ATTO TERZO
Un ampio vestibolo del Palazzo Ducale: al centro verso sinistra una finestra da cui è visibile la città di Padova sotto la luna. Verso destra una breve scala conduce a una piccola porta sormontata da una portiera in velluto cremisi e con un ricamo raffigurante lo stemma del Duca fatto con fili dorati. Sul gradino più basso della scala è seduta una figura misteriosa, tutta avvolta in un mantello nero. Il vestibolo è illuminato da una lampada in ferro piena di stoppa accesa. È notte: lampeggia e tuona.
Dalla finestra entra Guido.
GUIDO: S’è alzato il vento. La scala tremava! Mi pareva che a ogni folata le corde dovessero spezzarsi! (Guarda la città.) Cristo! Che notte! Nel cielo lampi e tuoni gettati sulla città da un tetto all’altro, in modo che le case immerse nel buio sembrano rabbrividire e tremare a ogni nuovo fulmine, appena esso s’abbatte sulle strade.
(Attraversa il palcoscenico e s’avvia verso la scala.)
Ah! Chi sei tu, seduto sulla scala, come la Morte in attesa d’un’anima dannata? (Un silenzio.) Non sai parlare? Oppure l’uragano ti ha paralizzato la lingua raggelando ogni tua parola? Lèvati dalla mia strada, devo sbrigare da solo il mio compito, dietro di te.
(La figura si alza e si toglie la maschera. [È Moranzone.])
MORANZONE: Guido Ferrante, tuo padre assassinato ride di gioia questa notte.
GUIDO (sorpreso): Ma come? Siete qui?
MORANZONE: Sì. T’aspettavo.
GUIDO (distogliendo lo sguardo da lui): Non credevo che vi avrei incontrato, ma son lieto che possiate sapere quel che ho la ferma intenzione di compiere.
MORANZONE: Voglio innanzi tutto che tu conosca il mio piano studiato punto per punto. Ascoltami: alla porta che dà sulla strada di Parma son pronti due cavalli. Appena avrai compiuto quel che devi fare, ci metteremo in sella e domani sera Parma ci vedrà arrivare, se le nostre ottime cavalcature resisteranno alla fatica. A Parma ho messo al corrente di tutto molti vecchi amici del tuo nobile genitore; essi hanno preparato il popolo alla rivolta. Col denaro e con altre promesse, che non è indispensabile mantenere, sono stati corrotti molti alleati del Duca usurpatore. E i soldati, morto il Duca, non manterranno di certo il loro giuramento di fedeltà. Così tu tornerai nel palazzo paterno, quale legittimo signore di Parma.
GUIDO: Non può essere.
MORANZONE: Deve essere.
GUIDO: Ascoltate, conte Moranzone. Io ho preso la decisione di non uccidere quell’uomo.
MORANZONE: Mi tradiscono forse le mie orecchie? Ripeti quanto hai detto; posso pensare solamente che l’età abbia reso lenti e ottusi i miei sensi, sono vecchio ormai... Che cosa hai detto? Hai detto che vendicherai la sanguinosa uccisione di tuo padre col pugnale che porti infilato alla cintola... non è così?
GUIDO: No, mio signore. Ho detto che ho preso la decisione di non uccidere il Duca.
MORANZONE: Non hai detto questo! Sono i sensi che m’ingannano! O l’aria della notte, foriera di tempeste, ha mutato il significato delle tue parole.
GUIDO: No, avete udito con esattezza. Non ucciderò quell’uomo.
MORANZONE: Traditore, e il tuo giuramento?
GUIDO: Sono deciso a mantenerlo.
MORANZONE: E l’assassinio di tuo padre?
GUIDO: E credete che mio padre sarebbe lieto di vedermi arrivare da lui col sangue di questo vecchio ancora caldo sulle mani?
MORANZONE: Sì, riderebbe di gioia!
GUIDO: Non lo credo. Lassù le cose si vedono con occhi diversi e migliori. La vendetta appartiene a Dio e Iddio la compia.
