi guarda con quei suoi occhi di talpa sotto le palpebre tremanti? È strano che così mi guardi il marito di mia madre. Non so cosa significhi. In verità, sì, lo so.

IL GIOVANE SIRIACO: Hai appena lasciato il festino, Principessa?

SALOMÉ: Come è dolce l’aria, qui. Qui posso respirare. Là dentro vi sono dei Giudei di Gerusalemme che fanno lite per i loro sciocchi cerimoniali, e dei barbari che bevono e bevono e versano il vino sul pavimento, e dei Greci di Smirne con gli occhi dipinti e le guance dipinte e i crespi capelli stretti in lunghe trecce, e dei silenziosi astuti Egiziani con appuntite unghie di giada e mantelli rossicci, e dei volgari Romani col loro rozzo parlare. Ah, come odio i Romani! Sono grossolani e brutali e si danno arie di nobili signori.

IL GIOVANE SIRIACO: Vuoi seder qui, Principessa?

IL PAGGIO DI ERODIADE: Perché le parli? Perché la guardi? Oh, qualcosa di terribile accadrà.

SALOMÉ: Come fa bene vedere la luna! Assomiglia a una monetina; la si direbbe un piccolo fiore d’argento. La luna è fredda e casta. Sono certa che è intatta, ha la beltà di una vergine. Sì, è vergine. Mai si è corrotta. Mai si abbandonò agli uomini, come le altre Dee.

VOCE DI JOHANAAN: Il Signore è venuto. Il Figlio dell’Uomo è venuto. I centauri si sono nascosti nell’acqua dei fiumi, e le sirene hanno abbandonato le spiagge e giacciono sotto le foglie delle foreste.

SALOMÉ: Chi ha gridato?

SECONDO SOLDATO: Il profeta, Principessa.

SALOMÉ: Ah, il profeta! Colui del quale il Tetrarca ha paura.

SECONDO SOLDATO: Noi non sappiamo di questo, Principessa. È stato il profeta Johanaan a gridare.

IL GIOVANE SIRIACO: Vuoi che dia ordine di portar qui la tua lettiga, Principessa? La notte è bella nel giardino.

SALOMÉ: Dice di mia madre terribili cose, non è vero?

SECONDO SOLDATO: Noi non lo comprendiamo mai, Principessa.

SALOMÉ: Sì; dice di lei terribili cose.

(Entra una Schiava.)

LA SCHIAVA: Principessa, il Tetrarca ti prega di tornare al banchetto.

SALOMÉ: Non voglio tornare.

IL GIOVANE SIRIACO: Perdonami, Principessa; ma se non rientri certo accadrà qualche sventura.

SALOMÉ: È un vecchio, questo profeta?

IL GIOVANE SIRIACO: Principessa, sarebbe meglio rientrare. Consentimi di ricondurti.

SALOMÉ: Questo profeta... è un vecchio?

PRIMO SOLDATO: No, Principessa: un uomo molto giovane.

SECONDO SOLDATO: Non si può essere certi. Qualcuno dice che sia Elia.

SALOMÉ: Chi è Elia?

SECONDO SOLDATO: Un profeta antichissimo di questo paese, Principessa.

LA SCHIAVA: Quale risposta posso dare al Tetrarca da parte della Principessa?

VOCE DI JOHANAAN: Non gioire, terra di Palestina, se la canna di colui che ti colpì si è spezzata. Perché dal seme del serpente uscirà un basilisco, e quello che da lui nascerà divorerà gli uccelli.

SALOMÉ: Oh strana voce! Vorrei parlargli.

PRIMO SOLDATO: Credo che non sia possibile, Principessa. Il Tetrarca non vuo-le che alcuno parli a costui. Perfino al Gran Sacerdote ha vietato di parlar-gli.

SALOMÉ: Desidero parlargli.

PRIMO SOLDATO: È impossibile, Principessa.

SALOMÉ: Voglio parlargli.

IL GIOVANE SIRIACO: Non sarebbe meglio tornare al banchetto?

SALOMÉ: Fate uscire il profeta.

(La schiava esce.)

PRIMO SOLDATO: Non osiamo, Principessa.

SALOMÉ (avviandosi alla cisterna, e guardandovi dentro): Come è nero laggiù! Deve essere terribile stare in una fossa così nera. Sembra una tomba... (Ai soldati:) Non mi avete udita? Fate uscire il Profeta. Desidero vederlo.

SECONDO SOLDATO: Ti supplico, Principessa, di non esigere questo da noi.

SALOMÉ: Mi fate attendere!

PRIMO SOLDATO: Principessa, le nostre vite ti appartengono; ma non possiamo far questo. E non è a noi, in ogni modo, che dovresti chiederlo.

SALOMÉ (guardando il giovane Siriaco): Ah!

IL PAGGIO DI ERODIADE: Cosa sta per accadere? Oh, sono certo che qualche sventura accadrà.

SALOMÉ (avvicinandosi al giovane Siriaco): Tu farai questo per me, non è vero, Narraboth? Farai questo per me. Sempre sono stata buona con te. Lo farai per me. Vorrei soltanto guardare questo strano profeta. Gli uomini ne hanno tanto parlato. Spesso ho udito il Tetrarca parlare di lui. Io credo che ne abbia paura. E tu, anche tu hai paura di lui, Narraboth?

IL GIOVANE SIRIACO: Non lo temo, Principessa; non c’è uomo che io tema. Ma il Tetrarca ha vietato a chiunque di sollevare il coperchio di questo pozzo.

SALOMÉ: Tu farai questo per me, Narraboth; e domani, quando passerò nella mia lettiga sotto l’arco dei venditori di idoli, io lascerò cadere per te un fiorellino, un fiorellino verde.

IL GIOVANE SIRIACO: Non posso, Principessa, non posso.

SALOMÉ (sorridendo): Tu farai questo per me, Narraboth. Tu sai che farai questo per me. E domani, quando passerò nella mia lettiga presso al ponte dei compratori di idoli, ti guarderò attraverso i veli di mussola, ti guarderò, Narraboth, e forse ti sorriderò. Guardami, Narraboth, guardami. Ah! Tu lo sai che farai quanto ti chiedo. Lo sai bene... Io so che lo farai.

IL GIOVANE SIRIACO (al terzo Soldato): Fa’ uscire il Profeta... La Principessa Salomé vuol vederlo.

SALOMÉ: Ah!

IL PAGGIO DI ERODIADE: Oh, come è strana la luna! Si direbbe la mano di una giovane donna che cerchi di coprirsi con un sudario.

IL GIOVANE SIRIACO: Come è strana! Somiglia a una piccola principessa dagli occhi d’ambra. Traverso le nuvole di mussola sorride come una piccola principessa.

(Il Profeta si solleva fino alla cintola su dalla cisterna. Salomé lo guarda e arretra lentamente.)

JOHANAAN: Dov’è quegli la cui coppa di vizii è ormai colma? Dov’è quegli che un giorno in faccia a tutto il popolo morrà vestito d’argento? Ordinategli di uscire, perché possa ascoltar la voce di colui che ha gridato nei deserti e nelle case dei re.

SALOMÉ: Di chi parla?

IL GIOVANE SIRIACO: Non si capisce mai, Principessa.

JOHANAAN: Dov’è quella che avendo veduto sulle pareti immagini dipinte di uomini, le ben colorate immagini dei Caldei, si è abbandonata alla libidine dei suoi occhi e ha mandato ambasciatori in Caldea?

SALOMÉ: È di mia madre che parla.

IL GIOVANE SIRIACO: Oh no, Principessa.

SALOMÉ: Sì, è di mia madre che parla.

