Constance o il signore e la signora Daventry
Scenario originale ed estratti dal dramma in quattro atti (in collaborazione con Frank Harris)
1895-1900*
Premessa
È noto che appena uscito dal carcere di Reading, Wilde promise formalmente all’amico Robert Ross di rimettersi a scrivere per il teatro. E se a Napoli aveva cominciato, con l’aiuto di Lord Alfred Douglas, un libretto ispirato dalla vicenda di Dafni e Cloe destinato alla musica di Dalhusie Young, negli anni successivi anche due soggetti biblici: Pharaon (sulla vicenda della moglie di Putifar) e Jezabel vennero elaborati da lui. Ross ci fornisce la testimonianza che egli ne recitava a memoria scene intere e che battendosi la fronte esclamava come Racine: «Tutto il dramma è qui, debbo soltanto scriverlo!».
Ma tra tutti questi progetti l’unico che egli arrivò a elaborare compiutamente sino alla scrittura di molte scene è Constance o il signore e la signora Daventry. (Il doppio titolo sino al momento della rappresentazione era una abitudine dello scrittore sin dall’epoca di Vera e di La Duchessa di Padova o Guido Ferranti1.) Di Constance esistono oltre allo scenario qui di seguito riprodotto (il definitivo, quello su cui furono elaborate le scene sicuramente di Wilde e l’unico di cui esista copia manoscritta) altre due redazioni: una anteriore e pubblicata sul Mercure de France col titolo «Une Tragédie de femme» (1 novembre 1937) e l’altra pubblicata da Th. Bell, all’epoca segretario di quel Frank Harris, che sarà – come vedremo – co-autore del dramma.
L’opera ebbe una preparazione piuttosto lunga e complessa: il primo scenario venne scritto, secondo la testimonianza del figlio, nell’estate del 1895 e inviato all’impresario-attore George Alexander, che non trovò la parte di Daventry sufficientemente interessante per un mattatore del suo stampo. Altri tentativi vennero fatti, durante il soggiorno in Francia dello scrittore, con Ada Rehan – quando Wilde risiedeva in un albergo nei pressi di Chantemesle-sur-Seine insieme ai pittori William Rothenstein e Charles Conder – e successivamente con una attrice americana Cora Brown-Potter e il suo partner abituale, l’affascinante Kyrle Bellew (a cui sarebbe stata destinata la parte di Gerald).
Ma gli accordi definitivi vennero presi con Frank Harris. Ecco quanto ce ne riferisce Francesco Mei nella sua già citata biografia dello scrittore (p. 237):
Pur non condividendo i gusti particolari di Wilde, Harris era convinto che la società inglese fosse stata ingiusta con lui, e che fosse ancora più crudele nel persistere a respingerlo. Con la sua presenza, e con lo stimolo, contava di ridare all’amico caduto una nuova energia e una nuova fiducia in se stesso, portandolo a lottare per riconquistare il successo.
Anche Harris, a suo modo, era un anticonformista e un libertino. A differenza di altri, non intendeva riformare i costumi di Wilde. Voleva soltanto che si scrollasse di dosso il trauma delle sofferenze e delle umiliazioni. Sperava che lo scrittore potesse riprendere il fortunato filone delle commedie brillanti. Ma Oscar, che vedeva nell’amicizia di Harris soltanto un mezzo per sbarcare il lunario, quasi non lo ascoltava.
L’intenzione di Harris era di allontanare Wilde dal malsano ambiente di Parigi. Poiché aveva da poco acquistato un albergo a Montecarlo, gli propose di trasferirsi con lui sulla Costa Azzurra. Harris, in quei mesi, stava scrivendo una biografia di Shakespeare. La sua speranza era che Wilde, in un clima di cordiale amicizia e di vivo scambio intellettuale, ritrovasse l’ispirazione perduta. Così, in particolare, insistette perché riprendesse in mano il soggetto del dramma, Constance, e collaborasse con lui nella stesura.
Harris non era lo sprovveduto che alcuni biografi di Wilde (Maurois, William Armstrong) hanno descritto: era dal 1886 editor di The Fortnightly Review e autore drammatico tutt’altro che disprezzabile, anche se molto diverso da Wilde, nella sua rudezza alla Bernstein. Inoltre aveva dato preziosi consigli per la stesura finale di Un marito ideale ricevendone in cambio la lusinghiera dedica all’opera. Tra lui e Wilde fu fatta una sorta di transazione che prevedeva il versamento di cinquanta sterline per la cessione dello scenario di Constance e altre cinquanta sterline per ogni atto sbozzato dallo scrittore, riservandosi Harris le rifiniture finali prima della messa in prova dell’opera. Non sapremo mai cosa sia accaduto in seguito e abbia intorbidato le relazioni tra i due: forse Harris s’era adontato del tentativo di Wilde di far passare per farina del proprio sacco la scena di Lady Teazle della Scuola della maldicenza di Sheridan immessa di forza nel canovaccio e attribuita a Lady Virginia o forse Wilde s’era indignato della trasformazione del suo personaggio di Lady X. (poi Sturfield) in quello trucibaldo della Delia Preston di Harris. Fatto sta che la collaborazione fra i due venne interrotta e Il signore e la signora Daventry andò in scena con esito trionfale e la firma del solo Frank Harris. Wilde, comunque, dopo la condanna, non avrebbe potuto figurare sulla locandina. Il critico Osman Edwards scrisse che Mrs. Patrick Campbell, l’attrice preferita da George B. Shaw, aveva dato al personaggio di Constance un felice «impasto di tenerezza, di disprezzo, di sfida e di dignità» mentre Fred Kerr «conferiva al personaggio del marito una giusta dose di passione e di cinismo».