MORANZONE: Tu sei il ministro della vendetta di Dio.
GUIDO: No, ministro di Dio è la sua stessa mano! Non ucciderò quell’uomo.
MORANZONE: E allora perché sei qui, se non per ucciderlo?
GUIDO: Il mio proposito, conte Moranzone, è di penetrare nella sua camera mentre dorme e posargli sul petto il pugnale e questo scritto. Al risveglio il Duca saprà chi poteva averlo in sua mano e non l’uccise. È questa la vendetta più nobile che possa compiere.
MORANZONE: Non vuoi ammazzarlo?
GUIDO: No.
MORANZONE: Figlio senza onore d’un padre onorato, puoi tollerare di lasciar in vita, anche solo per un’ora, l’uomo che ha venduto tuo padre?
GUIDO: Siete stato voi a frapporvi tra noi due. Io l’avrei ucciso sulla pubblica via lo stesso giorno in cui lo vidi.
MORANZONE: Non era il momento giusto. Ora quel momento è venuto e tu mi parli di perdono, come una fanciulletta senza sangue nelle vene!
GUIDO: No, parlo di vendetta, della giusta vendetta che posso compiere.
MORANZONE: Oh, padre sventurato, tradito di nuovo, e per di più dal tuo stesso figlio! Sei un vile! Sguaina il pugnale, entra nella camera del Duca e portami qui il suo cuore infilato nella lama. Solo quando il Duca sarà morto, avrai il diritto di parlare d’una giusta vendetta.
GUIDO: Per il tuo onore e per quello che porti al nome di mio padre, puoi credere che egli, nobile gentiluomo e soldato senza paura e principe cavalleresco, sarebbe penetrato di notte, in una stanza come un volgare ladro e avrebbe pugnalato un vecchio addormentato nel suo letto, qualunque fosse stata l’offesa ricevuta da lui? Rispondimi.
MORANZONE: Tu hai giurato, mantieni il giuramento. (Dopo un attimo d’esitazione:) Credi che non conosca il tuo segreto, la tua tresca con la Duchessa?
GUIDO: Taci, bugiardo! La stessa luna nel cielo non è più casta di lei, né son più pure le limpide stelle.
MORANZONE: Ma tu l’ami, stupido senza coraggio, tu che riesci a vedere nell’amore qualcosa di più d’un giocattolo, sino a farlo padrone della tua vita.
GUIDO: Per te è facile parlare. Nelle tue vene, vecchio, non pulsa più con eguale ardore un sangue che un tempo fu giovane. I tuoi occhi ora cisposi han chiuso le loro porte opache di fronte allo splendore della Bellezza; le tue orecchie sorde e insensibili t’hanno escluso dalla musica del mondo.
Come puoi parlare d’amore tu, che non sai più cos’è!
MORANZONE: Nei miei bei giorni, ragazzo, ho camminato tra le nuvole anch’io; ho giurato che sarei vissuto di baci e di felicità, ho giurato che sarei morto d’amore, ho scritto orribili versi e li ho anche malamente cantati, come ogni vero innamorato. Conosco bene tutta la solfa! Conosco gli addii e le notti di godimento. Anche i migliori di noi, alla fine, hanno un lato animalesco, ma l’amore è una laida passione a cui abbiamo dato un nome sacro.
GUIDO: Comprendo da queste parole che non avete mai amato. L’amore è il sacramento della vita; fa rifulgere la virtù là dove non c’era, purifica gli esseri umani da ogni vile sozzura. È come il fuoco benefico che libera l’oro da ogni scoria, è il vento che separa il grano dalla crusca, è la primavera che dalla terra invernale fa sbocciare rose innocenti.
