ATTO QUINTO

 

Una cella nelle carceri di Padova. Guido giace su un pagliericcio a sinistra. È addormentato; lì presso una tavola e sopra di essa un bicchiere.

[A destra] cinque armigeri giocano a dadi e bevono attorno a una tavola di marmo: uno di essi reca una lanterna appesa all’alabarda. Una torcia è infissa nella parete sopra la testa di Guido.

Nel fondo due finestre chiuse da inferriate. Al centro una porta che dà su un corridoio.

Il palcoscenico è in penombra.

 

PRIMO ARMIGERO (gettando i dadi): Ancora doppio sei, caro Pietro.

SECONDO ARMIGERO: Con voi non gioco più. Ci rimetterei sino all’ultimo soldo.

TERZO ARMIGERO: Meno il cervello, quello l’hai già perso!

SECONDO ARMIGERO: Già, quello non me lo può portar via!

TERZO ARMIGERO: Certo, non ne hai mai avuto!

GLI ARMIGERI (forte): Ah! Ah! Ah!

PRIMO ARMIGERO: Piano, non svegliate il carcerato. Sta dormendo.

SECONDO ARMIGERO: E che importa? Ne avrà di tempo per dormire quando marcirà sotto terra! Scommetto che sarebbe contento di essere svegliato allora.

TERZO ARMIGERO: No, quello si sveglierà per il giudizio universale!

SECONDO ARMIGERO: L’ha fatta grossa... perché se assassinare uno di noi, che siamo soltanto carne e sangue, è peccato, far fuori uno come il Duca significa mettersi contro la legge.

PRIMO ARMIGERO: Era un Duca così crudele!

SECONDO ARMIGERO: Ragion di più per non toccarlo; a bazzicare con certa gente ci si infetta.

TERZO ARMIGERO: Giusto. Quanti anni ha il carcerato?

SECONDO ARMIGERO: Abbastanza per fare il male, non abbastanza per agire ragionevolmente.

PRIMO ARMIGERO: Questo si può dire d’ogni età.

SECONDO ARMIGERO: Dicono che la Duchessa voleva graziarlo.

PRIMO ARMIGERO: Davvero?

SECONDO ARMIGERO: Sì, e che ha molto insistito col Gran Cancelliere, ma che lui ha resistito.

PRIMO ARMIGERO: Quant’è strano, Pietro. Credevo che la Duchessa avesse pieni poteri.

SECONDO ARMIGERO: Certo è una gran bella donna. Non ne conosco nessuna che possa starle a pari.

ALTRI ARMIGERI: Ah! Ah! Ah!

PRIMO ARMIGERO: Io volevo dire che pensavo che potesse fare e disfare qualunque cosa.

SECONDO ARMIGERO: No. L’uomo è ora in mano ai Giudici e loro ci tengono a che sia fatta giustizia, loro e quel macellaio di Ugo, il boia. Quando gli avranno mozzato la testa, allora la Duchessa potrà perdonarlo, se le fa piacere, non ci sono leggi che lo vietino.

PRIMO ARMIGERO: Io non credo che Ugo, il macellaio come lo chiami tu, gli potrà fare la festa con le sue mani. Questo Guido è di sangue nobile e quindi, per legge, può anche bere il veleno, se gli fa piacere.

TERZO ARMIGERO: Sai che piacere è avvelenarsi!

SECONDO ARMIGERO: Che genere di veleno sarà?

PRIMO ARMIGERO: Del genere che fa morire.

TERZO ARMIGERO: Che roba è il veleno?

PRIMO ARMIGERO: È una cosa che si beve come l’acqua, ma non fa altrettanto bene alla salute. Se lo vuoi assaggiare, lì nella tazza ce n’è un bel goccetto.

TERZO ARMIGERO: Per San Giacomo, se non fa bene alla salute, non lo voglio proprio!

SECONDO ARMIGERO: E se non lo beve?

PRIMO ARMIGERO: Allora gli tagliano la testa.

TERZO ARMIGERO: E se lo beve?

PRIMO ARMIGERO: Allora muore avvelenato.