Le repliche al Royalty Theatre di Londra furono numerose (132), ma Wilde dal modesto Hotel d’Alsace in cui abitava a Parigi, in rue des Beaux Arts, tuonò contro l’abominevole tradimento delle sue intenzioni. Molti anni dopo Henri de Briel e Guillot de Saix, in seguito al ritrovamento dello scenario originale, tentarono una ricostituzione della commedia di Wilde che venne pubblicata nel 1954 dalla rivista Les Oeuvres Livres ed ebbe subito una modesta esecuzione parigina.
Le scene qui tradotte sono quelle che a giudizio del figlio di Wilde, Vyvyan Holland (in Les Oeuvres Livres, Parigi 1954), sono attribuibili quasi certamente alla penna dello scrittore.
Constance non è mai stata rappresentata in Italia.
LUCIO CHIAVARELLI
SCENARIO ORIGINALE
Atto primo
Un uomo di altissimo rango, molto alla moda, sposa una ragazza di provincia, dolce e semplice, di nobile famiglia, ma ingenua e del tutto ignara delle leggi della vita mondana. Trascorrono le vacanze estive in una loro confortevole dimora di campagna. Dopo qualche tempo il marito comincia ad annoiarsi e invita un gruppo di amici, gaudenti e sofisticati come lui, uomini e donne. All’inizio del dramma l’uomo istruisce sua moglie sul modo in cui deve comportarsi. «Non mostratevi di idee troppo ristrette e non vi adombrate se qualcuno vi corteggia accanitamente. Tra gli altri invitati c’è Gerald Lancing che so aver avuto una passione per te. Puoi flirtare con lui liberamente. Il flirt è di moda quest’anno».
Arrivano gli ospiti. La moglie – Constance Daventry – li trova orribili, così come essi trovano lei molto sciocca.
Il marito corteggia la bella Lady X..., mentre Gerald è sempre affascinante e mostra di comprendere l’animo delicato di Mrs. Daventry.
Atto secondo
Nella stessa giornata, dopo cena. Mr. Daventry e Lady X, sono impegnati in una schermaglia amorosa molto spinta. Restano d’accordo di vedersi ancora nel salotto, quando tutti saranno andati a letto. Gli altri ospiti augurano la buonanotte alla padrona di casa. Mrs. Daventry è molto stanca e cade su un sofà, assopendosi. Entra suo marito e, non essendosi accorto della sua presenza, spegne quasi tutte le luci. Appare allora Lady X; Mr. Daventry chiude a chiave la porta del salotto; scena d’amore tra lui e Lady X; la signora Daventry ascolta le loro parole.
All’improvviso colpi violentissimi sono battuti alla porta. Si sente da fuori la voce furiosa del marito di Lady X che vuole entrare a ogni costo. Terrore di Lady X. Mrs. Daventry si alza, esce dal paravento, accende le lampade e va ad aprire la porta. Fuor di sé entra il marito di Lady X. Mrs. Daventry gli dice: «Chiedo scusa per aver trattenuto tanto tempo a quest’ora Lady X; eravamo intenti a compiere un difficile esperimento di lettura del pensiero (o qualche altra scusa del genere)».
Lady X esce insieme al marito. Mr. Daventry cerca di avvicinarsi a sua moglie, ma ella gli grida: «Non toccatemi! Non toccatemi! Andate via». Egli esce.
Allarmato per le grida che ha inteso, entra allora Gerald. Constance gli racconta quel che è successo. Egli è indignato. Evidentemente ama Mrs. Daventry, che si ritira nella propria stanza.
Atto terzo
Nell’appartamento di Gerald. Mrs. Daventry viene a trovarlo: si intuisce che tra loro è nata una vera passione amorosa.
Sono in procinto di partire insieme, quando un domestico porta un biglietto. È Mr. Daventry che chiede di essere ricevuto. I due amanti non si turbano: Gerald prende la decisione di riceverlo, mentre la donna si ritira in una stanza attigua.
Mr. Daventry è veramente pentito per quel che ha fatto. Implora Gerald, lo scongiura di usare la sua influenza perché possa ottenere il perdono di sua moglie. In questa scena il personaggio che abbiamo conosciuto come sordido materialista rivela invece la propria fragilità di sentimenti.
Gerald gli promette che farà quanto gli è stato chiesto anche se dev’essere evidente che questa decisione lo fa soffrire moltissimo. Il marito va via dopo aver espresso la propria viva gratitudine a Gerald.
Rientra Constance e Gerald le chiede di ritornare dal marito. Ella rifiuta sdegnata.
Gerald allora le dice: «Potete immaginare quanto mi costi chiedere ciò proprio a voi. Nel farlo compio io stesso un gran sacrificio ecc.». Constance risponde: «E perché volete che mi sacrifichi io? Io vi amo; sì, sono profondamente innamorata e voi non avete alcun diritto di disporre della mia vita a vantaggio di altri. Sarebbe un sacrificio contro la morale umana. Abbiamo il diritto di vivere come vogliamo e di amarci. Nell’amore è il vero senso della vita ecc.».
Con questi argomenti e con il proprio fascino ella lo convince a fuggire insieme.
Atto quarto
Tre mesi dopo. Gerald e Constance vivono assieme. La donna sta leggendo l’ultimo atto della commedia Frou Frou2. Ne discutono insieme. Intanto è stato fissato un duello tra Gerald e Mr. Daventry. Constance è certa che il suo amante non potrà essere ucciso. Gerald esce e si presenta il marito.
Constance afferma coraggiosamente di voler bene a Gerald e che nessuno mai potrà farla tornare dal marito. Se nel duello uno dei due dovesse morire, ella si augura che muoia il marito.
«Perché?», le chiede Daventry.
Ella risponde: «Perché il padre di mio figlio deve vivere».
Daventry esce dalla stanza e poco dopo si sente un colpo d’arma da fuoco.
Mr. Daventry si è ucciso.