Questi non sono più i tempi durante i quali Iddio camminava insieme agli esseri umani, ma l’Amore – che è la sua immagine – ha preso il suo posto. Quando un uomo ama una donna, in quell’attimo apprende il segreto di Dio e il segreto del mondo. Non c’è umile, misera casa in cui Amore non possa entrare, se il cuore di chi la abita è puro; ma se l’assassinio sanguinoso bussa alla porta del Palazzo ed è fatto entrare, Amore ne esce di soppiatto, come una creatura ferita, e muore. Questo è il castigo che Dio infligge al peccato: i malvagi non possono amare.
(Dalla camera del Duca arriva un gemito doloroso.)
Ah! Che accade? Avete udito? No, non è niente.
E quindi io penso che la missione d’una donna sia quella di salvare l’anima degli uomini per virtù d’amore. E allora, poiché amo quella donna, la mia Signora, la mia bianca Beatrice, ho potuto capire che era una vendetta più santa e più nobile lasciar in vita quell’uomo anziché compiere nella notte quei gesti fatali, colpirlo a pugnalate nelle tenebre, stringere una gola paralizzata con le mie giovani mani.
Fu per ossequio all’Amore, io penso, che nostro Cristo Signore – lui che era l’Amore fatto carne – ci comandò di perdonare ai nostri nemici.
MORANZONE (beffardamente): Sì, in Palestina! Non certo a Padova. E lo disse per i Santi. Ma noi abbiamo a che fare con gli uomini.
GUIDO: È stato detto per ogni tempo, passato e futuro.
MORANZONE: E come ti ringrazierà la tua bianca Duchessa? Verrà probabilmente a poggiar la guancia accanto alla tua, ti accarezzerà perché hai risparmiato il suo sposo, che seguita a fare un inferno della sua vita?
GUIDO: Non voglio rivederla mai più. Mi sono diviso da lei da dodici ore appena, tanto all’improvviso e tanto violentemente che il suo cuore rimarrà chiuso per me. No, non la rivedrò mai più.
MORANZONE: E che cosa farai?
GUIDO: Questa notte stessa lascerò Padova, appena avrò posato il pugnale lassù.
MORANZONE: E poi?
GUIDO: Poi mi metterò al servizio del Doge di Venezia: lo scongiurerò di mandarmi subito alla guerra in Terra Santa contro gli infedeli. Là gettero la mia povera vita contro qualche lancia disperata, stanco come sono di questo mondo.
(Dalla stanza del Duca s’ode un gemito.)
Non avete sentito una voce?
MORANZONE: Io odo in continuazione dal buio d’un sepolcro una voce che chiede vendetta. Stiamo perdendo tempo, tra poco sarà l’alba. Sei deciso a lasciar in vita il Duca?
GUIDO: Sì, certamente.
MORANZONE: Guido Ferranti, in quella camera lassù c’è l’uomo che vendette la vita di tuo padre e lo consegnò nelle mani assassine del boia. Dorme lassù e tu hai con te il pugnale di tuo padre: perché non l’uccidi?
GUIDO: No. Non lo voglio.
MORANZONE: Padre infelice, resterai invendicato nella tua tomba!
GUIDO: Saresti ancor più infelice se tuo figlio fosse un assassino.
MORANZONE: Dimmi: che cos’è per te la vita?
GUIDO: Non lo so, signore. Io non l’ho data, e non oso toglierla.
MORANZONE: Io non ringrazio spesso Iddio, ma adesso credo di doverlo fare perché mi ha concesso di non avere figli. E tu... quale sangue impuro scorre nelle tue vene? hai il nemico in tua mano e te lo lasci sfuggire? Meglio se t’avessi lasciato dov’eri, con gli ottusi villici che t’hanno allevato!
GUIDO: Sì, forse sarebbe stato meglio. E forse meglio ancora se non fossi mai nato a questo mondo di sventura.
MORANZONE: Addio.
GUIDO: Addio! Giorno verrà, conte Moranzone, in cui comprenderete la mia vendetta.
MORANZONE: Mai, ragazzo. (Esce dalla finestra e si cala dalla scala di corda.)