JOHANAAN: Dov’è quella che si è concessa ai capitani Assiri, i quali hanno cinture attorno ai lombi e tiare sul capo di varii colori? Dov’è quella che si è data ai giovani di Egitto, vestiti di lino sottile e di porpora, che hanno scudi d’oro, elmi d’argento, corpi robusti? Ordinatele di alzarsi dal suo giaciglio di vergogne, dal suo letto incestuoso, affinché possa ascoltare la parola di colui che prepara le vie del Signore, e pentirsi delle commesse iniquità. E anche se non si pentirà mai, ma sempre resterà stretta ai suoi abominii, ugualmente comandatele di venire: perché la sferza del Signore è nelle mani del Signore.

SALOMÉ: Ma è terribile, è terribile!

IL GIOVANE SIRIACO: Non restar qui, Principessa, te ne scongiuro.

SALOMÉ: I suoi occhi, soprattutto, sono terribili. Come fori neri bruciati con le torcie in un arazzo di Tiro. Come le caverne nere dove vivono i draghi. Assomigliano alle nere caverne di Egitto dove i draghi s’intanano. Assomigliano a laghi neri turbati da fantastiche lune... Credi che parlerà ancora?

IL GIOVANE SIRIACO: Non restar qui, Principessa. Te ne scongiuro, non rimanere.

SALOMÉ: Come è consunto! Assomiglia a una esile statua di avorio. A una immagine d’argento. Certamente è casto come la luna. Rassomiglia a un raggio di luna, a un’asta d’argento. La sua carne dev’essere gelida come l’avorio. Vorrei guardarlo più d’accosto.

IL GIOVANE SIRIACO: No; no, Principessa.

SALOMÉ: Devo guardarlo più d’accosto.

IL GIOVANE SIRIACO: Principessa! Principessa!

JOHANAAN: Chi è questa femmina che mi guarda? Non voglio che mi guardi. Perché mi guarda con i suoi occhi d’oro sotto alle palpebre dorate? Non so chi ella sia. Non desidero sapere chi sia. Comandatele di andarsene. Non è a lei che voglio parlare.

SALOMÉ: Io sono Salomé, figlia di Erodiade, Principessa di Giudea.

JOHANAAN: Indietro! Figlia di Babilonia! Non accostarti all’eletto del Signore. Tua madre ha sommerso il mondo nel vino delle sue nequizie, e il grido delle sue colpe è salito alle orecchie di Dio.

SALOMÉ: Parla ancora, Johanaan. La tua voce è un vino per me.

IL GIOVANE SIRIACO: Principessa! Principessa! Principessa!

SALOMÉ: Parla ancora! Parla ancora, Johanaan; e dimmi ciò che ho da fare.

JOHANAAN: Figlia di Sodoma, non accostarti! Ma copriti il volto con un velo, e cospargiti di cenere il capo, e va’ nel deserto a cercare il Figlio dell’Uomo.

SALOMÉ: Chi è il Figlio dell’Uomo? È bello come tu lo sei, Johanaan?

JOHANAAN: Allontanati! Odo nel palazzo l’angelo della morte che batte le ali.

IL GIOVANE SIRIACO: Principessa, ti supplico di rientrare.

JOHANAAN: Angelo del Signore Iddio, cosa fai tu qui con la tua spada? Chi cerchi tu in questa dimora della laidezza? Il giorno di colui che morrà in abito d’argento non è ancora venuto.

SALOMÉ: Johanaan!

JOHANAAN: Chi parla?

SALOMÉ: Io sono, Johanaan, innamorata del tuo corpo! Bianco è il tuo corpo come i gigli di un campo che mai fu falciato. Bianco è il tuo corpo come le nevi che stanno sulle montagne; come le nevi che stanno sulle montagne di Giudea, e si sciolgono nelle valli. Non sono nel giardino della Regina di Arabia così bianche le rose come il tuo corpo. Nemmeno le rose del giardino della Regina di Arabia, il giardino profumato di spezie della Regina di Arabia; né il piede dell’alba quando si posa sulle foglie, né il seno della luna quando giace sul seno del mare... Nulla c’è al mondo bianco così come il tuo corpo. Lascia che io tocchi il tuo corpo.

JOHANAAN: Indietro! Figlia di Babilonia! Attraverso la donna il male è penetrato nel mondo. Non parlarmi, non ti ascolterò. Ascolto solo la voce di Iddio Signore.

SALOMÉ: Orrendo è il tuo corpo. Assomiglia al corpo di un lebbroso. Assomiglia al grezzo di un muro dove hanno strisciato le vipere; a un muro grezzo dove gli scorpioni hanno fatto il nido. Assomiglia a un sepolcro imbiancato pieno di luride cose. Orribile è il tuo corpo, orribile. È dei tuoi capelli che sono innamorata, Johanaan. I tuoi capelli sono come grappoli d’uva, come i grappoli di uva nera che pendono dalle vigne di Eden nel paese degli Edomiti. I tuoi capelli assomigliano ai cedri del Libano, i grandi cedri del Libano generosi della loro ombra ai leoni e ai ladri che fuggono la luce del giorno. Non sono così nere le lunghe notti nere quando la luna nasconde il suo volto e le stelle temono di mostrarsi. Il silenzio che abita nelle foreste non è così nero. Nulla al mondo è così nero come i tuoi capelli... Lascia ch’io tocchi i tuoi capelli.

JOHANAAN: Indietro, figlia di Sodoma! Non toccarmi. Non profanare il tempio del Signore.

SALOMÉ: I tuoi capelli sono orribili. Sono coperti di fango e di polvere. Assomigliano a una corona di spine posata sulla tua fronte. Somigliano a un gruppo di serpenti neri che ti si divincolano intorno al collo. Non amo i tuoi capelli... È la tua bocca che desidero, Johanaan. La tua bocca è come una ghirlanda di scarlatto sopra una torre d’avorio. È come una melagrana tagliata con una lama d’avorio. I fiori del melograno, che sbocciano nei giardini di Tiro e sono più rossi delle rose, non son così rossi. Così rossi non sono i rossi squilli di tromba che annunziano l’appressarsi dei re e sbigottiscono il nemico. Più rossa dei piedi di coloro che pigiano l’uva nei tini, è la tua bocca. Più delle zampette di quelle colombe amiche dei templi e che i sacerdoti nutriscono, è rossa la tua bocca. Più rossa dei piedi di colui che viene dalla foresta dove ha ucciso un leone e visto le tigri dorate. È simile la tua bocca a un ramo di corallo trovato dai pescatori giù nel crepuscolo del mare; prezioso corallo da serbar per i re!... È come quel vermiglio che il Moabita trova nelle miniere di Moab, e che i re gli portano via. È come l’arco del Re dei Persiani, dipinto di vermiglio e che ha il puntale di corallo. Niente al mondo è così rosso come la tua bocca... Lascia che io baci la tua bocca.

JOHANAAN: Oh mai, figlia di Babilonia! Figlia di Sodoma, mai!

SALOMÉ: Io voglio baciare la tua bocca, Johanaan. Voglio baciare la tua bocca.

IL GIOVANE SIRIACO: Principessa, oh tu Principessa che somigli a un giardino di mirra, tu che sei la colomba di tutte le colombe, non guardare quest’uomo, non guardarlo! Non dirgli queste parole. Non potrà sopportarle... Principessa, Principessa, non dire!

SALOMÉ: Voglio baciare la tua bocca, Johanaan.

IL GIOVANE SIRIACO: Ah! (Si uccide e cade fra Salomé e Johanaan.)