Ritorna Gerald annunciando che Daventry non s’è presentato sul terreno dello scontro. «È un vile», afferma Gerald.
«No», risponde lei, «no, è morto. Ormai potremo amarci liberamente».
Mentre cade il sipario la coppia si stringe con tenerezza.
O.W.
PERSONAGGI
William Daventry
Lord Gerald, duca di Sandgate
Mr. Marchmont
Lord Sturfield
Parker, maggiordomo
Constance Daventry, moglie di William
Lady Sturfield
Lady Virginia, duchessa di Sandgate, madre di Gerald
Elsa Stein
SCENE DELLA COMMEDIA
Atto I e II, nel castello dei Daventry a Twickenham, nelle vicinanze di Londra; atto III, a Londra, nell’appartamento di Gerald Sandgate; atto IV, sul lago di Costanza, in un salotto dell’albergo «Zum Goldenem Adler».
SCENE DELL’ATTO PRIMO
Un salotto in casa di William e Constance Daventry a Twickenham nelle vicinanze di Londra. Porte in centro e a destra. Un divano circolare con al centro una grande pianta di palma. A destra e a sinistra due piccoli divani. Sulla parete di sinistra una piccola biblioteca con una scrivania incassata tra le scansie.
Scena prima
Una lenta quadriglia snoda in un salone attiguo le sue note e i suoi richiami tradizionali. Per tutta la prima parte dell’atto si udranno sfocati i contegnosi commenti di invitati al ballo e forse s’intravederà qualche silhouette di là dalla porta a vetri. Il salotto è in penombra, William Daventry sulla porta centrale sembra spiare verso il salone da ballo. Ha un piccolo moto di stizza, va alla scrivania e scrive due righe nervosamente, dopo aver acceso una lampada; poi tira il cordone e torna a guardare dalla porta centrale. Quasi subito entra Parker, con una guantiera di dolci in mano.
PARKER: Il signore ha suonato?
DAVENTRY: Avete veduto mia moglie?
PARKER: Era nel salone da ballo sino a qualche attimo fa, signore.
DAVENTRY: Ma poi è uscita. Cercatela. E datele questo da parte mia. (Consegna il biglietto a Parker.)
PARKER: Bene, signore. (Si avvia.)
DAVENTRY: Un momento. Si divertono?
PARKER: Sembra di sì, signore. Il pianista è molto bravo, se posso esprimere la mia personale opinione.
DAVENTRY: Grazie, Parker. E ora andate a cercarla.
PARKER: (si inchina ed esce.)
DAVENTRY (dopo aver scelto un libro nella biblioteca, legge, sorride e ripete a voce alta): «Pure, non mi duole di averti amata. / Che mai altro potevo fare? / Poiché gli avidi denti del tempo divorano / e incalzano gli anni dal piede silenzioso». (Sorride ancora, mentre da destra entra Lady Virginia.)
VIRGINIA (maschera la contrarietà di trovare Daventry nella stanza con un sorriso di circostanza): Ammiravo la vostra bella casa, signor Daventry. Davvero perfetta, senza un errore di gusto, senza seggiole stile Adam mescolate con mobili Chippendale, come capita spesso, ahinoi!, nelle dimore della nostra aristocrazia.
DAVENTRY: Sono lieto che il nostro appartamento vi piaccia, duchessa.
VIRGINIA: Posso chiedervi se il merito delle scelte è vostro o della gentile signora Daventry? Lo so, è una domanda indiscreta, ma, come probabilmente sapete, quel che distingue chi ha un titolo da chi non lo ha è il fatto che qualsiasi domanda venga fatta da noi sembra lecita e spiritosa, mentre spesso le domande dei borghesi rivelano soltanto vaghi sentori di cafonaggine mascherata da curiosità.
DAVENTRY: Non ho difficoltà a dirvi che questa casa era già stata arredata da me diversi anni prima del mio matrimonio.
VIRGINIA: Lo supponevo, tanto più che voi potreste benissimo essere il genitore della vostra deliziosa signora.
DAVENTRY: Ci sono tra noi appena vent’anni di differenza d’età.
VIRGINIA: La differenza ideale sinché si è sotto gli... anta...
DAVENTRY: Io spero anche dopo. Invecchiare insieme è una prerogativa dei matrimoni ben riusciti...
VIRGINIA: ... ma può diventare una tragedia per quelli che non lo sono.
DAVENTRY: Mi permetto di ricordarvi, duchessa, il fatto che mia moglie, pur appartenendo a una nobile e antica famiglia, non ha mai lasciato prima del matrimonio la casa di campagna in cui è cresciuta. Ho per così dire forgiato io la sua educazione mondana e, spero, anche la sua personalità.
VIRGINIA: Singolare ambizione la vostra: una moglie costruita su misura, pezzo per pezzo...
DAVENTRY: ... con infinita pazienza...
VIRGINIA: ... e qualche illusione di troppo, temo. Cosicché la signora Daventry era come se non esistesse, come se non avesse vissuto prima di incontrare voi?
DAVENTRY: Per quanto possa sembrarvi strano, è così.
VIRGINIA: È davvero molto strano: una donna senza un passato...
DAVENTRY: Non arrivo a comprendere perché troviate tanto strano il nostro rapporto. La frequentazione per oltre vent’anni dei salotti londinesi aveva fatto nascere in me il desiderio di qualcosa di diverso, di più fresco, più ingenuo...
VIRGINIA: ... una moglie senza passato... È un errore a mio parere.
DAVENTRY: E perché mai?
VIRGINIA: Tutte le donne debbono avere un passato. È un loro diritto naturale. Dovete far attenzione, signor Daventry, perché le donne senza passato si danno un gran da fare per costruirsene uno.
(Dalla porta centrale entra Constance Daventry. È giovane, bella e, nella sua schiettezza, dotata di fascino e di umorismo.)