SECONDO ARMIGERO: Ha una scelta difficile da fare. Vedrete che sceglierà bene.

(Si sente picchiare alla porta.)

PRIMO ARMIGERO: Andate a vedere chi è.

(Il terzo armigero si avvicina alla porta e guarda attraverso lo spioncino.)

TERZO ARMIGERO: È una donna.

PRIMO ARMIGERO: Bella?

TERZO ARMIGERO: Non lo so: è mascherata.

PRIMO ARMIGERO: Solo le donne troppo belle o quelle troppo brutte si nascondono la faccia. Falla passare.

(L’armigero apre la porta. Entra, mascherata, la Duchessa. È avvolta in un mantello.)

DUCHESSA (al terzo armigero): Siete voi l’ufficiale di guardia?

PRIMO ARMIGERO (facendosi avanti): Sono io, Signora.

DUCHESSA: È necessario che io veda il carcerato da sola.

PRIMO ARMIGERO: Non è possibsile.

(La Duchessa gli porge un anello. Egli lo guarda e glielo restituisce con un inchino. Poi si volta agli altri.)

Venite fuori.

DUCHESSA: I vostri uomini sembrano molto rozzi...

PRIMO ARMIGERO: Non è colpa loro.

DUCHESSA: Uscirò tra pochi minuti. Quando passerò per il corridoio fate in modo che non tentino di togliermi la maschera.

PRIMO ARMIGERO: Non abbiate timore, Signora.

DUCHESSA: Non debbo assolutamente essere veduta.

PRIMO ARMIGERO: Signora, con questo anello potete entrare e uscire quando vi piace: è l’anello della Duchessa.

DUCHESSA: Lasciateci.

(L’armigero si volta per uscire.) Un momento, a che ora...

PRIMO ARMIGERO: Abbiamo ordine di condurlo fuori a mezzanotte, ma credo che non ci aspetterà; è più probabile che beva il veleno che è in quella tazza. Gli uomini hanno paura del boia.

DUCHESSA: C’è del veleno lì dentro?

PRIMO ARMIGERO: Sì, Signora: un veleno sicuro.

DUCHESSA: Potete andare.

PRIMO ARMIGERO: Per San Giacomo che bella mano! Vorrei sapere chi è. Forse una dama che lo amava.

DUCHESSA (dopo essersi tolta la maschera): Finalmente! Ora con questo mantello e la maschera potrà fuggire. Abbiamo quasi la stessa statura. Quanto a me, nulla ha importanza. Purché nell’andare via non mi maledica ancora una volta, il resto non conta. Avrebbe il diritto di maledirmi.

Adesso sono le undici e fino a mezzanotte non saranno qui. Che cosa diranno quando s’accorgeranno della fuga?

(Si avvicina alla tavola.) E questo è veleno. Com’è strano che in poche gocce possa esserci la risoluzione d’ogni preoccupazione.

(Solleva la tazza alle narici.) Ha l’odore del papavero. Ricordo bene quando da bambina in Sicilia coglievo quei fiori scarlatti che crescevano in mezzo al grano. Ne feci una ghirlandetta e don Giovanni di Napoli, il mio austero zio, ne rise. Non sapevo che avessero il potere di disseccare la sorgente della vita, di fermare il battito del polso e rapprendere il sangue nelle vene... poi vengono gli uomini che con un uncino trascinano all’aperto il povero corpo e lo gettano in una fossa; già, il corpo... E l’anima? Quella va in Paradiso o all’Inferno. Dove andrà la mia? (Stacca la torcia dalla parete e si avvicina al letto.)

Come dorme tranquillo! Sembra un fanciullo che si sia stancato di giocare: vorrei poter dormire anch’io così... ma è un sogno. (Si china su lui.) Povero ragazzo! E se lo baciassi? No, le mie labbra lo brucerebbero come fuoco. Ne ha avuto abbastanza dell’Amore! Pure quel candido collo deve sfuggire al boia; ho predisposto tutto: uscirà di qui e da Padova stanotte stessa; e sta bene. Voi siete molto saggi, signori giudici, ma meno di me. E anche questo è un bene. (Guarda ancora Guido dormente.)