IL PAGGIO DI ERODIADE: Il giovane Siriaco si è ucciso. Si è ucciso il giovane Capitano! Si è ucciso colui che era mio amico! Io gli avevo dato un cofanetto di aromi e delle bùccole d’argento, e ora si è ucciso. Oh, non aveva predetto egli stesso che qualche sciagura sarebbe accaduta? Anch’io l’ho predetto; ed è accaduta. Lo sapevo che la luna cercava una cosa morta, ma non sapevo che cercasse di lui. Ah, perché non l’ho nascosto alla luna? Se lo avessi nascosto in una caverna non lo avrebbe veduto.

PRIMO SOLDATO: Principessa, il giovane Capitano si è ucciso.

SALOMÉ: Lascia che io baci la tua bocca, Johanaan.

JOHANAAN: Non temi, figlia di Erodiade? Già ti premonii che avevo udito nel palazzo batter l’ali l’angelo della morte, ed ecco, non è venuto, l’angelo della morte?

SALOMÉ: Lascia ch’io baci la tua bocca.

JOHANAAN: Uno solo, figlia dell’adulterio, uno solo può salvarti, ed è Quegli di cui dissi. Va’ in cerca di Lui. Sta in una barca nel mare di Galilea, e parla ai Suoi discepoli. Inginocchiati sulla sponda del mare, e chiamalo col Suo nome. Quando verrà da te – ché lui viene a chiunque lo chiami – gettati ai Suoi piedi e chiedigli la remissione dei tuoi peccati.

SALOMÉ: Lascia ch’io baci la tua bocca.

JOHANAAN: Maledizione su di te! Figlia di una madre incestuosa, maledizione su di te!

SALOMÉ: Io voglio baciare la tua bocca, Johanaan.

JOHANAAN: Non ti guarderò. Non voglio guardarti. Tu sei maledetta, Salomé; sei maledetta. (Discende nella cisterna.)

SALOMÉ: Voglio baciare la tua bocca, Johanaan. Voglio baciare la tua bocca.

PRIMO SOLDATO: Dobbiamo trasportare altrove la spoglia. Non piace al Tetrarca veder cadaveri, fuori da quelli che lui stesso ha uccisi.

IL PAGGIO DI ERODIADE: Era il mio fratello; più vicino a me di un fratello. Gli regalai un cofanetto pieno di aromi, e un anello di agata che portava sempre al dito. Andavamo la sera lungo il fiume, tra i mandorli, e mi narrava le cose del suo paese. Parlava come in un sussurro. La sua voce assomigliava al suono di flauto d’un suonatore di flauto. E molto anche amava di contemplarsi nel fiume. Io di questo gli facevo rimprovero.

SECONDO SOLDATO: Hai ragione; bisogna nascondere il cadavere. Il Tetrarca non deve vederlo.

PRIMO SOLDATO: Qui il Tetrarca non verrà mai. Non viene mai sulla terrazza. Teme troppo il profeta.

(Entrano Erode, Erodiade e tutta la Corte.)

ERODE: Dove è Salomé? Dove è la Principessa? Perché non è tornata al banchetto come le ordinai? Ah, eccola.

ERODIADE: Non devi guardarla. Tu sempre la guardi.

ERODE: È strana la luna stanotte. Non è strana? Assomiglia a una demente, una demente che cerchi dovunque degli amanti. Ed è ignuda. È completamente ignuda. Le nubi cercano di coprire la sua nudità, ma ella non lo permette. Si mostra ignuda nel cielo. Va barcollando framezzo alle nubi come un’ubriaca... Sono sicuro che va in cerca di amanti. Non barcolla come un’ubriaca? Non è vero che assomiglia a una demente?

ERODIADE: No; la luna assomiglia alla luna, questo è tutto. Non hai niente da fare in questo luogo.

ERODE: Voglio restarvi! Manesseh, stendi là dei tappeti. Accendi delle torce, porta fuori le tavole d’avorio e le tavole di diaspro. L’aria qui è deliziosa. Voglio bere altro vino con i miei ospiti. Dobbiamo fare i più grandi onori agli inviati di Cesare.

ERODIADE: Non è per essi che tu rimani.

ERODE: Sì, l’aria è deliziosa. Vieni, Erodiade, i nostri ospiti ci attendono. Ah! sono scivolato! sono scivolato nel sangue! Cattivo presagio. È un pessimo presagio. Come mai v’è del sangue qui?... e questo cadavere, che fa qui questo cadavere? Credete ch’io sia come il re di Egitto, il quale non dà un festino senza offrire agli ospiti la vista di un cadavere? Di chi è? Non voglio guardarlo.

PRIMO SOLDATO: È il nostro capitano, oh re. È il giovane Siriaco che tu facesti capitano or è appena tre giorni.

ERODE: Non ho dato ordine che fosse ucciso.

SECONDO SOLDATO: Si è ucciso con le sue stesse mani, oh re.

ERODE: Per qual motivo? Lo avevo fatto capitano.

SECONDO SOLDATO: Non lo sappiamo, oh re. Ma si è ucciso.

ERODE: È strano. Credevo che soltanto i filosofi romani si uccidessero. Non è vero, Tigellino, che i filosofi a Roma si uccidono?

TIGELLINO: Ve ne sono che si uccidono, oh re. Sono gli Stoici. Gli Stoici sono gente volgare. Sono gente ridicola. Per mio conto li stimo assolutamente ridicoli.

ERODE: Anch’io. È ridicolo uccidersi.

TIGELLINO: A Roma tutti ridono di costoro. L’Imperatore ha scritto una satira che li riguarda. La si recita in ogni dove.

ERODE: Oh! Ha scritto una satira contro di loro? Cesare è meraviglioso. Tutto sa fare... È strano che il giovane Siriaco si sia ucciso. Mi duole che si sia ucciso; me ne duole molto; perché era bello a vedersi. Era bellissimo. Aveva gli occhi molto languidi. Mi ricordo di aver osservato che guardava Salomé languidamente. In verità, la guardava troppo.

ERODIADE: Altri ve ne sono che la guardano troppo.

ERODE: Suo padre era un re; e io lo cacciai dal suo regno. E sua madre, che era regina, tu la riducesti schiava, Erodiade. Era dunque qui come mio ospite, per così dire, e per questo motivo l’ho fatto mio capitano. Mi duole che sia morto! Oh, perché avete lasciato qui il cadavere? Non voglio guardarlo... Portatelo via! (Trasportano via la salma.) Fa freddo qui. Tira vento. Non tira vento?

ERODIADE: No, non c’è vento.

ERODE: Ti dico che tira vento. E sento nell’aria qualcosa che assomiglia a un battito d’ali, al battito di grandi ali. Non lo senti?

ERODIADE: Non sento nulla.

ERODE: Non lo sento più. Ma l’ho sentito. Era il vento che soffiava, sicuramente. È passato. Ma no, di nuovo lo sento. Non lo senti? Proprio come un battito d’ali.

ERODIADE: Ti dico che non vi è nulla. Sei malato. Rientriamo.

ERODE: Non sono malato. È tua figlia che non sta bene. Ha l’aria di una persona che non sta bene. Mai l’ho veduta così pallida.

ERODIADE: Ti ho detto di non guardarla.

ERODE: Versatemi da bere. (Viene portato del vino.) Salomé, vieni a bere un poco di vino con me. Ho qui un vino eccellente. Cesare in persona me lo ha mandato. Bàgnavi le tue piccole labbra rosse, che io poi vuoti la tazza.

SALOMÉ: Non ho sete, Tetrarca.

ERODE: Senti come questa tua figlia mi risponde?

ERODIADE: Fa bene. Perché sempre la guardi?