...
SCENE DELL’ATTO SECONDO
Stessa scena. Qualche ora dopo.
Scena terza
GERALD (a Constance, che è sdraiata sul divano): Perché non andate a riposare in camera vostra? Dovete essere stanchissima. È stato uno splendido ricevimento, ma voi dovete esservi molto affaticata.
CONSTANCE: Sono rimasti ancora alcuni invitati e la mia camera è stata trasformata in salotto e guardaroba per le signore. Mrs. Preston l’ha riempita d’un profumo così inebriante che mi farebbe venire un’emicrania anche più forte di quella che ho già. Nella serra ci sono ancora due tavoli da gioco e presumo che come l’anno scorso andranno via soltanto alle prime luci dell’alba; son così presi dal gioco che certo non faranno caso alla mia assenza.
GERALD: Devo esser grato a quei giocatori. Mi hanno dato l’opportunità di rimanere solo con voi per un po’ di tempo. Si vede che non vi sentite bene. Datemi la mano. Se aveste la febbre, son certo che riuscirei a guarirvi.
CONSTANCE: Anche se aveste questi poteri miracolosi, vi consiglierei di curare prima voi stesso.
GERALD: Io non mi amo abbastanza per occuparmi della mia persona. E poi non pensate anche voi che sia molto più facile agire a favore degli altrianziché di noi stessi? Via, lasciate che provi. Chiudete di occhi. Ecco, così. Non siamo più a Twickenham, ma a Dublino, sulla terrazza di casa mia,proprio di fronte al vecchio porto.
CONSTANCE: Come sono lontani quei giorni!
GERALD: Io mi sento già vecchio. Non faccio altro che ricordare. Vi rammentate i versi che scrissi allora per voi?
Davanti al mare sterminato stiamo
finché di spruzzi sono i capelli aspersi.
Verso occidente ardono i lunghi fuochi rossi del tramonto,
quand’ecco un sùbito splendore ci illumina,
vediamo l’argentea luce emergere di bianche,
roride membra, e nella grande gioia
noi scordiamo le pene del passato.
(Prende la mano di lei.)
CONSTANCE: I nostri sogni...
GERALD: Sì, forse la vita è soltanto un sogno nel sogno. Ripenso spesso a quei giorni; allora non avevate paura di stringere la mia mano. Parole inespresse riempivano il nostro silenzio e il mio angelo custode era geloso del vostro...
CONSTANCE (sciogliendo la mano dalla stretta di Gerald): Allora non ero ancora la signora Daventry.
GERALD: Scusatemi.
CONSTANCE: Poiché voi vi nutrite di ricordi, non ho bisogno di farvi tornare in mente che quando sono molto stanca, come in questo momento, mi sono sufficienti pochi minuti di riposo totale per riacquistar quasi subito tutte le mie forze.
GERALD: Io, invece, quando sento che il mio cuore è troppo stanco, penso a voi e tutto passa...
CONSTANCE: Siete molto gentile, Gerald, a dirmi queste cose, tuttavia... (Lo guarda intensamente:) Era molto tempo che non mi parlavate in questo modo.
GERALD: Il fatto è che è probabile che da un giorno all’altro, e forse prima di quel che possiate pensare, mi chiameranno lontano dall’Inghilterra.
CONSTANCE: Lontano dall’Inghilterra?
GERALD: Devo cominciare a pensare al mio avvenire... e da buon suddito del nostro Impero...
CONSTANCE: Oh, come siete crudele!
GERALD: Perché?
CONSTANCE: Sì, crudele; mi date un gran dolore annunciandomi questo prossimo addio. Adesso, vi prego, lasciatemi sola.
GERALD: Allora non pensate più a quel che vi ho detto. Ritrovate con qualche momento di riposo quell’incarnato di rosa che affascina tutti i vostri amici e ingelosisce tutte le vostre amiche.
CONSTANCE (con un brivido): C’è una corrente d’aria...
GERALD: Un attimo: mia madre mi ha insegnato l’arte di disporre i paraventi. (Ne sposta uno attorno al divanetto in cui s’è accoccolata Constance in modo che dall’altro divano non sia possibile vederla.) A proposito, quel tono misterioso che avevate poco fa mi aveva preoccupato. Davvero non avevate altro da dirmi?
CONSTANCE: Non mi pare: solo un gran desiderio di poter parlare a quattr’occhi con una persona sincera e devota. (Gerald fa per ritirarsi, ma ella lo richiama.) Gerald!
GERALD: Sì? (Spegne il lampadario del salotto.)
CONSTANCE: Quel che m’avete detto m’ha un po’ preoccupata. Mi sarà difficile assopirmi...
GERALD (sorridendo): Chiudete gli occhi e cercate di ricordare le ninne nanne che cantavano le nostre tate irlandesi. (Constance chiude gli occhi, Gerald intona a bocca chiusa una nenia popolare e guarda Constance che riposa, poi si allontana in punta di piedi.)
Scena quarta
Una pausa. Constance sussurra nel sonno qualche parola della ninna nanna, poi s’addormenta. Si apre cautamente la porta. Entra Lady Sturfield. Siede sul divano opposto a quello di Constance, consulta l’orologio, accende una piccola lampada vicina al divano, si incipria; la pendola suona le dieci. Entra Daventry, la vede e chiude a chiave la porta. Si avvicina sorridendo a Lady Sturfield.
DAVENTRY: Finalmente siete venuta.
LADY STURFIELD: Io ho una parola sola.
DAVENTRY: Anch’io. Ho fatto quel che vi avevo promesso. Ora potete essere più serena... possiamo riprendere la nostra conversazione.
LADY STURFIELD: E sia. Anche voi però dovete comportarvi da uomo che ha conquistato questa serenità per gli altri... e per se stesso.
