The Artist’s Dream or San Artysty

 

From the Polish of Madame Helena Modjeska

 

I too have had my dreams: ay, known indeed

The crowded visions of a fiery youth

Which haunt me still.

...

 

Which haunt mMethought that once I lay

Within some garden close, what time the Spring

Breaks like a bird from Winter, and the sky

Is sapphire-vaulted. The pure air was soft,

And the deep grass I lay on soft as air.

The strange and secret life of the young trees

Swelled in the green and tender bark, or burst

To buds of sheathèd emerald; violets

Peered from their nooks of hiding, half afraid

Of their own loveliness; the vermeil rose

Opened its heart, and the bright star-flower

Shone like a star of morning. Butterflies,

In painted liveries of brown and gold,

Took the shy bluebells as their pavilions

And seats of pleasaunce; overhead a bird

Made snow of all the blossoms as it flew

To charm the woods with singing: the whole world

Seemed waking to delight!

And yet – and yet –

My soul was filled with leaden heaviness:

I had no joy in Nature; what to me,

Ambition’s slave, was crimson-stainèd rose

Or the gold-sceptred crocus? The bright bird

Sang out of tune for me, and the sweet flowers

Seemed but a pageant, and an unreal show

That mocked my heart; for, like the fabled snake

That stings itself to anguish, so I lay

Self-tortured, self-tormented.

The day crept

Unheeded on the dial, till the sun

Dropt, purple-sailed, into the gorgeous East,

When, from the fiery heart of that great orb,

Came One whose shape of beauty far outshone

The most bright vision of this common earth.

Girt was she in a robe more white than flame

Or furnace-heated brass; upon her head

She bare a laurel crown, and, like a star

That falls from the high heaven suddenly,

Passed to my side.

Then kneeling low, I cried

«O much-desired! O long-waited for!

Immortal Glory! Great world-conqueror!

Oh, let me not die crownless; once, at least,

Let thine imperial laurels bind my brows,

Ignoble else. Once let the clarion note

And trump of loud ambition sound my name

And for the rest I care not».

Then to me,

In gentle voice, the angel made reply:

«Child, ignorant of the true happiness,

Nor knowing life’s best wisdom, thou wert made

For light and love and laughter, not to waste

Thy youth in shooting arrows at the sun,

Or nurturing that ambition in thy soul

Whose deadly poison will infect thy heart,

Marring all joy and gladness! Tarry here

In the sweet confines of this garden-close

Whose level meads and glades delectable

Invite for pleasure; the wild bird that wakes

These silent dells with sudden melody,

Shall be thy playmate; and each flower that blows

Shall twine itself unbidden in thy hair –

Garland more meet for thee than the dread weight

Of Glory’s laurel wreath».

«Ah! fruitless gifts»,

I cried, unheeding of her prudent word,

«Are all such mortal flowers, whose brief lives

Are bounded by the dawn and setting sun.

The anger of the noon can wound the rose,

And the rain rob the crocus of its gold;

But thine immortal coronal of Fame,

Thy crown of deathless laurel, this alone

Age cannot harm, nor winter’s icy tooth

Pierce to its hurt, nor common things profane».

No answer made the angel, but her face

Dimmed with the mists of pity.

Then methought

That from mine eyes, wherein ambition’s torch

Burned with its latest and most ardent flame,

Flashed forth two level beams of straitened light,

Beneath whose fulgent fires the laurel crown

Twisted and curled, as when the Syrian star

Withers the ripening corn, and one pale leaf

Fell on my brow; and I leapt up and felt

The mighty pulse of Fame, and heard far off

The sound of many nations praising me!

...

 

One fiery-coloured moment of great life!

And then – how barren was the nation’s praise!

How vain the trump of Glory! Bitter thorns

Were in that laurel leaf, whose toothed barbs

Burned and bit deep till fire and red flame

Seemed to feed full upon my brain, and make

The garden a bare desert.

With wild hands

I strove to tear it from my bleeding brow,

But all in vain; and with a dolorous cry

That paled the lingering stars before their time,

I waked at last, and saw the timorous dawn

Peer with grey face into my darkened room,

And would have deemed it a mere idle dream

But for this restless pain that gnaws my heart,

And the red wounds of thorns upon my brow.

 

 

 

Il sogno dell’artista ovvero San Artysty

 

Dal polacco di Madame Helena Modjeska

 

Anch’io ho avuto i miei sogni: sì, invero ho conosciuto

Le affollate visioni di una fiera giovinezza

Che mi perseguitano ancora.

...

 

Che mi perseguitano ancMi parve una volta di giacere

In qualche recinto di giardino, in quel tempo in cui la Primavera

Si stacca come un uccello dall’Inverno, e il firmamento

È una volta di zaffiro. La pura aria era soffice,

E la profonda erba su cui giacevo, soffice come aria.

