83.
La solidificazione della cifra e lo smarrimento della coscienza simbolica
Siccome non c’è cifra che possa raggiungere l’essere, l’essere si rifiuta a qualsiasi cifra che, solidificandosi, pretendesse di porsi come assoluta. In questo senso l’essere nega anche l’assolutezza della cifra del Dio personale, ma, così facendo, non distrugge le cifre, nemmeno quella dell’unico Dio personale.
K. JASPERS, La fede filosofica di fronte alla rivelazione (1962), p. 577.
Se la cifra è rinvio a quell’assenza che nella presenza si annuncia, la coscienza simbolica, che legge il mondo come una scrittura cifrata, è la stessa intelligenza dell’assente, quindi la stessa apertura al possibile. Nel possibile si inscrivono l’esistenza (mögliche Existenz), la libertà come condizione della possibilità dell’esistenza e la fede che accompagna, senza garanzia, ogni progetto desituante.
Nel progetto desituante si inscrivono tanto il futuro storico quanto l’al di là metafisico. Sia l’uno che l’altro mantengono stretto il legame con la storicità della situazione, per evitare di tradursi rispettivamente nell’utopia, che non è in alcun luogo (ou tópos), e nella fantasia mistico-religiosa, che fa della trascendenza immanente una pura trascendenza senza relazione e senza contatto.
L’unità di presenza e assenza, in cui si raccoglie il senso della cifra, l’unità di ente ed essere (che non è identità, ma identità-differenza, trascendenza immanente), è data anche nella più modesta percezione che evidenzia una parzialità sullo sfondo di una totalità sfuggente, un’inadeguatezza di senso che inevitabilmente rinvia. Ciò significa che la possibilità dell’espressione simbolica non nasce da analogie esteriori o da esigenze fantastiche, ma ha il suo fondamento nell’essere stesso di ogni fenomeno che, presentandosi, attesta la disequazione parte-tutto, che non consente alla coscienza di trattenersi nella parte presente, ma le impone un proseguimento nell’assenza a cui rinvia. In questo senso, scrive Jaspers:
Il pensiero nel suo progressivo attuarsi non ha limite, ma sempre procede in una successione che è continua e non ha in vista il proprio compimento finale. Il compimento è presente solo nel suo aspetto formale, e precisamente come idea che dà ordine al tutto che io percorro nel tempo. [...] Di qui il principio fondamentale che regola la formazione di ogni pensiero. Detto principio esige che ogni visione parziale sia connessa strettamente con la successione in cui si dispongono i pensieri nel loro scaturire l’uno dall’altro, nel filo conduttore di un tutto.1
Il richiamo totalizzante, contenuto nella mediazione (Mitteilung) immaginifica della cifra, consente di interpretare la situazione in relazione all’ulteriorità che si annuncia e che è richiesta per ogni forma di trascendimento, sia storico come disegno di determinazioni future, sia metafisico per sensi che anche la storia è incapace di esprimere.
Se la forza della cifra sta nella sua polivocità (die Vieldeutigkeit der Chiffren) che la fa essere richiamo di una presenza e di un’assenza, “unità di un essere mondano e della trascendenza”,2 allora la sua capacità di incidenza sarà legata all’equilibrio dialettico delle sue componenti, perché una semplice tensione alla trascendenza sarebbe altrettanto sterile quanto una pura adesione al dato mondano. Infatti, scrive Jaspers: “La trascendenza si risolverebbe in un’inseità statica e io mi ridurrei all’esserci di una mera coscienza in generale”.3
Un rapporto all’essere che volesse evitare la propria situazione temporale sarebbe o un rapporto mistico che non impegna l’esistenza che è sempre situata, o una fantasia religiosa incapace di desituare, perché, trascurando la storicità dell’uomo, non terrebbe conto della sua realtà. D’altra parte la semplice adesione al dato storico o costringe l’uomo a vivere nell’immediatezza dell’evento o, se lo desitua, lo desitua all’interno del sistema che controlla tutti gli eventi, trattenendolo così, nonostante le apparenze, nella sua insuperabile situazione.