Signore Iddio! Quanto t’ho amato e quale fiore di sangue è sbocciato dal nostro amore!

(Ritorna alla tavola.) E se bevessi questi succhi ponendo così fine a ogni cosa? Forse meglio questo che aspettare la Morte e vederla accostarsi al mio letto coi suoi servi, i rimorsi, le malattie, la vecchiaia... la disperazione? Vorrei sapere se si soffre molto; forse sono troppo giovane per morire in questo modo, ma non può essere altrimenti... Perché, perché dovrei morire? Questa notte Guido fuggirà e il suo sangue non ricadrà sul mio capo.

No, devo morire. Ho peccato e devo morire. Lui non mi ama e devo morire. Morrei più felice se mi baciasse ancora, ma non lo farà. Non lo conoscevo. Credevo che volesse accusarmi davanti ai giudici, tradirmi. È strano: noi donne impariamo a conoscere i nostri amanti solo quando stanno per lasciarci.

(Una campana comincia a battere funebre rintocchi.)

Miserabile campana che chiedi come un mastino dalla bronzea gola la vita di quest’uomo! Taci! Non l’avrai! Si muove: devo far presto. (Solleva la coppa.) O Amore, Amore, Amore! Non credevo che avrei brindato al tuo nome così!

(Beve il veleno e rimette la tazza sul tavolo dietro di sé. Il rumore sveglia Guido, che ha un sussulto, ma non vede ciò che la Duchessa ha fatto. Un minuto di silenzio mentre i due si guardano.)

Non vengo a chiederti perdono adesso. So d’esser indegna di ogni perdono, colpevole e malvagia oltre ogni immaginazione; parole vane; ho già confessato il mio peccato ai giudici, signore, ma non han voluto prestarmi ascolto. Alcuni hanno detto che avevo inventato una storia per salvarti la vita, poiché tu eri il mio amante; altri che le donne giocano con la pietà come con gli uomini; altri ancora che il dolore per la morte del mio Signore e marito m’aveva fatto impazzire dopo la sua uccisione. Nessuno ha voluto ascoltarmi e quando ho prestato giuramento sul libro sacro, hanno detto ai dottori di curarmi. Sono dieci. Dieci contro me sola, e hanno in mano la tua vita. Qui a Padova mi chiamano Duchessa. Non so cosa dire, Signore. Se sono la Duchessa, è anche vero che ho firmato la tua grazia. Ma non ne hanno voluto sapere, hanno detto che era un tradimento... Di’ pure che lo hanno appreso da me, e forse è vero. Tra un’ora, Guido, verranno qui e ti trascineranno fuori da questa cella, ti legheranno le mani dietro la schiena e ti ordineranno di inginocchiarti e posare la testa sul ceppo. Ma io li ho preceduti; ecco l’anello col sigilli di Padova; con questo potrai passare sano e salvo attraverso gli uomini di guardia alla prigione. Il mio mantello e la maschera che indosserai sono lì; hanno ordine di non essere curiosi. Passato il cancello, volta a sinistra: al secondo ponte troverai i cavalli che ti aspettano; entro domani sarai a Venezia, salvo.

(Un silenzio.)

Non parli? Non vuoi nemmeno maledirmi prima di uscire? Ne hai il diritto.

(Un silenzio.)

Sembra che tu non capisca. Tra te e la scure del boia c’è nella clessidra tanta sabbia quanta forse potrebbe restare nel pugno d’un bambino. Prendi l’anello. Mi sono lavata le mani, non son più sporche di sangue, non temere. Perché non vuoi prendere l’anello?

GUIDO (prendendo l’anello e baciandolo): Lo prendo, mia Signora!

DUCHESSA: Lascerai Padova?

GUIDO: La lascerò.

DUCHESSA: Devi farlo stanotte.

GUIDO: Sì, stanotte.

DUCHESSA: Oh, sia grazia al Cielo!

GUIDO: Potrò ancora vivere: mai la vita m’è parsa tanto dolce!