DAVENTRY: È molto difficile rimanere indifferenti vicino a una donna affascinante che t’inebria con un profumo capace di ammaliare qualsiasi uomo.
LADY STURFIELD: È una semplice colonia all’eliotropio.
DAVENTRY: Non c’è nessuno in tutta l’Inghilterra che possa essere paragonata a voi...
LADY STURFIELD (ridendo): Che complimento pomposo!
DAVENTRY: Perché ridete?
LADY STURFIELD: Perché avete adoperato esattamente le stesse parole di Mr. Marchmont. Le disse il primo giorno in cui restammo soli, alcuni anni fa.
DAVENTRY: Allora quel che sospettavo è vero... c’è un legame tra voi?
LADY STURFIELD: Avrebbe voluto stringerlo, sì... Ma per certi legami, lo sapete benissimo, non basta la volontà d’uno solo. Occorre essere in due.
DAVENTRY: E allora? In tutto questo tempo...
LADY STURFIELD: È diventato il miglior amico di mio marito, che ha in lui una fiducia assoluta.
DAVENTRY: Mr. Marchmont è comunque fortunato. Vi sta sempre accanto...
LADY STURFIELD: ... e mi sorveglia senza neanche un’eccessiva discrezione. Insomma fa in tutto e per tutto le veci di mio marito, quando un attacco di gotta non gli permette di accompagnarmi.
DAVENTRY: Vi prego, ditemi francamente Lady Sturfield: corro anch’io il pericolo di far la fine del signor Marchmont? Oppure posso sperare in una diversa valutazione? Mi trovate simpatico?
LADY STURFIELD: Non sarei qui sola con voi se non avessi apprezzato quanto valete.
DAVENTRY: Quanto valgo? Sareste capace di calcolarlo?
LADY STURFIELD: No. Detesto le cifre.
DAVENTRY: Ma tutta la nostra società si basa sulle cifre. (Si avvicina a lei che indietreggia.) Avete ancora paura di me?
LADY STURFIELD: Non è di voi che ho paura, ma di me stessa.
DAVENTRY: E perché?
LADY STURFIELD: Perché appena entrato avete compiuto un gesto che mi ha gelato il sangue: avete chiuso a chiave quella porta. Adesso apritela. Voglio andar via.
DAVENTRY: Non comportatevi come una bambina. Sedete invece qui vicino a me. Vi prometto che sarò io un bambino saggio. Ma adesso spiegatemi una cosa: mi avete chiesto di prestarvi una somma non piccola; i denari sono qui. (Glieli mostra e lei tende istintivamente la mano per prenderli, ma Daventry non glieli consegna.) E tuttavia c’è qualcosa che non capisco. Come mai avete bisogno di questa somma, quando avete al collo il più bel collier di smeraldi che si possa ammirare a Londra?
LADY STURFIELD: Questo collier è falso. Ho impegnato quello vero e i denari mi sono necessari per recuperarlo. Non confesserei queste cose che al mio migliore amico. Quel denaro potrebbe salvarmi, lo ammetto... ma non dovete approfittare della mia debolezza per trattarmi come... come...
DAVENTRY: ... una donna qualsiasi. (Mostra il denaro.) Sono belle, non è vero?, le nostre banconote... (Le accarezza.) E sentite che grazioso rumore fanno se qualcuno le accarezza... quasi altrettanto gradevole del fruscio d’una veste di seta abbandonata sul pavimento.
LADY STURFIELD: Basta, signor Daventry. Aprite quella porta e portate un po’ più di rispetto a Costance, alla vostra consorte che non merita i vostri tradimenti.
DAVENTRY: Sappiate che non sopporto lezioni di morale da nessuno. E tanto meno da voi che mi avete lusingato, tentato, ossessionato per tutta la sera. (Si avvicina ancora a lei.)
LADY STURFIELD: Non avvicinatevi. O chiamerò aiuto. Sapete quanto è geloso mio marito.
DAVENTRY: Non chiamerete aiuto, altrimenti sareste compromessa. Confessate che la vostra resistenza è una commedia per render più dolce il vostro abbandono. E poi quel che voglio, lo voglio subito. (La bacia appassionatamente sulle labbra.) In fondo siamo fatti l’uno per l’altra. (La rovescia sul divano.)
LADY STURFIELD: Non fatemi male... vigliacco... caro vigliacco...
LORD STURFIELD (da fuori la porta): Gladys... sei lì?
LADY STURFIELD: È mio marito...
DAVENTRY: Mi avete teso una trappola!
LADY STURFIELD: Siete pazzo? E ora? Sono perduta! Mi ucciderà!
LORD STURFIELD: Aprite la porta, Daventry!
CONSTANCE (esce dal paravento, accende con calma le lampade, s’avvia verso la porta evitando la coppia stupefatta, la apre e sorride a Lord Sturfield): Oh, entrate, Lord Sturfield. Stavamo complottando in segreto. Eravamo tanto presi da non avervi sentito subito. Vogliate scusarci.
SCENE DELL’ATTO TERZO
Nel salotto dei duchi di Sandgate
Scena quarta
(Entra Mr. Daventry e ha un moto di disappunto vedendo che Gerald è in compagnia di sua madre e di Marchmont.)
DAVENTRY: Scusatemi, Gerald, se sono venuto da voi senza preavviso. Duchessa... Mr. Marchmont... non volevo disturbarvi. Credevo che foste solo.
VIRGINIA (mascherando con dolcezza la propria crudele curiosità): Vi vedo angosciato, caro amico. Che cos’è che vi preoccupa tanto?
DAVENTRY: A me? Niente.