GUIDO: Padre, credo che tu conosca quel che ho deciso e sia soddisfatto della più nobile vendetta che ho preparato. Padre, io credo che lasciando vivere quell’uomo faccia quel che tu avresti fatto. Padre, non so se la voce d’un uomo ha il potere di varcare la ferrea porta della morte, o se i morti siano invece completamente ignari di quanto facciamo o non facciamo per amor loro. E tuttavia sento una presenza nell’aria, al mio fianco c’è un’ombra e baci spirituali sembrano sfiorarmi le labbra per santificarle. (Si inginocchia.) Padre mio, se sei proprio tu, infrangi i decreti della morte e presentati a me in sostanza corporea, in modo che possa toccarti con mano. No, non c’è nulla! (Si rialza.) A turbarmi coi suoi fantasmi è la notte ingannevole: come un burattinaio che dà parvenza di vita a oggetti inanimati. Si fa tardi. È tempo d’agire.
(Si toglie una lettera dal giustacuore e la legge.)
Quando si sveglierà e vedrà questa lettera e il pugnale che la accompagna, non proverà disgusto della sua vita, forse si pentirà e condurrà vita migliore? O si farà beffe del ragazzo che avrà risparmiato il suo nemico? Non importa: padre, io seguo il tuo comandamento, il tuo e quello del mio sentimento che m’insegna a conoscerti quale sei.
(Sale con cautela la scala. Mentre allunga la mano per scostare la portiera, appare la Duchessa, vestita di bianco. Guido, atterrito, fa un passo indietro.)
DUCHESSA: Guido, che fai qui? A quest’ora di notte?
GUIDO: O candido angelo immacolato della mia vita. Per certo vieni dal Cielo a portarmi il messaggio che la pietà è più nobile della vendetta.
DUCHESSA: Sì, io invoco pietà con tutta l’anima!
GUIDO: Padre, ora son certo d’aver seguito il tuo comandamento, poiché tenendo per mano la pietà, amore m’è venuto incontro come un dio.
DUCHESSA: Anche se mi avevi crudelmente abbandonata, sapevo che saresti ritornato a me. Perché mi hai lasciato? No, no! Questo non ha importanza adesso, perché adesso posso stringerti a me e sentire il tuo cuore battere contro il mio coi brevi palpiti della passione. I nostri cuori sono due uccelli in gabbia che cercano di baciarsi attraverso le sbarre. Ma il tempo passa, tra poco più d’un’ora sarà giorno. Procuriamoci due cavalli: devo partire subito a spron battuto per Venezia. Lì non mi cercheranno.
GUIDO: Ti seguirò in capo al mondo, amore.
DUCHESSA: Sei certo d’amarmi?
GUIDO: È certa l’allodola di amare l’alba che la fa cantare?
DUCHESSA: Nulla potrà farti cambiare mai?
GUIDO: Nulla, mai! L’ago del marinaio non è più costante di me, attratto come sono dalla calamita del tuo cuore.
DUCHESSA: Non esistono più barriere tra di noi.
GUIDO: No, amore, e non vi saranno mai più.
DUCHESSA: Ho fatto quel che dovevo fare.
GUIDO: Aspettami qui.
DUCHESSA: No, non andare via, non lasciarmi come l’altra volta.
GUIDO: Tornerò tra un momento. Devo andare nella stanza del Duca e lasciarvi questa lettera e questo pugnale, in modo che quando si sveglierà...
DUCHESSA: Quando si sveglierà, chi?
GUIDO: Come: chi? Il Duca.
DUCHESSA: Non si sveglierà più.
GUIDO: Che significa? È morto?
DUCA: Sì, morto.
GUIDO: O Signore, come sono mirabili le tue vie segrete! Chi avrebbe detto che proprio stanotte, mentre rimettevo nelle tue mani la vendetta che appartiene a te, tu, o Signore, lo avresti toccato ingiungendogli di presentarsi davanti al tuo trono di giustizia?
DUCHESSA: L’ho ucciso pochi minuti fa.
