Il cardinale di Avignone
Scenario per un dramma
1894
Premessa
Questo scenario di opera teatrale occupò spesso la mente di Wilde. Lo riproduciamo in una versione abbastanza sintetica, ma tra tutte la più attendibile perché riscontrata su un manoscritto. L’ha pubblicata, tra gli altri, A.E.W. Mason nel suo ben documentato libro George Alexander and the St. James Theatre (London, S. French, 1935), ma figurava già in Miscellanies of O. Wilde (London, Methuen, 1908).
Più volte l’amico Ross sollecitò Wilde a tentarne una stesura completa, ma dopo la Ballade de la geole de Reading Wilde non si sentiva in grado di scrivere ancora per il teatro: «Qualcosa è morto dentro di me, ho paura di non voler più scrivere nulla... Il mio primo anno in carcere ha distrutto il mio corpo e la mia anima. E non poteva essere diversamente».
L’opera interessò molto Max Reinhardt che avrebbe voluto affidare a Hofmann l’incarico di completarla e più recentemente Luchino Visconti pensò di trarne il soggetto per un film.
LUCIO CHIAVARELLI
Atto primo
Il dramma si apre nel Palazzo del Cardinale di Avignone. Il Cardinale è solo, in preda a una certa agitazione perché ha ricevuto notizia che il Papa è ammalato e sta per morire. «E se eleggessero me Papa?», esclama, esprimendo così la nota dominante della sua smoderata ambizione. Entrano i Principi e i Nobili; e il cardinale, che conosce vizi e dissolutezza di tutti loro, richiede e ottiene promessa dei loro voti assicurando a ciascuno di realizzare i loro progetti e desideri. Escono e il Cardinale dice: «Iddio mi innalzerà fino a tale sommità?», e fa un bel discorso sul papato. Entra un servitore e dice che una signora desidera vedere il Cardinale. Lui rifiuta; ma la signora, una bella giovane, a giudizio del Cardinale, entra. Lo rimprovera per essersi rifiutato di vederla e fra loro ha luogo una bella scenetta affettuosa. Durante la conversazione la fanciulla dice: «Mi avete parlato di molte cose, ma c’è una cosa di cui non mi avete mai raccontato niente: l’Amore». «E tu sai cos’è l’amore?» «Sì, dato che amo». Quindi spiega al Cardinale che si è promessa a un bel giovane arrivato qualche tempo prima presso la corte del cardinale, e a cui il prelato aveva dato un incarico di primaria importanza. Il prelato è molto turbato e le fa promettere di non parlare di questa conversazione al suo amante. Dopo che la sua pupilla se n’è andata, il Cardinale cade in preda alla collera e al dolore. «E così il mio peccato di vent’anni fa mi si è rivoltato contro ed è giunto a derubarmi dell’unica cosa che io amo». Il bel giovane è suo figlio.
Atto secondo
La scena quindi si sposta nei giardini sul retro del palazzo. La pupilla del cardinale e il suo promesso sono assieme. Fra loro si svolge un’appassionata scena d’amore. Il giovanotto, memore di quanto entrambi debbano al Cardinale, chiede alla sua fidanzata se abbia parlato al Cardinale del loro fidanzamento. Lei, memore anch’essa della sua promessa, risponde «no». Lui la invita a farlo al più presto.
A questo punto entra un corteo e, all’improvviso, compare una Maschera della Morte. Questo allarma la fanciulla che vi vede un presagio dell’approssimarsi di qualche calamità. Il suo amante la schernisce per quell’idea, dicendo: «Che c’entriamo noi due, col nostro giovane amore, con la Morte? La morte non è per gente come noi». Il corteo termina e i due amanti si allontanano. La fanciulla, andandosene, fa cadere il suo guanto. Il Cardinale esce dal palazzo, raccoglie il guanto e allo stesso tempo vede il giovane. È furioso. «Dunque si sono incontrati». Egli è determinato a non perdere l’unica cosa che ama e così durante la conversazione con il giovane, che desidera sapere chi sia suo padre, gli racconta che anni prima, un potente principe, in punto di morte, affidò alla cura del Cardinale due bambini. «E io sono uno di questi bambini?» «Sì.» «Allora ho un fratello.» «No; una sorella.» «Una sorella? E dov’è? Perché non la conosco?» «La conosci. È la fanciulla con cui ti sei fidanzato!» Il giovane è colto da orrore e angoscia. Il Cardinale, senza tuttavia far riferimento alcuno alla sua relazione, lo spinge a estirpare dal suo cuore questo amore impossibile. La fanciulla quindi rientra e il Cardinale le spiega che il suo innamorato ha fatto un grave errore e che non l’ama abbastanza da sposarla. Questa parte del dramma va in crescendo con una efficace scena tra i due amanti, con il giovane che mantiene con fermezza la promessa estortagli dal Cardinale.
Atto terzo
Quindi l’azione ritorna all’interno del palazzo, come all’apertura del dramma. Il Cardinale è solo e si sta già pentendo della sua azione del giorno prima. È infelice. Dentro di lui c’è una lotta fra la sua ambizione e il suo amore. È disperatamente innamorato della sua pupilla; e al contempo teme che con una tale colpa sulla coscienza, Dio non lo innalzi al soglio pontificio. Si odono squilli di tromba. Entrano i Nobili e i Principi. Il Papa è morto e il Cardinale è stato eletto Papa al suo posto. Adesso il Papa è lui. I Nobili e gli altri, dopo avergli fatto omaggio, escono. Il Cardinale è raggiante. «Io, che fin’ora ero nel fango, sono adesso innalzato così in alto, il vicario in terra di Cristo!» e così via. Un bel discorso. Ora è la sua ambizione che ha la meglio. Manda a cercare il giovane. «Ciò che ti ho detto ieri, serviva solo a metterti alla prova. Tu e la tua fidanzata non siete parenti. Vai, trovala, e sposala questa notte, prima che io parta per Roma». In quell’istante i grandi portoni in fondo al salone vengono spalancati e entrano dei frati che recano una bara coperta da un drappo funebre; la portano fino al centro della sala, dove la depongono e quindi escono senza dire una parola. Entrambi gli uomini comprendono d’istinto chi c’è dentro la bara. La fanciulla, nella disperazione per la perdita del suo amore, si è uccisa. Il cardinale apre la porta e dice ai soldati fuori: «Non entrate, qualunque cosa possiate sentire, fino a che non sarò uscito di nuovo». Quindi rientra nella stanza e mette un pesante catenaccio alla porta. Il giovane dice: «Ora ti ucciderò». Il Papa risponde: «Io non mi difenderò, mi limiterò a pregarti». Quindi insiste con il giovane circa la santità dell’ufficio papale ecc. ecc. e descrive l’orribile sacrilegio di un tale omicidio. «No, non puoi uccidere il Papa.» «Un tale crimine non ha alcun orrore per me: ti ucciderò». Il Papa allora gli rivela di essere suo padre e gli pone di fronte la nefandezza del crimine del parricidio. «Non puoi uccidere tuo padre!» «Non c’è niente in me che possa dare ascolto alla tua supplica. Non ho sentimenti filiali: ti ucciderò». Allora il Papa va verso la bara e tirando via il drappo dice: «L’amavo anch’io». A questo punto il giovane fa un balzo indietro, spalanca le porte e dice ai soldati: «Sua Santità partirà questa notte alla volta di Roma». Il Papa è là, fermo, e benedice il cadavere; di fronte a ciò il giovane si lancia sulla bara, interponendosi di fronte al Papa e si uccide con un coltello. Entrano i soldati, i Nobili eccetera. Il Papa è sempre lì, fermo, a benedire.