ERODE: Portatemi della frutta matura. (Viene portata della frutta.) Salomé, vieni a mangiare della frutta con me. Amo vedere in un frutto il segno dei tuoi piccoli denti. Mordi solo un poco di questo frutto, e io poi mangerò quanto ne resta.

SALOMÉ: Non ho fame, Tetrarca.

ERODE (a Erodiade): Vedi come allevasti questa tua figlia.

ERODIADE: Mia figlia e io discendiamo da stirpe regale. Quanto a te, tuo padre era un cammelliere! E un ladrone per giunta!

ERODE: Tu mentisci!

ERODIADE: Ben sai che è vero.

ERODE: Salomé, vieni a sederti accanto a me. Voglio darti il trono di tua madre.

SALOMÉ: Non sono stanca, Tetrarca.

ERODIADE: Vedi cosa pensa di te.

ERODE: Portatemi... Che cosa è che voglio? Non so più. Ah, sì! Mi ricordo!

VOCE DI JOHANAAN: Ecco! Il tempo è venuto! Quanto predissi si compie, dice il Dio Signore. Ecco! il giorno di cui ho parlato.

ERODIADE: Comandategli di tacere. Non voglio ascoltare la sua voce. Eternamente quest’uomo vomita insulti contro di me.

ERODE: Nulla ha detto contro di te. Ed è poi un grandissimo profeta.

ERODIADE: Non credo nei profeti. Può un uomo dire il futuro? Nessuno lo conosce. E poi eternamente m’insulta. Ma io credo che tu lo tema... So bene che tu lo temi.

ERODE: Non lo temo. Di nessuno ho paura.

ERODIADE: Ti dico che hai paura di lui. Se non hai paura di lui, perché non lo abbandoni ai Giudei che da sei mesi fanno schiamazzo per averlo?

UN GIUDEO: In verità, mio signore, sarebbe meglio consegnarlo nelle nostre mani.

ERODE: Basta su tale argomento. Avete già avuto la mia risposta. Non voglio consegnarlo nelle vostre mani. È un santo. È un uomo che ha visto Dio.

UN GIUDEO: Non può essere. Nessuno ha veduto Dio, dopo il profeta Elia. È l’ultimo uomo che abbia veduto Dio. Al nostro tempo Dio non si mostra. Si nasconde. Per questo grandi mali sono caduti sul paese.

UN ALTRO GIUDEO: In verità, nessuno sa se il profeta Elia abbia realmente veduto Dio. Forse quella che ha visto era soltanto l’ombra di Dio.

TERZO GIUDEO: Dio non è mai occulto. Si mostra in ogni attimo e in ogni cosa. Dio è così in quel che è male come in quel che è bene.

QUARTO GIUDEO: Questo non va detto. È una dottrina molto pericolosa. È una dottrina che viene dalle scuole di Alessandria, dove si insegna la filosofia dei Greci. E i Greci appartengono ai Gentili; non sono nemmeno circoncisi.

QUINTO GIUDEO: Nessuno può dire come opera Iddio. Le sue vie sono misteriose. Forse quanto noi chiamiamo male è bene e quanto chiamiamo bene è male. Di nulla v’è certezza. Noi dobbiamo per forza sottometterci a tutto, perché Dio è molto potente. Stritola il forte insieme al debole, perché non ha riguardi per uomo al mondo.

PRIMO GIUDEO: Dici il vero. Dio è terribile; spezza il forte e il debole così come si macina il grano. Ma quell’uomo non ha mai veduto Iddio. Nessuno ha veduto Dio, dopo il profeta Elia.

ERODIADE: Falli tacere. Mi stancano.

ERODE: Ma ho inteso dire che proprio Johanaan è il profeta Elia.

IL GIUDEO: Questo non può essere. Più di trecento anni sono passati dai giorni del profeta Elia.

ERODE: Ma ho inteso dire che proprio Johanaan è il profeta Elia.

IL GIUDEO: No, non è il profeta Elia.

LA VOCE DI JOHANAAN: Così il giorno è venuto, il giorno del Signore; e io odo sulle montagne i passi di Colui che sarà il Salvatore del mondo.

ERODE: Cosa significa questo? Il Salvatore del mondo?

TIGELLINO: È un titolo che si dà a Cesare.

ERODE: Ma Cesare non viene nella Giudea. Anche ieri ho ricevuto lettere da Roma. Nulla contenevano intorno a questa faccenda. E tu, Tigellino, che eri a Roma durante l’inverno, hai sentito nulla intorno a questa faccenta, tu?

TIGELLINO: Nulla, oh re, ne ho sentito. Spiegavo soltanto il titolo. È uno fra i titoli di Cesare.

ERODE: Ma Cesare non può venire. Soffre troppo della gotta. Dicono che i suoi piedi siano come quelli degli elefanti. E poi ci sono ragioni di Stato. Chi lascia Roma, perde Roma. Non verrà. Cesare, comunque, è signore; verrà se lo desidera. Tuttavia credo che non verrà.

PRIMO NAZZARENO: Non è a proposito di Cesare, oh re, che il profeta ha detto quelle parole.

ERODE: Non di Cesare?

PRIMO NAZZARENO: No, oh re.

ERODE: A proposito di chi ha parlato?

PRIMO NAZZARENO: A proposito del Messia, che è venuto. Il profeta ha detto quelle parole.

ERODE: Il Messia non è venuto.

PRIMO NAZZARENO: È venuto; e in ogni dove compie miracoli.

ERODIADE: Oh! oh! miracoli! Non credo nei miracoli. Ne ho visti troppi. (Al Paggio.) Il mio ventaglio!

PRIMO NAZZARENO: Quell’Uomo compie veri miracoli. Così, a certi sponsali che ebbero luogo in una cittadina della Galilea, una città di qualche importanza, ha mutato l’acqua in vino. Gente che vi si trovava me lo ha riferito. Anche ha sanato due volte lebbrosi all’ingresso di Cafarnao, semplicemente toccandoli.

SECONDO NAZZARENO: No, era un cieco quello che ha sanato a Cafarnao.

PRIMO NAZZARENO: No, erano lebbrosi. Ma anche dei ciechi ha guarito; ed è stato visto su una montagna a parlare con gli angeli.

UN SADUCEO: Non esistono angeli.

UN FARISEO: Gli angeli esistono; ma non credo che costui abbia parlato con loro.

PRIMO NAZZARENO: Da una grande moltitudine di persone fu visto parlare con gli angeli.

UN SADUCEO: Non con gli angeli.

ERODIADE: Come questi uomini mi stancano! Sono ridicoli! (Al Paggio.) Dunque, il mio ventaglio? (Il Paggio le dà il ventaglio.) Hai gli occhi sognanti. Non devi sognare. Sogna soltanto chi non sta bene. (Colpisce il Paggio col ventaglio.)

SECONDO NAZZARENO: C’è anche il miracolo della figlia di Giairo.

PRIMO NAZZARENO: Sì, quello è certo. Nessuno può negarlo.

ERODIADE: Questi uomini sono pazzi. Hanno guardato troppo a lungo la luna. Comanda che tacciano.

ERODE: Qual è il miracolo della figlia di Giairo?

PRIMO NAZZARENO: La figlia di Giairo era morta. Egli l’ha resuscitata.

ERODE: Resuscita i morti?

PRIMO NAZZARENO: Sì, oh re. Resuscita i morti.

ERODE: Non voglio che faccia questo. Gli proibisco di farlo. Non permetterò a nessuno di resuscitare i morti. Dov’è ora quest’Uomo?

SECONDO NAZZARENO: Dovunque, Egli è, mio signore; ma arduo è trovarlo.

PRIMO NAZZARENO: Dicono che sia ora in Samaria.