DUCHESSA: Non perder tempo. Ecco il mantello. Il cavallo è al ponte, il secondo dopo il traghetto. Perché indugi? [Rintocco di campana.] Non senti l’orrenda campana che a ogni rintocco ruba un breve minuto alla tua giovane vita? Non perdere tempo.

GUIDO: Sì, verrà sempre in tempo.

DUCHESSA: Chi?

GUIDO (con calma): Il boia.

DUCHESSA: No, no!

GUIDO: Solo lui può farmi uscire da Padova.

DUCHESSA: Non dirlo! Non dire che vuoi schiacciare l’anima mia sotto il peso di due morti! Mi sembra che una basti. Quando mi troverò faccia a faccia con Dio, non voglio che tu appaia con un filo scarlatto sulla tua gola bianca e dica che sono stata io a ucciderti. Ascoltami, persino i dèmoni che ululano nel fondo dell’inferno avrebbero pietà di me; non esser più crudele di loro, a cui è vietata la vista di Dio.

GUIDO: Aspetterò qui, mia Signora.

DUCHESSA: No, no, non puoi. Non capisci che questa notte ho meno potere d’una donna qualsiasi? Ti uccideranno. Attraversando la piazza ho veduto il patibolo; il popolaccio fa già ressa là presso e s’abbandona a ogni scherzo triviale, a ogni lazzo disgustoso, come davanti al palco dei saltimbanchi anziché al trono luttuoso della Morte. Guido, Guido, devi fuggire!

GUIDO: Sì, ma grazie alla mano della Morte, non alla tua.

DUCHESSA: Sei senza pietà. Ora come sempre. No, no, devi uscire di qui!

GUIDO: Qui rimango, Signora.

DUCHESSA: Ti dico di no! Sarebbe una cosa talmente spaventosa che le stelle atterrite cadrebbero dal cielo e la luna allibita verrebbe coperta da un’eclissi e il grande sole si rifiuterebbe di rifulgere sulla terra ingiusta che avesse veduto la tua morte.

GUIDO: Puoi esser certa che non mi muoverò di qui.

DUCHESSA: Non capisci? Una volta che siano qui i giudici, io non avrò alcun potere per evitarti la scure. Non puoi aspettare. Ho peccato ancor poco per te? Non basta la mia colpa, vuoi che da essa ne derivi un’altra, anche più orrenda di quella che l’ha causata. Oh, Dio, Dio! Suggella la matrice pullulante del peccato e rendila sterile! Non voglio vedere sulla mano altro sangue oltre quello che v’è ora.

GUIDO (afferrandole la mano): Son dunque caduto tanto in basso che non m’è più consentito di morire per te?

DUCHESSA (liberandosi): Morire per me? No, la mia vita è vile, una vita macchiata di tutto il fango del mondo. Non devi morire per me, non lo devi! Sono una gran peccatrice!

GUIDO: Peccatrice? Lascia che coloro che ignorano ogni tentazione, coloro i quali non han camminato come noi nel fuoco scarlatto della passione, coloro che hanno una vita vuota e neutra, lascia che coloro che non hanno mai amato scaglino pietre contro di te. Io invece...

DUCHESSA: O Dio!

GUIDO (gettandosi ai suoi piedi): Tu sei la mia padrona e il mio amore! O capelli d’oro, o labbra di corallo, o volto fatto per incantare e innamorare ogni uomo! Immagine incarnata della pura bellezza! Adorando te, dimentico il passato; adoranto te, la mia anima s’unisce alla tua; adorando te mi sento simile a un dio. Anche se consegneranno il mio corpo al boia, il mio amore vivrà in eterno.

(La Duchessa si copre il viso con le mani, Guido le scosta.)

Amor mio dolce, solleva i veli frangiati che nascondono i tuoi occhi, lascia che li veda, quegli occhi, e possa dirti che t’amo, che non t’ho mai amato come in questo momento in cui la morte frappone tra noi le sue gelide labbra. Ti amo, Beatrice; non devi dirmi altro? Oh, io posso sopportare le torture del boia, ma non questo silenzio. Non vuoi dirmi che mi ami? Pronuncia quella parola e la Morte sarà dolce per me; non pronunciarla, e cinquantamila morti saranno al paragone pietà. Oh, tu sei crudele e non mi ami!