Ne consegue che la cifra è tanto più concreta quanto più è dialettica nel gioco della sua polivalenza, ossia quanto più trattiene presso di sé la situazione storica e la dimensione trascendente. Lo smarrimento di uno dei due termini è la solidificazione della cifra (das Starrwerden der Chiffre), il suo irrigidimento in un al di là fantastico e storicamente non incidente, o in un al di qua oggettivo incapace di desituare. Per questo, scrive Jaspers:
Occorre superare le alternative a cui ci pone di fronte l’intelletto in generale per il quale o il mondo è tutto e quindi è Dio, o c’è il mondo e la trascendenza, ossia due realtà di cui la trascendenza è quella ultraterrena che non è qui. Per l’intelletto vale solo l’alternativa tra panteismo e trascendenza ultraterrena, mentre quando l’esistenza si accerta della trascendenza, la coglie solo nell’unità col mondo. Ma siccome l’esistenza non annulla l’assoluta alterità della trascendenza nei confronti della realtà empirica, questa unità non si identifica né col mondo né con la pura trascendenza. Per l’esistenza che trascende, l’alternativa dell’intelletto è deviante, sia nella direzione dell’immanenza panteistica senza trascendenza, sia nella direzione della trascendenza ultraterrena senza mondo.4
In entrambi i casi infatti la cifra è smarrita nella sua sospensione dialettica ed è irrigidita in uno dei due estremi che, a questo punto, più non si richiamano, né reciprocamente si trattengono.
Sono per Jaspers esempi di solidificazione delle cifre le costruzioni ontologiche e teologiche fornite rispettivamente dalla metafisica e dalle religioni tradizionali, che dalla metafisica hanno mediato l’impianto concettuale valido per ogni intelletto (das Gleiche für jeden Verstand).
Pensare metafisicamente o religiosamente con la coscienza in generale (Bewusstsein überhaupt), che opera sulla base dell’universale validità, significa concludere scientificamente e non filosoficamente o religiosamente, significa matematizzare e non pensare o disporsi alla preghiera. Si abolisce il mistero, che accompagna l’ulteriorità assente, per risolvere l’inafferrabilità dell’Umgreifende nella comprensione raggiunta dal concetto (Begriff).
La cifra, irrigidita nella de-terminazione concettuale, non è più occasione di rinvio, ma categoria escludente che, raccogliendo e precisando in sé ogni possibile senso, non tollera forme di oltrepassamento, polivocità di sensi, diverse interpretazioni. L’intolleranza pratica degli istituti storici che nascono a difesa dell’irrigidimento della cifra è solo un fenomeno secondario dell’irrigidimento teoretico della cifra che, tradotta in concetto universalmente valido, è assunta come criterio per la divisione (Teilung) degli uomini in aderenti ed eretici o separati dalla comune adesione.
La comunicazione (Mitteilung) non è più un trovarsi in quel momento mediazionale (Mitteilung) della cifra che dalla presenza conduce all’assenza propria dell’ulteriorità dell’essere, ma si riduce all’avere in comune lo stesso concetto del mondo e di Dio, concetto che non rinvia oltre a sé, ma tutti trattiene nella “cattolicità” dell’adesione, a proposito della quale, scrive Jaspers:
La cattolicità vuole e afferma di possedere il sapere totale con garanzie oggettive e con sicurezza. Il pensiero invece rischia quella via che conduce dal sapere determinato all’indeterminabile.5
E ancora:
Poiché il pensare filosofico si realizza lungo la via che conduce da qualcosa a qualcosa, il filosofare è un essere-in-mezzo (In-dem-Mittesein), è un frammezzo (ein Mittlersein). [...] Pertanto, quando il filosofare pensa l’essere, realizza quella forma di pensiero che è la mediazione (Mitteilung).6
Nella mediazione cifrale, che dal noto rinvia all’ignoto, richiamato dall’inadeguatezza e dalla carenza di senso di ciò che si rende noto, quanti s’avventurano con-dividono (mit-teilen) lo stesso destino. E questa è la ragione per cui tra loro possono comunicare (mitteilen), a differenza di coloro che, aderendo incondizionatamente a un concetto irrigidito nell’universale validità concettualmente raggiunta, non hanno più niente da dire. Non sono compagni di viaggio (Mit-reisende), ma semplici con-venuti in una meta (Überein-gekommen) ritenuta da tutti e per tutti definitiva.