UN GIUDEO: È facile vedere che non è il Messia, se si trova in Samaria. Non è per i Samaritani che il Messia verrà. I Samaritani sono maledetti; non portano offerte al tempio.

SECONDO NAZZARENO: Ha lasciato la Samaria da qualche giorno. Credo che in questo momento si trovi nelle vicinanze di Gerusalemme.

PRIMO NAZZARENO: No, non è là. Vengo ora da Gerusalemme. Da due mesi non so nulla di lui.

ERODE: Non importa! Ma che lo trovino, e che gli dicano da parte mia che non gli permetto di resuscitare i morti. Mutare l’acqua in vino, sanare i lebbrosi e i ciechi... Se vuole, può fare queste cose. Contro queste cose non ho nulla da dire. In realtà la credo una buona azione, guarire un lebbroso. Ma non permetto a nessuno di resuscitare i morti. Sarebbe terribile se i morti tornassero.

VOCE DI JOHANAAN: Ah! la meretrice! la bagascia! Ah! la figlia di Babilonia con i suoi occhi d’oro e le sue palpebre dorate! Così dice il Signore Iddio: che venga contro di lei una moltitudine di uomini. Che il popolo si armi di pietre, e la lapidi...

ERODIADE: Comandagli di tacere.

VOCE DI JOHANAAN: Che i capitani di guerra la trafiggano con le spade, che la schiaccino sotto gli scudi.

ERODIADE: Oh, ma è un’infamia!

VOCE DI JOHANAAN: È così che monderò la terra da ogni iniquità, e che tutte le donne impareranno a non imitare i suoi abominii.

ERODIADE: Senti cosa dice contro di me? Tu tolleri che insulti la tua donna?

ERODE: Non ha pronunciato il tuo nome.

ERODIADE: E con questo? Sai bene che a me sono diretti i suoi insulti. E io sono la tua donna, non è vero?

ERODE: Tu, cara e nobile Erodiade, sei in verità la mia donna; e prima eri la donna di mio fratello.

ERODIADE: Fosti tu a strapparmi dalle sue braccia.

ERODE: Sicuramente ero il più forte... Ma lasciamo questo argomento. Non voglio parlarne. È causa delle terribili parole pronunciate dal profeta. Forse per questo una sventura accadrà. Non parliamone. Nobile Erodiade, noi trascuriamo i nostri ospiti. Riempi la mia coppa, oh bene amata. Olà, riempite di vino le grandi coppe d’argento e le grandi coppe di cristallo. Io berrò a Cesare. Vi sono dei Romani qui, dobbiamo bere alla salute di Cesare.

TUTTI: Cesare! Cesare!

ERODE: Non vedi tua figlia, come è pallida?

ERODIADE: Cosa importa a te, se è pallida o no?

ERODE: Mai l’ho veduta così pallida.

ERODIADE: Non devi guardarla.

VOCE DI JOHANAAN: In quel giorno il sole si farà nero come tela di sacco tessuta di crine, e la luna come sangue, e le stelle dei cieli cadranno sulla terra come i fichi maturi cadono dal fico, e i re della terra tremeranno.

ERODIADE: Ah! Ah! mi piacerebbe vederlo quel giorno di cui parla, quando la luna diverrà come sangue, e le stelle cadranno sulla terra come fichi maturi. Questo profeta parla come un ubriaco... ma non posso sopportare il tono della sua voce. Odio la sua voce. Comandagli di tacere.

ERODE: Non voglio. Non intendo quello che dice, ma forse è un presagio.

ERODIADE: Io non credo nei presagi. Parla da ubriaco.

ERODE: Potrebb’essere ebbro del vino di Dio.

ERODIADE: Che vino è, il vino di Dio? Da quali vigneti si raccoglie? In quale tino si può trovarlo?

ERODE (da questo momento guarda sempre Salomé): Tigellino, quando eri a Roma ultimamente, l’Imperatore ti ha detto qualcosa a proposito di...?

TIGELLINO: A proposito di che, signore?

ERODE: Cosa, a proposito? Ti ho forse rivolto qualche domanda? Ho dimenticato cosa volevo chiederti!

ERODIADE: E ancora continui a guardare mia figlia. Non devi guardarla. Già te l’ho detto.

ERODE: Non dici altro.

ERODIADE: Lo dico di nuovo.

ERODE: E quella ricostruzione del Tempio di cui si è tanto parlato, se ne farà poi qualcosa? Dicono che il velo del Santuario sia scomparso, è vero?

ERODIADE: Sei stato tu stesso a rubarlo. Parli a casaccio. Non voglio restare qui. Rientriamo.

ERODE: Danza per me, Salomé.

ERODIADE: Non voglio che danzi.

SALOMÉ: Non ho voglia di danzare, Tetrarca.

ERODE: Salomé, figlia di Erodiade, danza per me.

ERODIADE: Lasciala stare.

ERODE: Ti ordino di danzare, Salomé.

SALOMÉ: Non voglio danzare, Tetrarca.

ERODIADE (ridendo): Vedi come ti ubbidisce.

ERODE: Cosa m’importa se danza o no? Non conta nulla per me. Stasera sono felice; felicissimo sono. Mai sono stato così felice.

PRIMO SOLDATO: Il Tetrarca è di umore nero. Non è di umor nero?

SECONDO SOLDATO: Sì; di umor nero.

ERODE: Perché non dovrei essere felice? Cesare, che è signore di tutte le cose, mi ama assai. Mi ha inviato or ora dei preziosissimi doni. Anche mi ha promesso di chiamare a Roma il re di Cappadocia che è mio nemico. Forse a Roma lo crocifiggerà, dacché può fare tutto quello che gli piace. Davvero, Cesare è signore. Così, vedete, ho diritto di essere felice. Anzi, sono felice. Non sono mai stato così felice. Nulla v’è al mondo che possa turbare il mio piacere.

VOCE DI JOHANAAN: Starà seduto su questo trono. Sarà vestito di scarlatto e di porpora. Terrà nella mano una coppa d’oro colma delle sue bestemmie. E l’angelo del Signore lo colpirà. E sarà divorato dai vermi.

ERODIADE: Senti cosa dice di te. Dice che sarai divorato dai vermi.

ERODE: Non è di me che parla. Non parla mai contro di me. È del re di Cappadocia che parla; il re di Cappadocia, che è mio nemico. È lui che sarà divorato dai vermi. Non sono io. Mai ha detto una parola contro di me, questo profeta, se non che ho commesso peccato prendendo per donna la donna di mio fratello. Forse ha ragione. Perché in verità tu sei sterile.

ERODIADE: Sono sterile, eh? Tu lo dici, tu che guardi sempre mia figlia, e vorresti che danzasse per tuo piacere. È sciocco dirlo. Io ho generato una figlia. Tu non hai generato nessuno, no, nemmeno con una delle schiave. Sei tu sterile, non io.

ERODE: Silenzio, femmina. Dico che tu sei sterile. Non mi hai generato nessun figlio, e il profeta dice che la nostra unione non è vera unione. Dice che è un’unione incestuosa, un’unione che recherà delle sventure... Temo che dica il giusto. Ma non è il momento di parlarne. Vorrei essere felice in questo momento. In verità, sono felice. Nulla v’è che mi manchi.

ERODIADE: Godo che tu sia così lieto stasera. Non è tua abitudine. Ma è tardi. Rientriamo. Non dimenticarti che andiamo a caccia all’alba. Tutti gli onori sono dovuti ai messi di Cesare, non è vero?

SECONDO SOLDATO: Che faccia cupa ha il Tetrarca.

PRIMO SOLDATO: Sì, ha una faccia cupa...