GUIDO (con orrore): Oh!
DUCHESSA: Dormiva. Avvicinati a me, caro, e così potrò dirti tutto. Baciami sulla bocca e te lo dirò. Non vuoi? Lo farai quando t’avrò detto come ho ucciso il Duca. Appena mi hai lasciato con quelle amare parole, ho capito che la mia vita era incompleta senza il tuo amore e ho deciso di uccidermi questa stessa notte. Mi son destata un’ora fa e ho tratto il pugnale da sotto il cuscino dove lo avevo nascosto per togliermi la vita. L’ho estratto dal fodero, ne ho provato la punta e ho pensato a te e a quanto t’amavo, Guido. Mi sono voltata di fianco per gettarmi contro quella lama, quando il mio sguardo è caduto sul vecchio addormentato, pieno di anni e di peccati; giaceva presso di me e biascicava nel sonno parole oscene. Appena ho posato gli occhi sul suo volto malvagio, m’è balenato in mente un pensiero: eccola, la barriera di cui hai parlato, la barriera che dicevi essere tra noi due. Chi poteva essere se non lui? Non so dire che cosa accadde poi: una nebbia fumosa e sanguigna si alzò tra di noi.
GUIDO: È orribile!
DUCHESSA: Lo avresti detto vedendo quella nebbia. Poi l’aria piovve sangue, egli dette un gemito e subito si tacque. Udii soltanto il sangue che gocciolava sul pavimento.
GUIDO: Basta, basta.
DUCHESSA: Non vuoi baciarmi adesso? Non lo ricordi? Hai detto che l’amore delle donne trasforma gli uomini in angeli. È vero, e così l’amore degli uomini muta le donne in martiri. Per amor dell’amore noi siamo capaci di fare, anche soffrendo, qualsiasi cosa.
GUIDO: Dio, Dio!
DUCHESSA: Non vuoi parlare?
GUIDO: Non posso.
DUCHESSA: Ecco il coltello col quale ho ucciso il Duca. Non avrei mai creduto che avrebbe sparso tanto sangue. Dopo potrò lavarmi le mani... posso lavarmi le mani con l’acqua... ma l’anima? Non parlarmi di questo! Andiamo via, via di qui. Non c’è più la barriera che s’alzava tra di noi. Che cosa volevi ancora? Vieni, il giorno è vicino. (Posa una mano su quella di Guido.)
GUIDO (scostandosi): O santa dannata, angelo uscito dall’Inferno! Quale demone sanguinoso ti ha indotta a questo? Che tu abbia ucciso tuo marito è nulla perché l’Inferno era già spalancato per accoglier l’anima sua! Ma tu hai ucciso l’Amore e l’hai sostituito con un mostro orrendo sozzo di sangue, il cui solo fiato genera morte e pestilenza, e strangola l’Amore.
DUCHESSA (con meraviglia e stupefazione): L’ho fatto soltanto per te. Non volevo che fossi tu a farlo, quand’anche tu l’avessi voluto. Volevo restassi senza macchia, senza colpa, limpido, integro, incontaminato. Voi uomini non sapete quel che è capace di fare una donna per amore. Non ho forse dannato l’anima mia per il tuo amore, qui e nel mondo futuro? Sii generoso con me: l’ho fatto soltanto per salvarti.
GUIDO: No! Non toccarmi, tra noi c’è un rivolo di sangue, oltre il quale non ho il coraggio di guardare. Quando l’hai colpito col pugnale hai trafitto anche Amore. Non potremo rivederci mai più.
DUCHESSA (torcendo le mani): Per te! Per te! Soltanto per te l’ho fatto! O l’hai dimenticato? Hai detto che tra noi c’era una barriera; quella barriera è ora lassù rovesciata, abbattuta, distrutta e non ci potrà separare mai più.