VIRGINIA: Questo «niente» ha un suono un po’ strano. Ma non voglio essere indiscreta. Penso che desideriate rimanere solo con mio figlio. Oh Dio, forse non dovevo dirlo! È quella che i francesi chiamano una gaffe. Ma, come forse sapete, signor Daventry, ho aiutato troppo a lungo mio marito nella nostra ambasciata di Parigi per esser immune da queste spiacevoli abitudini...
MARCHMONT: Quali, Lady Virginia?
VIRGINIA: Le gaffes, amico mio. Nel corpo diplomatico inglese le coltiviamo come orchidee in una serra. Questa è davvero una delle nostre maggiori tradizioni nazionali.
Comunque è l’ora della mia passeggiata nel Parco: da trent’anni non sono mai mancata a questo rito, quando sono a Londra. Spero che il signor Marchmont vorrà concedermi di appoggiarmi al suo braccio.
MARCHMONT: Eccolo, Lady Virginia.
VIRGINIA: Gerald, il mio bastone... la mia sciarpa... No! Non quella lì, al mattino porto sempre quella azzurra. Arrivederci, signor Daventry. E quanto al problema che vi assilla, non preoccupatevi; son certa che Gerald lo risolverà.
DAVENTRY (teso): Duchessa...
VIRGINIA (voltandosi indietro): A proposito, se Gerald vi dà retta, sconsigliategli di andare a vedere le danze dei negri. Non è con quelle che si libererà delle sue idee nere.
GERALD: Gli indiani non sono neri, mamma.
VIRGINIA: Noi dobbiamo farci un punto d’onore di ignorare la geografia. E poi sono sempre dei selvaggi. Cosa andrà a fare in India? Qui a Londra la sua partenza costernerebbe tante persone, non è vero?
DAVENTRY: Non sapevo avesse l’intenzione di partire.
VIRGINIA: Gerald fa sempre tutto di nascosto. E io so fin troppo bene da chi ha ereditato quest’abitudine.
(Esce al braccio di Marchmont.)
Scena quinta
DAVENTRY: Avete davvero intenzione di partire?
GERALD: Non parliamo di me, ma di voi innanzi tutto. Che cosa v’è capitato, William?
DAVENTRY: Se sapeste, amico mio...
GERALD: Cosa c’è?
DAVENTRY: Constance...
GERALD: Le è successo qualcosa?
DAVENTRY: No, non si tratta di questo. Noi siamo sempre stati buoni amici, Gerald. Vi confiderò quel che non oso raccontare a nessun altro. Ecco, Gerald: Constance mi ha lasciato.
GERALD: Ha abbandonato la vostra casa?
DAVENTRY: Sì. Dopo una scenata penosissima, s’è chiusa a chiave in camera sua. E stamattina la stanza era vuota. Non ne sono stato neanche troppo meravigliato. In fondo lei non mi ha mai voluto bene. E non m’ha mai amato perché non mi ha mai capito. Amare significa capire. E le donne di noi capiscono soltanto i pregi esteriori.
GERALD: E voi... voi l’avevate capita?
DAVENTRY: Le donne son fatte per essere amate, non per esser capite.
GERALD: Io penso che Constance vi ami ancora. Alla base di tutto dev’esserci qualche grave malinteso.
DAVENTRY: Ce n’è uno infatti. Ma non quello a cui stavate pensando. Lei non amava me, ma l’uomo forte che aveva tanto successo nella vita. Le donne sono in fondo delle deboli schiave, più o meno passive, che subiscono la nostra forza.
GERALD: Non riesco a comprendere quale sia il motivo della sua fuga. Constance è un angelo. Per quanto posso conoscerla, credo che forse voi le abbiate fatto qualche torto, qualche torto molto grave.
DAVENTRY: E sia, mi sono comportato male. Nessun uomo è un cavaliere senza macchie. Un grave torto? Sì, può darsi che lei lo giudichi così. Mi ha sorpreso in un colloquio molto intimo con Lady Sturfield... potrebbe esser questa la ragione. E poi adesso fa la parte della donna offesa, il suo sangue irlandese le ribolle nelle vene.
GERALD: Perché l’avete fatta soffrire?
DAVENTRY: Non lo so. Onestamente non lo so. Ma credo qualsiasi vero uomo avrebbe fatto come me. L’importante è che io voglio Constance. Ho bisogno di lei.
GERALD: Avete un carattere forte: è questo che vi ha permesso di conquistarla...
DAVENTRY: ... di conquistarla, ma anche di perderla. Non so dove possa esser andata. Voi siete il suo miglior amico da quando eravate ragazzi, forse il suo solo amico: vengo a chiedervi se...
GERALD: Non so dove sia.
DAVENTRY: Me lo giurate?
GERALD: Ve lo giuro.
DAVENTRY: Avevo la vaga speranza che fosse venuta qui da voi e da vostra madre... Ma dove sarà? La cerco da ore, ho paura di non riuscire a ritrovarla e per scacciare quest’incubo da stamattina non ho fatto altro che bere, anche se so benissimo che l’alcool è un liquido in cui si possono conservare benissimo tante cose, ma non i segreti... Avevo bisogno di parlare con qualcuno, con un vero amico come voi.
GERALD: Mio povero William, non mi rendevo conto di quanto fosse grande l’amore che avete per Constance.
DAVENTRY: Dite che è amore il mio? Sì, forse. Ma è anche voglia di possesso. Constance è mia moglie, l’ho educata io, ne ho formato i gusti e il carattere, e adesso... (Con ira improvvisa:) Gerald, è un mostro anche lei! Un mostro come tutte le altre donne!
GERALD: Non vi rendete conto di quel che state dicendo. Avete la fortuna di aver per moglie la donna più onesta di questo mondo!
DAVENTRY: E ne sono duramente punito! Se tutte le donne oneste si comportano come lei, sono delle stupide. E alla fin fine sono peggiori delle altre. Sono stupide e senza cuore.
(Una pausa piuttosto lunga. I due uomini si guardano senza parlare.)