ERODE: Salomé, Salomé, danza per me. Ti prego, danza per me. Sono triste stasera. Sì; sono molto triste stasera. Venendo qua scivolai sul sangue, che è presagio cattivo; e udii, sono sicuro che udii un battito d’ali, un battito di gigantesche ali. Non so cosa significa... Sono triste stasera. Danza dunque per me. Danza per me, Salomé, te ne supplico. Se danzi per me puoi chiedermi ciò che vuoi, e io te lo darò, fosse anche la metà del mio regno.

SALOMÉ (alzandosi): Davvero mi darai qualunque cosa io ti chieda, Tetrarca?

ERODIADE: Non danzare, figlia mia.

ERODE: Tutto, anche la metà del mio regno.

SALOMÉ: Lo giuri, Tetrarca?

ERODE: Lo giuro, Salomé.

ERODIADE: Figlia mia, non danzare.

SALOMÉ: Su cosa lo giuri, Tetrarca?

ERODE: Sulla mia vita, sulla mia corona, sui miei Dei. Qualunque cosa tu desideri, te la darò, fosse anche la metà del mio regno, purché tu danzi per me. Oh Salomé, Salomé, danza per me!

SALOMÉ: Hai giurato, Tetrarca.

ERODE: Ho giurato, Salomé.

SALOMÉ: Tutto ciò che chiedo, fosse anche la metà del tuo regno.

ERODIADE: Figlia mia, non danzare.

ERODE: Fosse anche la metà del mio regno. Sarai una regina bellissima, Salomé, se vorrai chiedere la metà del mio regno. Non sarà bella, da regina? Oh! fa freddo qui! C’è un vento gelido, e odo... perché odo nell’aria questo battito di ali? Ah! Si potrebbe immaginare che un uccello, un enorme uccello nero, stia vagando sulla terrazza. Perché non posso vederlo? Il battito delle sue ali è tremendo. Tremendo è il soffio delle sue ali. È un vento freddo. No, non è freddo, è caldo. Soffoco. Versatemi dell’acqua sulle mani. Datemi la neve da mangiare. Allentatemi il mantello. Presto! Presto! Allentatemi il mantello. No, lasciatelo stare. È la mia ghirlanda che mi ferisce, la mia ghirlanda di rose. I fiori sembrano di fuoco. Mi hanno bruciato la fronte. (Si strappa la ghirlanda dal capo e la getta sulla tavola.) Ah! Posso respirare ora. Come sono rossi quei petali! Sembrano macchie di sangue sulla tovaglia. Ma non importa. Non bisogna trovare dei simboli in tutto quello che si vede. Fa la vita impossibile. Sarebbe meglio dire che le macchie di sangue sono belle come petali di rose. Sarebbe molto meglio dire che... ma non voglio parlare di questo. Ora sono felice, sono felice. Non ho il diritto di esser felice? Tua figlia sta per danzare per me. Non danzerai per me, Salomé? Hai promesso di danzare per me.

ERODIADE: Non voglio che danzi.

SALOMÉ: Io danzerò per te, Tetrarca.

ERODE: Senti ciò che dice tua figlia. Sta per danzare per me. Farai bene a danzare per me, Salomé. E quando avrai danzato per me, non dimenticare di chiedermi qualunque cosa tu desideri. Qualunque cosa tu desideri, te la darò, foss’anche la metà del mio regno. L’ho giurato, non è vero?

SALOMÉ: Lo hai giurato, Tetrarca.

ERODE: E mai ho mancato alla mia parola. Non sono di quelli che romponoi giuramenti. Non so cosa sia mentire. Sono schiavo della mia parola, e la mia parola è parola di re. Il re di Cappadocia mente sempre, ma non è un vero re. È un vile. Mi deve anche del denaro che non intende restituire. Ha anche insultato i miei ambasciatori. Ha pronunciato parole oltraggiose. Ma Cesare lo crocifiggerà quando andrà a Roma. Sono sicuro che Cesare lo crocifiggerà. Altrimenti morirà ugualmente, e lo divoreranno i vermi. Lo ha predetto il profeta. Ebbene! Perché indugi, Salomé?

SALOMÉ: Attendo che le mie schiave mi rechino i profumi e i sette veli, e mi tolgano i sandali. (Le schiave portano i profumi e i sette veli, e tolgono i sandali a Salomé.)

ERODE: Ah, tu danzerai con piedi nudi! A meraviglia! a meraviglia! i tuoi piedini assomiglieranno a piccole colombe bianche. Somiglieranno i fiorellini bianchi che tremano sugli alberi... No, no, danzerà sul sangue. C’è del sangue sparso per terra. Non deve danzare sul sangue. Sarebbe un cattivo presagio.

ERODIADE: Cosa t’importa che danzi sul sangue? Tu ne hai attraversato di abbastanza profondo...

ERODE: Cosa m’importa? Ah! Guardate la luna! si è fatta rossa. Rossa come il sangue. Ah! il profeta ha profetato il vero. Ha profetato che la luna sarebbe divenuta rossa come il sangue. Non lo ha forse profetato? Tutti lo avete inteso. E ora la luna si è fatta rossa come il sangue. Non la vedete?

ERODIADE: Ma sì, la vedo bene; e le stelle stanno cadendo come fichi maturi, non è vero? E il sole sta diventando nero come tela da sacco tessuta di crine, e i re della terra tremano. Questo almeno si vede davvero. Per una volta in vita sua il profeta ha avuto ragione: i re della terra tremano... Rientriamo. Tu sei malato. Racconteranno a Roma che sei folle. Rientriamo, ti dico.

LA VOCE DI JOHANAAN: Chi è costui che viene da Edan, chi è costui che viene da Bozra, la cui veste è tinta di porpora, che splende nella bellezza delle sue vesti, che cammina potente nella sua grandezza? Perché la tua veste è tinta di scarlatto?

ERODIADE: Rientriamo. La voce di quell’uomo mi fa impazzire. Non voglio che mia figlia danzi mentre egli grida senza posa. Non voglio che danzi mentre tu la guardi così. Infine, non voglio assolutamente che danzi.

ERODE: Non alzarti, donna mia, regina mia, non ti servirà a nulla. Non rientrerò fino a che ella non avrà danzato. Danza, Salomé, danza per me.

ERODIADE: Non danzare figlia mia.

SALOMÉ: Sono pronta, Tetrarca.

(Salomé danza la danza dei sette veli.)

ERODE: Ah! Meraviglioso! meraviglioso! vedi che ha danzato per me, tua figlia. Avvicinati, Salomé, avvicinati, ch’io possa darti la tua ricompensa. Ah! pago bene io le danzatrici. Voglio regalmente pagarti. Ti voglio dare qualunque cosa la tua anima desideri. Che cosa vuoi? parla.

SALOMÉ (inginocchiandosi): Vorrei che subito mi portassero in un bacile d’argento...

ERODE (ridendo): In un bacile d’argento? Ma sì, certo, in un bacile d’argento!... È deliziosa, non è vero? Che cosa vorresti in un bacile d’argento, oh dolce e bella Salomé, tu che sei più bella di tutte le figlie di Giudea? Che cosa vorresti che ti portassero in un bacile d’argento? Dimmelo. Qualunque cosa sia, te la daranno. I miei tesori ti appartengono. Che è, Salomé?

SALOMÉ (rialzandosi): La testa di Johanaan

ERODIADE: Ah, questo è ben detto, figlia mia.

ERODE: No, no!

ERODIADE: Questo è ben detto, figlia mia.

ERODE: No, no, Salomé. Non chiedermi questo. Non ascoltare la voce di tua madre. Ti dà sempre malvagi consigli. Non darle retta.

