Prefazione
Il titolo di questo libro indica il compiersi di un senso, il senso espresso dalla cultura occidentale che, proprio nel momento in cui sembra in procinto di occidentalizzare il mondo, avverte dentro di sé qualcosa che la erode, la corrompe, la consuma, fino a portarla al suo esaurimento, alla sua fine.
Ma che cosa propriamente finisce? Finisce lo sfondo umanistico che ha costituito il tratto specifico della cultura occidentale e, nonostante i progressi della scienza, finisce la fiducia che l’Occidente aveva riposto nel progressivo dominio da parte dell’uomo sugli enti di natura, oggi divenuti, al pari dell’uomo, materiali della tecnica. Ma la tecnica non ha alcun fine da raggiungere né alcuno scopo da realizzare, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela la verità, la tecnica “funziona” secondo quelle procedure che, pur nel loro rigore e nella loro efficacia, si rivelano incapaci di promuovere un orizzonte di senso.
E sulle ceneri della categoria del “senso”, che dell’Occidente è sempre stata l’idea guida, si affacciano le figure del nichilismo, le quali, nel proiettare le loro ombre sulla “terra della sera”, indicano, a ben guardare, la direzione del tramonto. Un tramonto già inscritto nell’alba di quel giorno in cui l’Occidente ha preso a interpretare se stesso come cultura del dominio dell’uomo sulle cose.
Questa pretesa egemonica, che sottende l’intero cammino della filosofia, sia nella sua versione metafisica, sia in quella teologica, e poi tecnico-scientifica, si è realizzata attraverso quel “pensiero calcolante” che, promosso dal principio di ragione, ha ancorato tutte le cose a fondamenti sempre più stabili, che “dessero appunto ragione” alla volontà di potenza in cui l’Occidente da sempre si è espresso.
Con la soppressione di ogni possibile scenario che non corrisponda alla sua pretesa egemonica, l’Occidente ha ridotto lo spazio della libertà molto più di quanto non abbiano potuto fare le sue espressioni sociopolitiche, perché la possibilità di diversi scenari di pensiero e di linguaggio è molto più liberante della “libertà di parola” all’interno dell’unico e solidificato linguaggio.
Nel senso indicato da queste considerazioni, ho scelto come filosofi paradigmatici Heidegger e Jaspers, non solo perché, dopo Nietzsche, sono i migliori testimoni del tramonto, cioè coloro che, ponendosi ai limiti di un’epoca storica, sono andati alla ricerca delle ragioni del suo smarrimento, ma soprattutto perché, deposta ogni pretesa di un presunto sapere assoluto, che può essere tale solo in quanto persegue la volontà di potenza della nostra civiltà, hanno dischiuso itinerari che, nel caso di Jaspers, portano al naufragio della filosofia come “soluzione” con conseguente apertura dello spazio come “ulteriorità di significazione”, mentre, nel caso di Heidegger, promuovono, al di là della ragione ridotta a calcolo, quel salto che porta in “una regione totalmente diversa”, dove ancora è possibile ascoltare quei significati che sono rimasti “in-auditi”, perché sopraffatti dalla pretesa egemonica della nostra cultura.
Il messaggio che scaturisce dalle loro analisi, modificando in maniera sostanziale la natura del “pensiero” che l’Occidente ha ridotto a calcolo, contiene l’indicazione di un possibile futuro, se è vero che il pensiero può produrre un mondo possibile, e che il mondo possibile, prodotto da un pensiero che non sia solo “calcolante”, può essere di tal forza da cambiare i connotati del mondo reale.
Quest’opera è stata scritta nell’arco del decennio che va dal 1974 al 1984, e per la prima volta, grazie alla sollecita attenzione di Carlo Feltrinelli, esce nella sua versione integrale, articolata in tre libri:
Il pensiero aurorale che riproduce, con gli opportuni e necessari aggiornamenti, il volume Linguaggio e civiltà, Mursia, Milano 1977.
Il pensiero occidentale che riproduce Heidegger, Jaspers e il tramonto dell’Occidente, edito da Marietti, Casale Monferrato 1975, e da il Saggiatore, Milano 1996.
Oltre l’Occidente che riproduce gli ultimi capitoli di Linguaggio e civiltà, aggiunti nell’edizione del 1984.
La riproposizione di quest’opera nella sua versione originaria, rivista e opportunamente aggiornata, è sollecitata dagli eventi drammatici del nostro tempo, la cui comprensione non può essere affidata unicamente alla logica della causa e dell’effetto, con cui noi occidentali siamo soliti spiegare le cose, ma richiede un affondo alla radice del modo occidentale di pensare, per farsi almeno un’idea della natura e della qualità della nostra antropologia, che non è, naturalmente, l’unica modalità in cui l’uomo può trovare espressione.
Milano, febbraio 2005
U.G.