La strana e segreta vita dei giovani alberi

Si rigonfiava nella verde e tenera corteccia, o prorompeva

In germogli di inguainati smeraldi; viole

Sbirciavano dai loro angoli nascosti, mezzo intimorite

Della loro stessa leggiadria; la rosa vermeil

Apriva il suo cuore, e la vivace stellaria

Brillava come stella del mattino. Farfalle,

In dipinte livree di bruno e oro,

Prendevano le timide campanule come loro padiglioni

E sedi di ricreazione; sopra, un uccello

Faceva neve di tutti i fiori nel suo volo

Per incantare i boschi col canto: tutto il mondo

Sembrava ridestarsi al piacere!

Eppure – eppure –

La mia anima era ricolma di plumbea pesantezza:

Non avevo gioia dalla Natura; cosa per me,

Schiavo d’ambizione, era la rosa macchiata di cremisi

O il croco dall’aureo scettro? Il vivace uccello

Cantava stonato per me, e i dolci fiori

Non sembravano che una parata e uno sfoggio irreale

Che si burlava del mio cuore; poiché, come il fiabesco serpente

Che si angustia mordendosi da solo, così io giacevo

Da me torturato, da me tormentato.

Il giorno strisciò

Non notato sulla meridiana, finché il sole

Cadde, con vele vermiglie, nello sgargiante Oriente,

Quando, dall’infuocato cuore di quella grande sfera,

Venne Una la cui forma di bellezza di gran lunga offuscava

La più luminosa visione di questa comune terra.

Cinta era lei di una veste più candida di fiamma

Od ottone riscaldato da fornace; sul capo

Portava una corona di allori, e, come una stella

Che cade improvvisa dagli alti cieli,

Mi passò accanto.

Allora inchinandomi profondamente io gridai

«O molto desiderata! O a lungo attesa!

Gloria immortale! Grande conquistatrice del mondo!

Oh, non lasciarmi morire senza corona; una volta, almeno,

Lascia che i tuoi lauri imperiali mi cingano le tempie,

Altrimenti ignobili. Una volta lascia che la chiarina sottolinei

E la tromba della sonora ambizione suoni il mio nome

E del resto non mi curo».

Allora a me,

Con voce gentile, l’angelo rispose:

«Figlio, ignorante della vera felicità,

Che non conosci la miglior saggezza della vita, tu fosti fatto

Per luce e amore e riso, non per sprecare

La tua giovinezza scoccando frecce contro il sole,

O nutrendo quella ambizione nel tuo animo

Il cui veleno mortale ti infetterà il cuore,

Sciupando ogni gioia e letizia! Indugia qui

Nei dolci confini di questo recinto di giardino

I cui piatti prati e dilettevoli radure

Invitano al piacere; l’uccello selvatico che desta

Queste valli silenziose con improvvisa melodia,

Sarà il tuo compagno di giochi; e ogni fiore che sboccia

Si intreccerà spontaneamente ai tuoi capelli –

Ghirlanda più adatta a te del temuto peso

Della corona d’alloro della Gloria».

«Ah! infruttuosi doni»,

Gridai, non badando alla sua prudente parola,

«Sono tutti tali fiori mortali, le cui brevi vite

Sono limitate dall’alba e dal tramontante sole.

L’ira del mezzogiorno può ferire la rosa,

E la pioggia derubare il croco del suo oro;

Ma il tuo immortale serto di Fama,

La tua corona di lauro immortale, questa sola

L’età non può sciuparla, né il dente ghiaccio dell’inverno

Trafiggere nuocendole, né le cose ordinarie profanare».

Nessuna risposta diede l’angelo, ma il suo viso

Si velò delle nebbie della pietà.

Allora mi parve

Che dai miei occhi, dove la torcia dell’ambizione

Bruciava con la sua ultima e più ardente fiamma,

Scoccassero due raggi paralleli di luce diritta,

Sotto i cui fuochi fulgidi la corona d’alloro

Si contorse e arricciò come quando la stella siria

Dissecca il grano maturo, e una pallida foglia

Cadde sulla mia fronte; e io balzai su e sentii

Il possente palpito della Fama, e udii lontano

Il suono di molte nazioni che mi lodavano!

...

 

Un solo momento di gran vita, colorato di fiamma!

E poi – come sterile fu la lode della nazione!

Come vana la tromba della Gloria! spine amare

Erano in quella foglia d’alloro, le cui punte dentate

Bruciarono e morsero profonde finché fuoco e rossa fiamma

Sembrarono pascersi nel mio stesso cervello, e fecero

Del giardino un nudo deserto.

Con mani frenetiche

Tentai di strapparmela dalla fronte sanguinante,

Ma invano; e con un grido doloroso

Che fece impallidire le indugianti stelle prima dell’ora,

Infine mi svegliai, e vidi la timida alba

Affacciarsi con volto cilestrino nella mia stanza buia,

E l’avrei creduto un semplice vano sogno

Non fosse stato per questo inquieto dolore che mi divora il cuore,

E le rosse ferite delle spine sulla mia fronte.

Questo ebook appartiene a lidia barone - 1124737 Edito da Newton Compton Editori Acquistato il 01/08/2011 13.50.20 con numero d'ordine 63790
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