DUCHESSA: Purtroppo non ne ho più il diritto perché ho insozzato di sangue le mani innocenti dell’amore; tutto quel sangue in terra l’ho sparso io.

GUIDO: Non fosti tu, amor mio. Un dèmone ti ha tentata.

DUCHESSA (con improvvisa violenza): No, no. Ciascuno di noi è il dèmone di se stesso. Siamo noi a fare di questo mondo un inferno.

GUIDO: E allora lascia che l’alto Paradiso sprofondi nel Tartaro! Perché io farò di questo mondo il mio breve Paradiso. Io ti amo, Beatrice.

DUCHESSA: Non sono degna del tuo amore: ho peccato.

GUIDO: Per Cristo Signore, no! Se v’è stato peccato, il peccato è stato solo mio. Io ho covato il delitto nel cuore, ne ho condito i miei pasti, ne ho drogato il mio vino. Ho ucciso nella fantasia il maledetto Duca cento volte al giorno. Oh, fosse morto una sola metà delle volte che lo desiderai, la morte si sarebbe annoiata a frequentar questa casa e la colpa avrebbe perduto il sonno. Ma tu, cuore generoso, i cui dolci occhi s’intenerivano alla vista d’un cane frustato, tu, che bastava farti vedere dai bimbi per far fiorire i loro sorrisi tanto sole portavi con te in ogni gesto, tu che sei l’angelico candore della purezza di Dio... oh, questo che gli uomini possono pur chiamare il tuo peccato, che cosa fu mai?

DUCHESSA: Sì, che cosa? A volte la vita mi sembra un sogno, un sogno malvagio mandato da un dio crudele; poi vedo quel viso esangue nella bara e mi persuado che non è un sogno, che la mia mano è rossa di sangue e che l’animo mio disperato nel tentativo di trovar un porto per il suo amore, al riparo dalla furiosa procella di questo mondo fatto di tormenti, ha portato la sua navicella a spezzarsi contro gli scogli del peccato. Che cosa fu, hai chiesto. Solo un delitto? Sì, niente altro che delitto, un orrendo delitto.

GUIDO: No, no, no! Fu soltanto il fiore nato dalla passione del tuo amore, che in un attimo sbocciò a terribile vita, e in un attimo produsse questo fiore di sangue, che già io avevo colto nel pensiero mille e mille volte. La mia anima era assassina, ma la mia mano si ribellava; la tua mano compì il delitto, ma la tua anima rimase pura. Ecco perché ti amo, Beatrice, colui che non ha pietà di qualcuno come te perseguitata dal destino, non trovi pietà in cielo. Baciami, amore... (Cerca di baciarla.)

DUCHESSA: No, no, le tue labbra sono pure e le mie sono immonde, poiché il Delitto ha giaciuto con me e il Peccato ha profanato il mio letto. Guido, se mi vuoi bene, fuggi di qui. Ogni minuto è un verme che corrode la tua vita; amore, fuggi di qui e se in futuro penserai a me, ricordami come la donna che t’ha amato più d’ogni altra cosa sulla terra; ricordami, Guido, solo come una donna che ha voluto offrir la vita in sacrificio all’amore e che nella prova uccise l’amore. Oh, che accade? La campana ha smesso di suonare. Odo passi di gente armata sulle scale.

GUIDO (a parte): È il segnale per le guardie; ora verranno.

DUCHESSA: No, non è troppo tardi; devi fuggire, il cavallo è presso il ponte, c’è ancora tempo. Via, via, non restare qui!

(Rumori di armigeri che s’avvicinano. Attraverso l’inferriata si vede passare il gran Cancelliere preceduto da guardie con torce.)

UNA VOCE DA FUORI: Largo al Gran Cancelliere di Padova!

DUCHESSA: È troppo tardi.