SALOMÉ: Non do retta a mia madre. È per il mio piacere che ti domando la testa di Johanaan in un bacile d’argento. Hai giurato, Erode. Non dimenticarti che lo hai giurato.

ERODE: Lo so. Ho giurato sui miei Dei. Lo so bene. Ma ti prego, Salomé, chiedimi qualche cosa d’altro. Chiedimi la metà del mio regno, e l’avrai. Ma non domandarmi ciò che hai domandato.

SALOMÉ: Ti domando la testa di Johanaan.

ERODE: No, no; non potrei.

SALOMÉ: Hai giurato, Erode.

ERODIADE: Sì, hai giurato. Tutti ti hanno sentito. Lo hai giurato davanti a tutti.

ERODE: Taci! Non è a te che parlo.

ERODIADE: Mia figlia ha fatto bene a chiedere la testa di Johanaan, che mi ha ricoperta di insulti e detto cose mostruose contro di me. Si vede che ella ama molto sua madre. Non cedere, figlia mia. Ha giurato, ha giurato.

ERODE: Taci, tu, non parlarmi!... Orsù, Salomé, sii ragionevole. Non fui mai severo con te! Ti ho sempre amata... Forse troppo ti ho amata. Dunque non chiedermi questa cosa. È orribile, è spaventoso chiedermi una simile cosa. Ma sono certo che tu dici per ischerzo. La testa di un uomo mozzata dal tronco è brutta a vedere, non è vero? Gli occhi di una vergine non devono guardarla. Che piacere ne avresti? Nessuno. No, no, non è questo che puoi volere. Ascoltami. Ho uno smeraldo, un grande smeraldo rotondo, che il servo di Cesare mi ha inviato. Se guardi attraverso questo smeraldo vedi cose che accadono a grande distanza. Cesare stesso porta uno smeraldo simile quando si reca al circo. Ma il mio smeraldo è più grande. È lo smeraldo più grande del mondo. Ti piacerebbe, non è vero? Chiedimelo e te lo darò.

SALOMÉ: Chiedo la testa di Johanaan.

ERODE: Non mi ascolti, non mi ascolti. Lascia che io parli, Salomé.

SALOMÉ: La testa di Johanaan.

ERODE: No, no, non vuoi questo. Lo dici per crucciarmi, perché ti ho guardata tutta la sera. È vero, ti ho guardata tutta la sera. La tua bellezza mi turbava. Amaramente mi turbava la tua bellezza, e ti ho troppo guardata. Ma non ti guarderò più. Né le cose né le persone bisognerebbe guardare. Gli specchi soltanto bisognerebbe guardare, perché gli specchi non vi riflettano che delle maschere. Oh! Oh! portate del vino. Ho sete... Salomé, Salomé, restiamo amici. Orsù!... Ah! Cosa volevo dire? Cos’era? Ah! ora mi ricordo!... Salomé... ma no, vieni più vicino; altrimenti non mi sentirai... Salomé, sai i miei pavoni bianchi, i miei bei pavoni bianchi che camminano in giardino fra i mirtilli e gli alti cipressi? Hanno i becchi tinti d’oro, e i loro piedi sono tinti di porpora. Quando gridano cade la pioggia, quando sciorinano la coda si mostra nei cieli la luna. A due a due incedono fra i cipressi e i neri mirtilli, e ognuno ha uno schiavo che lo governa. Talvolta volano attraverso gli alberi, e talvolta si appollaiano nell’erba e intorno allo stagno. Non vi sono nel mondo intero uccelli così meravigliosi. Non v’è sovrano al mondo che possieda uccelli così meravigliosi. Sono sicuro che lo stesso Cesare non ne ha di così belli come i miei. Ti darò cinquanta dei miei pavoni. Ti seguiranno ovunque andrai, e in mezzo a loro sarai simile alla luna, dentro una grande nuvola bianca... Te li darò tutti. Non ne ho che cento, e in tutto il mondo non v’è sovrano che abbia pavoni come i miei. Ma te li darò tutti... tu però devi sciogliermi dal mio giuramento, e non chiedermi quello che mi hai chiesto. (Vuota la coppa di vino.)

SALOMÉ: Dammi la testa di Johanaan.

ERODIADE: Ben detto, figlia mia! Quanto a te, sei ridicolo con i tuoi pavoni.

ERODE: Taci, tu! Gridi sempre; gridi come una bestia feroce. Non devi. La tua voce mi stanca. Taci, ti dico... Salomé, pensa a quello che fai. Quest’uomo viene forse da Dio. È un santo. Il dito di Dio lo ha toccato. Dio gli ha messo in bocca parole terribili. Nel palazzo come nel deserto, Dio è sempre con lui... Almeno, è possibile. Non si sa. È possibile che Dio sia per lui e con lui. Inoltre, se morisse, qualche sventura potrebbe accadermi. In ogni caso ha detto che il giorno della sua morte accadrà sventura a qualcuno. E non posso essere che io. Ricòrdati, sono scivolato sul sangue venendo qui. E poi ho sentito un battito di ali nell’aria, un battito di ali potenti. Questi sono presagi molto cattivi; e altri ve n’erano. Sono sicuro che ve n’erano degli altri, anche se non li ho veduti. Ebbene, Salomé, non vorresti che una sventura mi accadesse? Tu non lo desideri. Ascoltami, allora.

SALOMÉ: Dammi la testa di Johanaan.

ERODE: Ah! non mi ascolti. Sii calma. Io... io sono calmo, sono calmissimo. Ascolta. Ho qui dei gioielli nascosti... Gioielli che tua madre non ha nemmeno visti; gioielli che sono meravigliosi. Ho una collana di perle, montata in quattro fili. Somigliano a lune incatenate con raggi d’argento. Somigliano a cinquanta lune prese in una rete d’oro. Sull’avorio del suo petto una regina le ha portate. Sarai bella come una regina quando le porterai. Ho ametiste di due sorta, una che è nera come il vino, e una che è rossa come vino annacquato. Ho topazi gialli come gli occhi delle tigri, e topazi verdi come gli occhi dei gatti. Ho delle opali che ardono sempre d’una fiamma di ghiaccio, opali che soggiogano le menti degli uomini e trionfano d’ogni ombra. Ho pietre lunari che mutano quando muta la luna, e sono pallide quando vedono il sole. Ho zaffiri grossi come uova, e azzurri come fiori azzurri. Il mare fluttua dentro di essi, e la luna non viene mai a turbare le onde turchine. Ho crisoliti e berilli, e crisopazi e rubini. Ho pietre di sardonico e di giacinto, e pietre di calcedonio, e te le darò tutte, e altri doni vi aggiungerò. Il re delle Indie mi ha mandato or ora quattro ventagli fatti con penne di pappagalli, e il re di Numidia una veste di penne di struzzo. Ho un cristallo in cui non è permesso alle donne guardare, né gli adolescenti posson vederlo fino a che non siano stati flagellati con le verghe. Dentro a un cofano di madreperla ho tre meravigliose turchesi. Chi le porta sulla fronte può immaginare cose che non sono, e chi le porta nella mano può rendere sterile una donna. Questi sono tesori grandi sopra ogni prezzo. Sono tesori senza prezzo. Ma non è tutto. In un cofano di ebano ho due tazze d’ambra, che assomigliano a mele d’oro. Se un nemico versa del veleno in queste tazze, esse diventano come mele d’argento. In un cofano incrostato di ambra ho sandali incrostati di cristallo. Ho manti che furono portati dal paese del Seres, e braccialetti adorni di carbonchi e giada che vengono dalla città di Eufrate... Cosa desideri di più di questo, Salomé? Dimmi la cosa che desideri, e te la darò. Tutto quanto domandi, ti darò, tranne una cosa. Ti darò tutto ciò che è mio, tranne una vita. Ti darò il mantello del Gran Sacerdote. Ti darò il velo del Santuario.