GERALD: A cosa stavate pensando?
DAVENTRY (quasi sorridendo): Non lo ricordo più; mi smarrisco nell’angoscia. Ah, ecco: forse questa fuga di Constance è una sua piccola astuzia infantile, forse vuole che io la cerchi, che le corra dietro... No, vero? Non può essere così... Il fatto è che sinora sono sempre stato io a interrompere tutti i miei legami sentimentali... e adesso doveva capitare a me. Aiutatemi, Gerald. A voi mia moglie darà sicuramente il suo nuovo domicilio, con voi in qualche modo si farà viva. E allora vi prego di mettere qualche buona parola in mio favore, saprete certo trovare qualche argomento che possa convincerla. Siete un poeta... e vi conoscete da quando eravate due ragazzi. Forse la conoscete meglio di me.
GERALD: Da più lungo tempo, diciamo così.
DAVENTRY: Parlatele con quella calma, con quella dolcezza di cui ora io non sarei capace. Fatela riflettere sulle difficoltà a cui va incontro una donna sola. Fatemela ritornare a casa e io mi impegno a cambiare, a non darle altri motivi d’esser sdegnata con me. E poi insomma cosa rischia a tornare da me?
GERALD: Forse la sua stessa vita.
DAVENTRY: Saprò renderla felice, ve lo giuro. Allora? Le parlerete?
GERALD: No, non contate sul mio intervento.
DAVENTRY: Perché rifiutate?
GERALD: Se l’aveste amata come lei meritava...
DAVENTRY: Se l’avessi amata...? Ma nonostante tutto, io l’amo, l’amo ancora. Ho bisogno di lei, ho bisogno... Lo vedete, mi viene da piangere come un bambino. Lo so, è vergognoso piangere per un uomo. Che posso fare senza di lei?
GERALD: Tornerete a occuparvi dei vostri affari, delle vostre speculazioni in Borsa...
DAVENTRY: No, no... tutto quello che facevo negli ultimi tempi aveva un senso soltanto perché c’era lei. Oh, Gerald se nella vita avete conosciuto l’amore almeno una volta, dovete aiutarmi.
GERALD (dopo una pausa): Sta bene. Farò quel che mi avete chiesto.
DAVENTRY: Grazie, amico mio. Era quel che m’aspettavo da voi. Se voi intervenite in mio favore, son certo che riuscirete a convincerla.
GERALD: Sempre che si presenti l’occasione propizia...
DAVENTRY: Son certo che entro pochissimo tempo vi cercherà. E in questo caso, promettetemi che le direte tutto quel che vi ho confessato.
GERALD: Ve lo prometto.
...
SCENE DELL’ATTO QUARTO
Sulle rive del lago di Costanza, nell’albergo «Zum Goldenen Adler».
La sala comune d’uno chalet in legno: in fondo balcone con vista del lago. Sopra il camino un ritratto della Regina Ortensia.
Scena prima
Lady Virginia è seduta in una poltrona dalla housse fiorata, Constance è vicina a lei, mentre Gerald sta scrivendo qualcosa appoggiandosi a una piccola scrivania.
Elsa Stein, la proprietaria dell’albergo, è in piedi tra loro.
VIRGINIA: E così siamo alloggiati in un albergo storico?
ELSA: Sì, signora. È proprio in questa stanza che si riposò la regina Ortensia. Vedete lì c’è un suo ritratto. Poi andò ad abitare qui di fronte ad Arenberg.
VIRGINIA: Fate bene, signora Stein, a indossare ancora il vostro costume regionale. Il rispetto delle tradizioni è un sentimento nobile. Purtroppo da noi in Inghilterra lo si sta perdendo. E così la gente diventa sempre più volgare.
ELSA: Certe usanze vanno sparendo anche da noi.
VIRGINIA: Sarebbe un peccato. (Congeda l’albergatrice con un gesto grazioso.) È stata molto gentile, signora Stein. Mille grazie.
ELSA (dopo una riverenza un po’ goffa): Me ne basta una, signora: quella d’aver l’onore di servirvi. (Esce.)
Scena seconda
VIRGINIA: Quest’albergatrice almeno è bene educata.
CONSTANCE (andando verso la balconata): Com’è bello il lago di Costanza... questo cielo limpido, gli uccelli bianchi contro le montagne scure... Un posto ideale.
GERALD (sollevando appena la testa): Certamente, cara.
VIRGINIA: Intendiamoci: non è che gli Svizzeri siano esenti da volgarità. La volgarità è universale al giorno d’oggi.
GERALD: Ci sono cose peggiori, mamma.
VIRGINIA: Ah, no! Le persone volgari son sempre disposte a insozzare qualsiasi sentimento, anche il più nobile, proprio perché sono incapaci di concepirli.
CONSTANCE: Che cosa avete da rimproverare agli svizzeri, Lady Virginia? Sono tutti tanto gentili...
VIRGINIA: Il rimprovero maggiore che muovo a questo paese e ai suoi abitanti è quel vago sentore di latte cagliato che non riescono a togliersi di dosso.
Però ho apprezzato, caro Gerald, la tua delicata intenzione di offrire questo gradevole soggiorno a colei che porta lo stesso nome del lago.
GERALD: Non c’era niente di intenzionale, mamma. Appena passata la frontiera ci siamo domandati dove era meglio dirigerci. Ho visto sulla carta geografica il lago di Costanza... e adesso eccoci qui.
VIRGINIA: Penso che staremo bene in quest’albergo. Se non vado errata ne siamo da qualche giorno gli unici clienti. Tra tutti gli esseri umani che non sopporto – e Dio sa quanti sono! – i turisti sono i peggiori. Se sono inglesi, colonializzano il personale dell’albergo, se sono italiani pensano subito a come penetrare nella vostra camera e se sono tedeschi... beh, basta che lo siano!