Il termine “cattolicità (Katholizität)” non si riferisce a una figura storica, ma a un modo di pensare, e precisamente a quel modo che accosta la realtà, non per leggervi delle cifre rinvianti, ma per “sistemarla” con concetti universalmente validi e perciò escludenti, in quanto si ritiene esauriscano ogni possibile verità. A questo proposito, scrive Jaspers:
Non solo la Chiesa cattolica (e, anche se in misura minore, la Chiesa protestante) ha concepito questo pensiero dell’unica verità escludente, perché includente tutto il vero, quando ha fondato con una altissima costruzione di pensiero il proprio punto di vista, e in modo impareggiabile ha dato un saggio della propria realizzazione nel mondo. Il páthos della verità unica, accompagnato dall’entusiasmo per l’universalità, per l’unità di tutti gli uomini e di tutta la storia in quell’unica verità, è proprio anche della filosofia dell’idealismo tedesco: Fichte, Schelling, Hegel. Questa filosofia, proprio per la via imboccata, magari in vista di qualche realizzazione, non potrà mai avere un seguito. L’unicità, l’universalità e la cattolicità sono dunque la stessa cosa.7
Per Jaspers, religione cattolica e idealismo sono due esempi di solidificazione delle cifre che, irrigidite, non rinviano a un’ulteriorità assente, ma risolvono la totalità nel sistema concettuale che si presenta come unico, universale, e valido per tutti. La potenza del sistema che così si costituisce è nella sua pre-potenza che, escludendo a priori (pre) ogni ulteriorità di sensi e di significati possibili, chiude la coscienza simbolica e assolutizza la coscienza in generale, che tutti accoglie come in un recinto (Hof), dove altri sensi e altri significati non si danno, se non quelli predisposti e coordinati dal sistema.
Dove la totalità è ridotta a una corte (das Ganze ein Kirkhof geworden ist), sia essa presieduta dalla autorità assoluta di una chiesa, o da quella non meno assoluta della ragione scientifica e tecnica, là dove non c’è altra forma logica che quella del controllo e del dominio, altra etica che il conformismo, altra parola che il linguaggio funzionale, altro destino che il totalitarismo,8 l’uomo perde la sua essenziale possibilità di e-sistenza, e da “animale non ancora stabilizzato”, come diceva Nietzsche,9 diventa animale da corte, animale domestico, incapace di oltrepassare il recinto. Anche qui riornano le parole di Nietzsche:
Nessun pastore e un sol gregge! Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono uguali: chi sente diversamente va da sé al manicomio.10
Possiamo certo non irrigidirci in conclusioni pessimistiche, ma questo alla sola condizione che si riconceda spazio alla coscienza simbolica e alla polivalenza della cifra. Ma finché questa verrà risolta in quella determinazione concettuale che è caratterizzata da una falsa universalità, perché esprime solo una parte dell’essere, e solo una parte che non sa e non vuole sapere quant’altro, al suo fianco, e a essa si riferisce, allora la relazione coscienziale all’assoluto si estingue, perché la coscienza, raccolta tra gli enti e tra i concetti che inequivocabilmente li esprimono, si trova a significare l’assoluto con il ni-ente.
Preclusa la via dell’essere, l’unica possibile resta quella dell’avere. Su questa via la cifra diventa concetto chiaro e distinto che, mediante determinazioni e definizioni, possiede la cosa. A “cosa posseduta” si riduce tanto Dio quanto il mondo, l’uno e l’altro si costituiscono, infatti, solo se misurati dall’uomo, mediante la lucidità intellettuale di quel pensiero chiaro e distinto che non conosce ombre né misteri e che estingue quella tensione desituante che, nel complesso delle situazioni finite, tutto riporta al mistero della presenza velata dell’essere.
Sulla via dell’avere non sarà mai possibile giungere a contatto con l’essere, perché l’essere è Umgreifende e, come tale, si sottrae a ogni tentativo che cerca di afferrarlo (greifen) e circoscriverlo (be) in un concetto (Be-griff) che, per sua natura, è sempre determinato e definito. Con ciò la struttura tensionale (Spannung) propria del pensiero umano non va del tutto perduta, solo che, invece di costituirsi come sete dell’essere, si costituisce come sete che accumula, e, accumulando, smarrisce l’essere e vi si allontana.