GUIDO: No, ti sei ingannata. La colpa era la barriera e tu l’hai costruita; il delitto costituiva la barriera, e tu l’hai compiuto. La barriera era l’assassinio e ora per mano tua è così alta che ostruisce il cielo e ci nega la vista di Dio.
DUCHESSA: L’ho fatto solamente per te. Non devi lasciarmi adesso: no, Guido, ascoltami. Fa preparare i cavalli, fuggiremo questa notte. Il passato è come un brutto sogno: lo dimenticheremo. Innanzi a noi è il futuro: non godremo dolci giorni d’amore sotto le nostre vigne? Non rideremo? No, non rideremo: ma se piangeremo, piangeremo insieme. Ti servirò come la più umile tra tutte le donne, come una schiava. Sarò tanto buona e tanto dolce: tu non mi conosci.
GUIDO: Sì, ora ti conosco. Vattene dico, sparisci dalla mia vista.
DUCHESSA (camminando su e giù): Dio! Come amo quest’uomo!
GUIDO: Non mi hai mai amato. Se m’avessi amato, Amore avrebbe fermato la tua mano, non t’avrebbe fatto contaminare il suo santuario, dove solo gli innocenti hanno il diritto d’entrare!
DUCHESSA: Queste sono soltanto parole. Parole, parole.
GUIDO: Va via, te ne prego. Come potremmo sedere insieme al desco dell’Amore? Tu hai versato veleno nel vino consacrato, il Crimine vi ha immerso le dita. Piuttosto che sopportare questo, avrei preferito morire mille morti.
DUCHESSA: E poiché l’ho fatto, io muoio mille morti.
GUIDO: Non è la morte che devi temere, ma la vita.
DUCHESSA (gettandosi in ginocchio): E allora, uccidimi! Io ho sparso il sangue d’un uomo questa notte, tu ne spargerai dell’altro e così andremo insieme all’inferno – o forse in paradiso – stringendoci per mano. Sguaina la spada, Guido. Vendi la mia vita alla Morte che mi desidera, e fa presto. Presto, insedia la tua anima nel mio cuore, dove è già l’immagine del mio padrone. Se non vuoi uccidermi con la tua spada, ordinami di gettarmi contro questa lama ancora grondante di sangue, e lo farò.
GUIDO (strappandole il pugnale): Dallo a me, ti dico! Dio, le tue mani son macchiate di sangue! Questo luogo è l’Inferno e io non posso rimanervi.
DUCHESSA: Vuoi sollevarmi da terra prima di andartene, o devo rimanere in ginocchio come una mendicante?
GUIDO: Non voglio più vedere il tuo volto.
DUCHESSA: Quanto sarebbe stato meglio per me se non avessi mai veduto il tuo. Pensa che quell’uomo l’ho ucciso per te. (Guido si ritrae; ella, sempre in ginocchio, gli prende una mano.)
No, Guido, ascoltami ancora un momento. Sino al tuo arrivo a Padova, ho vissuto nell’infelicità, ma senza pensieri delittuosi. Ero sottomessa a un Signore crudele, ubbidivo ai suoi ingiusti comandi. Ero pura, io credo, quanto la fanciulla che ora si ritrarrebbe inorridita alla vista di queste mani... Poi sei arrivato tu; le prime parole buone che ho udito dopo la mia partenza dalla Francia sono uscite dalle tue labbra. Ma questo, lo so, poco o nulla importa. Sei arrivato tu, e nella passione dei tuoi occhi ho letto il linguaggio dell’amore. La mia anima muta fu destata dalla musica di tutte le cose che dicevi, mi sembravi bello come il giovane San Michele negli affreschi di Santa Croce, dove andiamo a pregare.