CONSTANCE: Come siete spiritosa, lady Virginia. È davvero un piacere e un privilegio vivere accanto a voi.
GERALD: È già arrivata la posta?
CONSTANCE: Ancora no.
VIRGINIA: L’attesa della posta è per me l’ora più deliziosa di tutta la giornata. Le lettere mettono Londra a mia disposizione senza nemmeno una delle seccature che quella città ci riserba. E soprattutto senza la sua nebbia.
(Osservando Constance che sta sfogliando un libro da qualche tempo:) Posso chiedervi chi è l’autore di quel piccolo libro che state leggendo?
CONSTANCE: È una commedia francese di Meilhac e Halévy. Continuano a recitarla a Parigi da diverso tempo.
VIRGINIA: E come si intitola?
CONSTANCE: Frou-Frou.
VIRGINIA: Che titolo significativo! C’è dentro tutta la débauche di quella nazione. Scommetterei che vi si fa cenno persino del dilagante vizio francese.
CONSTANCE: In verità no. È una storia d’amore: persino commovente.
GERALD: Oggi, cara mamma, sei decisamente nazionalista. Ancor più del solito. Non voglio sembrarti impertinente, ma vorrei sapere qual è secondo te il vizio inglese.
VIRGINIA: Molto semplice. È l’adulterio, lo sanno tutti. L’adulterio con la protezione del confort casalingo.
CONSTANCE (fingendo di non rilevare l’insolenza della Duchessa di Sandgate): Quel che càpita alla protagonista della commedia è molto simile alla mia situazione attuale. Ma io spero d’avere una sorte più fortunata.
VIRGINIA: Senza dubbio quel personaggio muore per rimanere fedele al proprio ideale.
CONSTANCE: Sì, è così.
VIRGINIA: Gli ideali sono cose pericolose. Le cose reali sono infinitamente preferibili, anche se talora possono ferirci.
Scena terza
(Entra Elsa Stein con parecchie buste.)
ELSA: È arrivato il postino.
VIRGINIA: Finalmente?
GERALD: C’è qualche lettera per me?
ELSA: Sono spiacente, signore: sono tutte indirizzate alla Duchessa di Sandgate. (Le consegna a Lady Virginia ed esce.)
(Lady Virginia apre per prima cosa un giornale di cui scorre i titoli.)
CONSTANCE: C’è qualche notizia interessante sul «Times»?
VIRGINIA: Nessuna. I soliti luoghi comuni. (Ripiega il giornale e soppesa una lettera molto voluminosa, dopo aver letto il nome del mittente.) La contessa di Basildon deve avermi scritto un vocabolario di pettegolezzi. Da quando è così invecchiata crede d’esser diventata Madame de Sevigné. Non sono mai riuscita a conoscere la sua vera età: forse il doppio di quella che dichiara. (A Constance:) Perché, vedete mia cara, gli anni che una signora sottrae alla propria età non vanno mai perduti. Nessuna di noi dimentica mai di aggiungerli, e con generosità, all’età delle nostre migliori amiche. E adesso vi chiedo il permesso di ritirarmi a vivere a Londra chiudendomi nella mia camera e delibando tutte le preziose notizie che mi sono state indirizzate. Credo che non scenderò per la colazione. (Sorride, un piccolo cenno del capo ed è gia sparita con la sua preziosa corrispondenza.)
Scena quarta
(Rimasti soli, Gerald e Constance si guardano con intensità e si abbracciano per un attimo. Sono entrambi preoccupati.)
GERALD: Non sa nulla, grazie a Dio.
CONSTANCE: Speriamo che la notizia del duello non sia trapelata a Londra.
GERALD: No, è impossibile. I nostri padrini si sono incontrati per discutere sulle condizioni solamente ieri nel pomeriggio.
CONSTANCE: Quando vi batterete?
GERALD: Tra un’ora. I padrini verranno qui, in carrozza. Nessuno si renderà conto di dove vado.
CONSTANCE: Se mi avessi permesso di parlare a mio marito, forse...
GERALD: No. Quell’uomo aveva giurato che mi avrebbe ucciso. Ci ha inseguiti in tutti i nostri spostamenti, ha detto e ripetuto che voleva battersi in duello... Non potevo evitare questa conclusione.
CONSTANCE: Potevamo partire di qui.
GERALD: Come hai potuto pensare una cosa simile? Non sono un vile, Constance. (Va alla scrivania e suggella la lettera che stava scrivendo.) È per mia madre. Tienila tu e dagliela, se...
CONSTANCE: Oh, no! No, non pensarlo neanche!
GERALD (abbracciandola): Se sarà necessario dovrai avere molto coraggio. Cerca di rimanere calma come lo sono io.
CONSTANCE: Sarò calma, ma questo non potrà impedirmi di difendere il mio unico bene... il nostro unico bene. Perché... sento che debbo dirtelo, Gerald, e proprio in questo momento. Tu non puoi essere ucciso. (Gerald fa un gesto vago e s’allontana da lei.)
Non puoi perché sono quasi certa da qualche giorno di essere... di essere... (L’emozione le toglie il respiro. Gerald la guarda e intuisce, corre di nuovo ad abbracciarla.)
Non puoi essere ucciso in questo duello: devi vedere tuo figlio quando nascerà.
* La redazione dello scenario è del 1895; quella della commedia è del 1900.
1 L’importanza di essere Onesto si intitolò per parecchi mesi Bunbury e Una tragedia fiorentina, L’amore e la Morte così come La Sainte Courtisane aveva avuto per primo titolo quello di Myrrhina (N.d.T.).
2 Dramma molto in voga di Henri Meilhac e Ludovic Halévy (1869), tra i più frequentemente rappresentati in tutta Europa sino alla fine del secolo scorso (N.d.T.).