UNA VOCE DA FUORI: Fate largo al Boia!

DUCHESSA (cadendo a sedere): Oh!

(Attraverso l’inferriata si vede passare il Boia con la scure in spalla. È seguito da monaci che recano ceri accesi.)

GUIDO: Addio, amore. Devo bere questo veleno: non che tema il boia, ma non voglio morire da solo, sul patibolo.

DUCHESSA: Oh!

GUIDO: Voglio morire qui tra le tue braccia baciandoti la bocca. Addio! (Solleva la coppa.) Come? è vuota! (La getta a terra.) Cialtrone d’un carceriere, avaro persino di veleno!

DUCHESSA (debolmente): Non dare a lui la colpa.

GUIDO: Dio! L’hai bevuto tu? Dimmi che non è vero!

DUCHESSA: Quand’anche lo negassi parlerebbe diverso linguaggio il fuoco che sta divorandomi il cuore.

GUIDO: Perfido amore, perché non ne hai lasciata una goccia anche per me?

DUCHESSA: Conteneva morte per uno solo!

GUIDO: Sulle tue labbra c’è forse un po’ di veleno che possa dare anche a me la morte?

DUCHESSA: Perché dovresti morire? Tu non hai sparso sangue, non è giusto che muoia; io l’ho fatto e devo quindi morire. Non dicono forse che il sangue si paga col sangue? Chi lo ha detto? Non ricordo.

GUIDO: Aspettami e le nostre anime lasceranno la terra insieme.

DUCHESSA: No, tu devi vivere. Esistono tante altre donne sulla terra che ti ameranno e non uccideranno per amor tuo.

GUIDO: Io amo te sola.

DUCHESSA: Perciò non è necessario che tu muoia.

GUIDO: Se moriamo insieme, non potremmo riposare insieme nella medesima tomba?

DUCHESSA: È un letto nuziale assai stretto una tomba.

GUIDO: Sufficiente per noi.

DUCHESSA: Lo copriranno con un ruvido lenzuolo funebre, vi semineranno erbe amare; non vi saranno rose nella tomba o saranno tutte avvizzite da quando v’è sceso il mio Signore.

GUIDO: Beatrice, le tue labbra sono rose che la morte non riuscirà a far sfiorire.

DUCHESSA: Ma se saremo nella stessa tomba, non andranno egualmente in polvere le mie labbra? I tuoi occhi innamorati non si disseccheranno egualmente entro le orbite sino alla cecità; e i vermi che saranno testimoni delle nostre nozze non rosicchieranno forse il tuo cuore?

GUIDO: Non importa. La Morte non ha potere sull’amore e quindi morrò con te per l’immortale sovranità dell’Amore!

DUCHESSA: Ma la tomba è buia, la fossa è buia, e quindi io debbo precederti e accendere lumi per la tua venuta. No, non voglio morire, non voglio morire! Amore, tu sei forte e giovane e valoroso più di ogni altro, sbarra il passo all’angelo della morte, combatti con lui per me.

(Sospinge davanti a sé Guido, che volge le spalle al pubblico.)

Ti bacerò quando l’avrai abbattuto. Perché non hai un filtro che possa fermare l’opera del veleno? Non ci son dunque fiumi in Italia dove tu possa prendere una tazza d’acqua per spegnere questo fuoco?

GUIDO: O Dio!

DUCHESSA: Non mi hai mai detto che in Italia c’è la siccità, che non c’è più acqua, ma solo fuoco!

GUIDO: O Amore!

DUCHESSA: Manda a chiamare un chirurgo, non quei che mise tamponi sulle ferite di mio marito, ma un altro... non c’è da perder tempo. Manda a chiamare un cerusico: ogni veleno ha il suo antidoto e lui per denaro ce lo venderà. Digli che per un’ora di vita gli darò tutta Padova... non voglio morire! Oh, sono straziata a morte... no, non toccarmi, il veleno mi mangia il cuore. Non sapevo che si soffrisse tanto per morire; credevo che la vita avesse assunto su sé ogni sofferenza, non è così!