Adesso mi chiedo se pregherò mai più. Tu eri bello, sul tuo volto fanciullesco sembrava sorgere il mattino. Ti ho amato, ma non ti ho svelato il mio amore. Sei stato tu a chiedermelo, a inginocchiarti ai miei piedi, come ora sono io davanti a te; con dolci parole la cui musica ancora riodo, tu m’hai giurato amore e io ti ho creduto. Penso che molte donne al mondo, sposate a un uomo abietto come il Duca, incatenate a lui come uno schiavo delle galere lo può essere a un lebbroso... sì molte donne ti avrebbero istigato a uccidere quell’uomo. Io non l’ho fatto. Ma so che se mi fossi comportata così, ora non sarei stata così vilipesa e gettata nella polvere.
(Si alza in piedi.) Ma tu m’hai amata fedelmente. (Avvicinandosi timidamente a lui, dopo una pausa:) Forse non mi capisci. Per amor tuo ho compiuto questo delitto il cui orrore adesso raggela il mio trèpido sangue. Soltanto per amor tuo.
(Gli tende le braccia:) Non vuoi parlarmi? Amami, almeno un poco. Nell’infanzia ho tanto sofferto per mancanza d’amore, ogni affetto m’è stato sinora negato.
GUIDO: Non oso guardarti. Vieni a me vestita d’un colore troppo vivo. Va dalle tue ancelle.
DUCHESSA: Come sei virile quando mi parli così! Se tu fossi venuto a me col più nefando peccato sull’anima, anche un delitto compiuto non per amore, ma per denaro, ebbene mi sarei sdraiata accanto a te, avrei vegliato accanto a te la notte intera, per la paura che il Rimorso potesse venire a stillare il suo veleno nelle tue orecchie impedendoti di dormire! Proprio i colpevoli hanno maggior bisogno d’amore perché sono tanto infelici.
GUIDO: Dove è la colpa, là non c’è amore.
DUCHESSA: Non c’è amore? Dio, quanto è diverso l’amore nostro da quello degli uomini! Ci sono molte donne qui in Padova, mogli di contadini o di rozzi artigiani, i cui mariti spendono tutta la paga della settimana in volgari piaceri, in baldorie da taverna e rincasando il sabato a notte fonda, malfermi sulle gambe, trovano la moglie seduta accanto al focolare buio, china a consolare un bimbo che piange di fame, e si mettono a picchiarla perché il figlio ha fame e il fuoco è spento. E tuttavia quelle donne amano i loro mariti! E la mattina seguente, s’alzano con la faccia che reca i segni delle percosse e spazzano la casa e sbrigano le incombenze quotidiane, cercando di sorridere. Sono felici solo se il maschio non le picchia ancora davanti al bambino. Questo è il modo con cui una donna è capace di amare.
(Un silenzio. Guido non accenna a parlare.)
Non dici niente. Sii buono con me mentre ancora conosco l’estate della mia vita. Non puoi respingermi da te! Dove vuoi che vada se tu mi ripudi? Dopo che per amor tuo questa mano ha compiuto un delitto e la mia anima s’è dannata senza speranza di perdono.
GUIDO: Vattene. Quel morto è uno spettro tra noi. Anche il nostro amore erra come uno spettro attorno alla sua tomba desolata, vaga affranto per questo carnaio che è il mondo e piange perché uccidendo il tuo signore tu hai ucciso anche lui. Non capisci?
DUCHESSA: Capisco che anche quando un uomo ama una donna, egli le dà solo una piccola parte della sua vita, mentre le donne, quando amano, danno tutto.
Adesso ho capito questo, Guido.
GUIDO: Vattene, vattene e non tornare se non avrai fatto rivivere l’uomo che hai ucciso.
DUCHESSA: Volesse Iddio che fosse possibile farlo tornar in vita, ridare la vista ai suoi occhi vitrei, restituire alla lingua la parola che è dono della natura, far battere ancora il suo cuore. Ma questo non può essere, quel che è fatto, è stato compiuto per l’eternità, quel che è morto, lo è per sempre. Il fuoco non può scaldarlo, né gelarlo il rigore invernale; qualcosa che era in lui ora è altrove; se adesso lo chiami non ti risponderà; se scherzi, non riderà più e se lo pugnali non sanguinerà.