GLI EBREI: Oh! oh!

SALOMÉ: Dammi la testa di Johanaan.

ERODE (ricadendo sul sedile): Che le sia dato quanto chiede! In verità è figlia di sua madre! (Il primo Soldato si avvicina. Erodiade sfila dalla mano del Tetrarca l’anello della morte e lo dà al Soldato, che subito lo porta al Carnefice. Il Carnefice appare sbigottito.) Chi mi ha preso l’anello? C’era un anello nella mia mano destra. Chi ha bevuto il mio vino? C’era del vino nella mia coppa. Era piena di vino. Qualcuno l’ha bevuto! Oh! Certo a qualcuno accadrà sventura. (Il Carnefice scende nella cisterna.) Ah! perché ho fatto quel giuramento! I re non dovrebbero mai impegnare la loro parola. Se non la mantengono è terribile, e se la mantengono è anche terribile.

ERODIADE: Mia figlia ha fatto bene.

ERODE: Sono sicuro che qualche sventura accadrà.

SALOMÉ (si curva sulla cisterna e ascolta): Nessun rumore, non odo nulla. Perché non grida, quest’uomo? Ah, se qualcuno tentasse di uccidermi io griderei, lotterei, non sopporterei... Colpisci, colpisci, Naaman, colpisci, ti dico... No, non odo nulla. V’è silenzio, un terribile silenzio. Ah! qualcosa è caduto giù. Ho udito qualcosa cadere. È la spada del boia. Ha paura, quello schiavo. Ha lasciato cadere la spada. Non osa ucciderlo. È un vile, questo schiavo! Siano mandati dei soldati. (Scorge il Paggio di Erodiade e si rivolge a lui.) Vieni qua; tu eri amico di colui che è morto, non è vero? Ebbene, ti dico, non vi sono morti abbastanza. Va’ dai soldati e comanda loro di scendere a prendermi la cosa che chiedo, la cosa che il Tetrarca mi ha promesso, la cosa che è mia. (Il Paggio si ritrae, ella si rivolge ai Soldati.) Qua, soldati. Scendete nella cisterna e portatemi la testa di quell’uomo (I Soldati si ritraggono.) Tetrarca, Tetrarca, ordina ai tuoi soldati che mi portino la testa di Johanaan.

(Un enorme braccio nero, il braccio del Carnefice, esce dalla cisterna, porgendo sopra uno scudo d’argento la testa di Johanaan. Salomé afferra lo scudo. Erode si nasconde il volto nel mantello. Erodiade sorride e si fa vento col ventaglio. I Nazzareni cadono in ginocchio e cominciano a pregare.)

Ah! non hai consentito che ti baciassi la bocca, Johanaan. Ebbene, ora io la bacio. La morderò coi miei denti come si morde un frutto maturo. Sì, bacerò la tua bocca, Johanaan. L’ho detto; non l’avevo detto? L’ho detto. Ah! la bacerò ora... Ma perché non mi guardi, Johanaan? I tuoi occhi che erano così terribili, così pieni d’ira e di sprezzo, sono chiusi. Perché sono chiusi? Apri gli occhi! Solleva le palpebre, Johanaan! Perché non mi guardi? Hai paura di me, Johanaan, che non vuoi guardarmi?... E la tua lingua, che era come un serpente rosso sprizzante veleno, non si muove più, non dice nulla ora, Johanaan, quella vipera scarlatta che sputava il suo veleno su di me. È strano, non è vero? Com’è che la vipera rossa non si agita più?... Non hai voluto saperne di me, Johanaan. Mi hai respinta. Hai pronunciato parole dure contro di me. Mi hai trattata come una meretrice, una bagascia, io, Salomé, figlia di Erodiade, Principessa di Giudea! Ebbene, Johanaan, io vivo ancora, ma tu, sei morto, e la tua testa mi appartiene. Posso farne quello che voglio. Posso buttarla ai cani e agli uccelli dell’aria. Quello che lasceranno i cani, lo divoreranno gli uccelli dell’aria... Ah, Johanaan, Johanaan, eri il solo uomo che ho amato. Tutti gli altri uomini mi sono odiosi. Ma tu, tu eri bello! Il tuo corpo era una colonna di avorio sopra una base d’argento. Era un giardino pieno di colombe e di gigli d’argento. Era una torre d’argento ornata di scudi d’avorio. Nulla al mondo era così bianco come il tuo corpo. Non v’era nulla al mondo così rosso come la tua bocca. La tua voce era un incensiere che spandeva strani profumi, e nel guardarti udivo una musica strana. Ah! perché non mi hai guardata, Johanaan. Ti sei nascosto il volto dietro alle tue mani e alle tue maledizioni. Sugli occhi hai messo la benda di colui che vuol vedere il suo Dio. Ebbene, hai veduto il tuo Dio, Johanaan, ma me, me, tu non mi hai mai veduta. Se mi avessi veduta mi avresti amata. Io, io ti vidi, Johanaan, e ti amai. Oh, come ti amai! Ti amo ancora, Johanaan, amo te solo... Ho sete della tua bellezza; ho fame del tuo corpo; e né vino né la frutta possono quietare il mio desiderio. Cosa farò ora, Johanaan? Non piene, non maree placheranno la mia passione. Ero una principessa, e mi hai disprezzata. Ero una vergine, e non mi hai tolto la mia verginità. Ero casta, e hai riempito di fuoco le mie vene... Ah! ah! perché non mi hai guardata, Johanaan? Se mi avessi guardata, mi avresti amata. So che mi avresti amata: e il mistero dell’amore è più grande del mistero della morte. L’amore soltanto importa.

ERODE: È mostruosa, tua figlia; mostruosa. In verità, quello che ha commesso è un grande delitto. Sono certo che era un delitto contro un Dio ignoto.

ERODIADE: Approvo ciò che ha fatto mia figlia. E ora resterò qui.

ERODE (alzandosi in piedi): Ah! ecco che parla la donna incestuosa! Orsù! Non voglio rimanere qui. Vieni, ti dico. Certo qualcosa di terribile accadrà. Manasseh, Issachar, Ozias, spegnete le torce. Non voglio guardare le cose, non sopporto che le cose mi guardino. Spegnete le torcie! Nascondete la luna! Velate le stelle! Nascondiamoci nel nostro palazzo, Erodiade. Il terrore mi afferra.

(Gli schiavi spengono le torcie. Le stelle scompaiono. Una grande nuvola nera passa davanti alla luna e la nasconde completamente. La scena si fa buia. Il Tetrarca comincia a salire la scalinata.)

VOCE DI SALOMÉ: Ah! Ho baciato la tua bocca, Johanaan, ho baciato la tua bocca. Un acre sapore era sulle tue labbra... Era il sapore del sangue?... Ma forse era il sapore dell’amore... Dicono che l’amore abbia un acre sapore... Ma che importa? che importa? Ho baciato la tua bocca, Johanaan.

(Un raggio di luna cade su Salomé coprendola di luce.)

ERODE (voltandosi e scorgendola): Soldati, uccidete quella femmina! (I Soldati si precipitano e schiacciano sotto gli scudi Salomé, figlia di Erodiade, Principessa di Giudea.)

 

Fine

Questo ebook appartiene a lidia barone - 1124737 Edito da Newton Compton Editori Acquistato il 01/08/2011 13.50.20 con numero d'ordine 63790
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