Per recuperare il senso dell’essere bisogna abbandonare tanto la logica esatta dell’identità e della non contraddizione, quanto la logica felice che concettualmente media i contrari per conciliarli nell’armonia della mediazione dialettica. L’una e l’altra profanano il mistero dell’essere perché, riducendo la sua immensurabilità alla misura umana, lo sottraggono alla gelosa custodia del mito che, velato, lascia intravedere, senza distruggerlo, il mistero dell’inafferrabilità dell’essere; del circolo che, con il carattere tautologico del suo argomentare, esprime il non senso contenuto nella pretesa di conoscere l’essere; dell’imperativo categorico, che comanda senza ragione, perché la sua voce è quella dell’incondizionato; del paradosso e della comunicazione indiretta, che parlano della verità nelle forme dello pseudonimo, dell’ironia, dell’assurdo per la logica del mondo; della gioia tragica, che, profanando ogni distinzione concettuale, invita a danzare, come diceva Nietzsche “a mo’, di trovadori, tra santi e prostitute, tra Dio e mondo”,11 estremi di un arco in tensione.
Agli estremi, chiarezza e oscurità, distinzione e mistero si tendono in una richiesta reciproca, in una ricerca mai esaurita di adeguazione: vita diurna e vita notturna del pensiero. Questa è la cifra che anima la coscienza simbolica e che la coscienza in generale, irrigidendo e solidificando nella chiarezza del giorno, dissolve.
Dal dissolvimento l’uomo potrà recuperarsi solo quando con il suo pensiero custodirà la polivalenza della cifra, la sua tensione oltrepassante, e saprà avvertire nella negatività del cercare, incapace di pervenire a soluzioni ultime, l’incommensurabilità del cercato, e nella rottura (Durchbruch) di ogni orizzonte l’inafferrabilità dell’essere. Quest’ultimo, sottraendosi a ogni sapere, definisce il limite di ogni esistenza, per la quale ogni ascesa (Aufstieg) è caduta (Abfall), ogni sfida (Trotz) è abbandono (Hingabe), ogni chiarezza razionale che presiede la norma del giorno (das Gesetz des Tages) è oscura fede che si appassiona alla notte (Leidenschaft zur Nacht), che trasfigura gli oggetti del mondo in cifre enigmatiche di ciò che sta oltre.12
Con la solidificazione della cifra, a opera dell’intelligenza chiara e distinta, questo limite non è più tutelato, e allora l’uomo intende se stesso come Dio, e il mondo, da lui scientificamente e tecnicamente dominato, come l’assoluto. Nella difesa di questo limite e nell’indicazione dei pericoli connessi al suo oltrepassamento è il senso ultimo della cifra jaspersiana e della coscienza simbolica che la ospita.
1 K. Jaspers, Von der Wahrheit, Piper, München 1947, p. 305. Per la disequazione “parte-tutto” si veda il mio commento alla traduzione antologica di Von der Wahrheit, che ha per titolo Sulla verità, La Scuola, Brescia 1970, e in particolare: Parte II, capitolo 4: “La verità come processo dialettico”, e capitolo 5: “La verità come contraddizione”, pp. 153-222.
2 Id., Philosophie (1932-1955): III Metaphysik; tr. it. Filosofia, Libro III: Metafisica, Utet, Torino 1978, p. 1081.
3 Ivi, p. 1091.
4 Ivi, p. 1079.
5 K. Jaspers, Von der Wahrheit, cit., p. 841.
6 Ivi, p. 962.
7 Ivi, p. 842.
8 Cfr. Parte XI: “La prepotenza della ragione e l’alienazione”.
9 F. Nietzsche, Jenseits von Gut und Böse. Vorspiel einer Philosophie der Zukunft (1886); tr. it. Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell’avvenire, in Opere, Adelphi, Milano 1972, vol. VI, 2, § 63, p. 68.
10 Id., Also sprach Zarathustra. Ein Buch für Alle und Keinen (1883-1885); tr. it. Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, in Opere, cit., 1973, vol. VI, 1, Prefazione, § 5, p. 12.
11 Id., Die fröhliche Wissenschaft (1882); tr. it. La gaia scienza, in Opere, cit., 1965, vol. V, 2, p. 275.
12 K. Jaspers, Filosofia, Libro III: Metafisica, cit., pp. 1005-1056.