Magar potessi ridestarlo! O Dio, arretra un poco il tuo sole, cancella questa notte dal libro del tempo e fa che non sia stata; arretra il giro del sole e riportami qual ero un’ora fa! No, nessuno può fermare il tempo o fermare il giro del sole, anche se il Pentimento che invoca diventi rauco per le grida. E tu, amore mio, non hai neanche una parola di pietà per me?
Guido, Guido mio, baciami. Non spingermi a una risoluzione disperata. Le donne impazziscono se vengono trattate così! Non vuoi baciarmi?
GUIDO (mostrando il coltello): Non ti bacerò finché non sarà asciutto il sangue del tuo coltello. E neanche allora.
DUCHESSA: Signore, quanta poca pietà c’è per noi donne in questo mondo contro natura! Gli uomini ci attirano verso un orrido baratro e quando cadiamo ci abbandonano!
GUIDO (fuori di sé): Ritorna dal tuo morto!
DUCHESSA (salendo le scale): Ci andrò. Possa tu trovare una pietà che non hai avuto questa notte.
GUIDO: Possa trovare pietà quando andrò a compiere di notte qualche infame delitto.
DUCHESSA (scendendo due gradini): Delitto, hai detto? Il delitto è avido di sangue. Ognuno d’essi ne chiama un altro. La sua sorella Morte non è mai soddisfatta e va da una stanza all’altra della casa e non vuole lasciarla se non trova compagnia.
Aspetta, o Morte, e ti darò un servo fedele che possa scortarti durante il viaggio! Delitto, smetti di urlare poiché sarai soddisfatto. Prima di domani mattina un uragano si abbatterà su questa casa e sarà così terribile che già la bianca luna si oscura per la paura, mentre un vento insidioso geme attorno a questa dimora e alte stelle roteano come impazzite nella volta celeste, quasi la notte piangesse lagrime di fuoco liquido, indovinando quel che vedrà l’occhio del mattino. Oh, piangi, cielo di disgrazie! Piangi liberamente! Anche se il tuo dolore inondasse i campi come una cateratta facendo della terra un solo amaro lago di lagrime, non sarà mai abbastanza. (Uno scoppio di tuono).
Senti? Gli artiglieri del cielo lanciano colpi su colpi in questa notte. La vendetta vigila e lancia i suoi cani sul mondo. Per quanto ci concerne, colui che attira la folgore sopra di sé si guardi dalla rovina che la fiamma biforcuta porta verso di lui.
(Un lampo, seguito dal tuono.)
GUIDO: Via! Va via!
(La Duchessa esce; mentre solleva la portiera cremisi si volta per guardare Guido ancora un attimo, ma egli resta impassibile. Ancora lampi e tuoni.)
Tutta la vita s’è incenerita davanti a me. S’è uccisa con le sue stesse mani e al suo posto s’è insinuato il delitto dal passo felpato, lasciando tracce di sangue.
Ed è stata lei a compierlo. Eppure mi amava: e per amor mio è stata capace di questo atto tremendo.
Sono stato crudele con lei. Beatrice! Beatrice, ti prego, ritorna da me...
(Comincia a salire la scala quando s’ode il rumore di gente armata che accorre.)
Che succede? Torce accese e passi di gente che accorre. Dio voglia che non l’abbiano presa.
(I rumori aumentano di intensità.)
Beatrice! Possiamo ancora fuggire! Scendi, vieni!
(Si sente la voce della Duchessa, da fuori.)
DUCHESSA: Di qua, di qua! Da questa parte è fuggito l’uomo che ha ucciso il mio signore!
(Un gruppo disordinato di armigeri discende dalla scala. All’inizio non vedono Guido, ma dopo qualche attimo la Duchessa, circondata da alcuni servi con torce, appare sulla sommità della scala e indica Guido agli inseguitori. Egli viene subito immobilizzato. Uno degli armigeri gli strappa il pugnale di mano e lo mostra al Capitano delle guardie.)
Sipario