GUIDO: Stelle maledette, spegnete le vostre luci in lagrime e dite alla luna, vostra sovrana, di non splendere più questa notte.

DUCHESSA: Guido, perché siamo qui? È misera questa stanza per un talamo nuziale. Usciamo subito: dove sono i cavalli? Dovremmo essere sulla via di Venezia, a quest’ora. Com’è fredda la notte! Dobbiamo spronare i cavalli. Queste sono le nostre campane nuziali, non è vero Guido?

(All’esterno i monaci han cominciato a salmodiare.)

Musica... dovrebbe esser più gaia, ma oggi il dolore è di moda... chi sa mai perché. Non devi piangere: non è forse vero che ci amiamo? Questo ci basti. Morte, cosa fai qui? Non sei stata invitata a questo tavolo, signora mia! Via! Non abbiamo bisogno di te. Ho brindato a te con una coppa di vino, non di veleno. Quelli che t’han detto che avevo bevuto il tuo veleno, hanno detto una bugia. È stato sparso in terra il veleno... come il sangue del mio Signore: sei venuta troppo tardi.

GUIDO: Lì non c’è nulla, amore. Son tutte ombre. Ombre e non altro.

DUCHESSA: Morte, perché ti fermi qui? Va di sopra. Le fredde pietanze del festino funebre di mio marito sono state preparate per te; questa è una festa di nozze. Non dovete star qui, signora. E per di più è estate; non ci occorrono questi fuochi... ci state bruciando... Guido, di’ al becchino che non scavi più quella buca. Io non mi voglio coricare lì. Questo fuoco mi brucia e mi devasta. Puoi farci niente, tu? Acqua, dammi dell’acqua. Oppure un’altra coppa di veleno.

No, adesso non sento più dolore. Non è strano? E la Morte è andata via. Sono contenta, credevo che ci volesse dividere. Dimmi, Guido, sei contento di avermi conosciuta?

GUIDO: Giuro che non avrei voluto vivere in altro modo. Sì, in questo nostro mondo grigio e tranquillo, molti son morti sospirando momenti come questi, e non li hanno avuti.

DUCHESSA: Dunque sei contento... come mi sembra strano!

GUIDO: Perché? Non ho forse avuto davanti a me la Bellezza? Basta questo a dar senso alla vita d’un uomo. Sì, amore, sono contento; sono stato spesso più triste a una festa. Ma chi mai potrebbe esser triste a una festa come questa, con Amore e Morte per coppieri? Amiamoci e moriamo insieme.

DUCHESSA: Sono stata la più colpevole delle donne, ma anche colei che è stata punita più d’ogni altra donna. Credi che... no, non è possibile... credi che l’amore possa cancellare il sangue che mi macchia? versare balsamo nelle mie ferite? chiudere le mie piaghe e rendere i miei fiammeggianti peccati candidi come neve? Perché io ho peccato.

GUIDO: Non pecca chi pecca per amore.

DUCHESSA: Ho peccato, ma forse la mia colpa troverà perdono. Ho molto amato.

Si baciano ora per la prima volta in questo atto; all’improvviso, presa dallo spasimo orrendo della morte, la Duchessa si erge in piedi, si strappa di dosso ogni veste con frenesia e poi, con il volto contorto e sformato dal dolore, cade riversa su una panca e muore.

Guido afferra il pugnale che le pende dalla cintola e si uccide; cadendo tra le ginocchia di lei si aggrappa al mantello gettato sullo scranno.

Una pausa. Passi degli armigeri nel corridoio; s’apre la porta ed entrano il Gran Cancelliere, il Boia e gli armigeri. Vedono una figura semiavvolta nel mantello nero e Guido riverso su di lei, morto. Il Gran Cancelliere con uno scatto solleva il mantello scoprendo il cadavere della Duchessa, il cui viso è ora l’immagine marmorea della pace, segno del perdono di Dio.

 

Fine

 

 

Questo ebook appartiene a lidia barone - 1124737 Edito da Newton Compton Editori Acquistato il 01/08/2011 13.50.20 con numero d'ordine 63790
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