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Bacone e il regnum hominis
Se un uomo riuscisse a compiere, non un’invenzione particolare, anche se di grande utilità, ma ad accendere una nuova luce nella natura, una luce che col suo stesso sorgere illumini le regioni della realtà contigue a quelle già esplorate, e poi, sempre più innalzandosi, potesse svelare e chiarire i segreti più riposti, costui sarebbe veramente il propagatore del dominio dell’uomo sull’universo, il vero difensore dell’umana libertà, il soggiogatore della necessità.
F. BACONE, Sull’interpretazione della natura. Prefazione (1603), p. 125.
Lo sviluppo della ragione scientifica avviene in conformità al disegno umanistico che prevede la riduzione del mondo a misura d’uomo. Il disegno era stato preparato dalla speculazione medioevale che, costruitasi sul discorso biblico, dominato dal volontarismo di Dio che crea il mondo e dell’uomo che, per comando di Dio, lo sottomette, aveva ridotto l’essere a dimensioni intellettualistiche e volontaristiche.1 Da phýsis originaria, l’essere era così divenuto notio entis o ratio communissima. Come pura concettualità poteva essere ordinato in sistema e quindi dominato con i principi del sistema stesso, quale il principio di non contraddizione che garantisce l’entità dell’ente e il principio di causalità che ne garantisce le condizioni prime e seconde della sua esistenza. In questa cura per l’ente, che si vuol garantire a ogni costo, traspare la dimensione volontaristica che vuole il mondo e la sua stabilità. La precarietà delle cose del mondo, la loro contingenza, il loro divenire, prima di significare il punto di partenza per la dimostrazione cosmologica dell’esistenza di Dio, esprimono l’angoscia dell’uomo medioevale per la possibile nientificazione del mondo. La dimostrazione dell’esistenza di Dio è l’evocazione di Colui che, avendo tratto il mondo dal nulla per concederlo all’uomo, è l’unico in grado di trattenerlo dal pericolo estremo.
Intellettualità e volontarismo hanno un unico intento: eliminare la contraddizione del mondo per garantire la stabilità al soggiorno dell’uomo. Il concipere è in funzione del capere, la contemplatio è in funzione della fruitio. Il fatto che l’una e l’altra si rivolgano a Dio, Summum Bonum, e non al mondo, è solo perché Dio è il garante di tutte le cose buone di questo mondo a cui l’appetitus si rivolge.
La conferma di questa cura dell’uomo per il mondo, che cresce all’ombra di un discorso che sembra parlare solo di Dio, la si ha nell’età moderna quando la cura, diventando più manifesta, non cessa, nel suo affermarsi, di cercare la propria giustificazione in motivazioni religiose. Illuminante a questo proposito è la speculazione di Bacone che, nell’esprimere un’incondizionata fiducia nelle possibilità della scienza al fine di migliorare la condizione dell’uomo, offre un programma sostanzialmente privo di concreti e convincenti risultati scientifici, ma fortemente animato dalla convinzione, secondo la quale, la trasformazione scientifica del mondo al servizio dell’uomo non è qualcosa che sta per accadere, ma qualcosa che si deve far accadere, qualcosa che assume la tonalità morale del compito da eseguire religiosamente, come si conviene in presenza di un comando divino. Questo almeno è il senso che in tutta evidenza traspare dalle espressioni con cui Bacone chiude il suo Novum Organum:
In seguito al peccato originale, l’uomo decadde dal suo stato di innocenza, e dal suo dominio sulle cose create. Ma entrambe le cose si possono recuperare, almeno in parte, in questa vita. La prima mediante la religione e la fede, la seconda mediante le tecniche e le scienze. In seguito alla maledizione divina, il creato non è diventato interamente e per sempre ribelle: in virtù di quella massima “guadagnerai il tuo pane con il sudore della tua fronte” (Genesi, 3, 19) attraverso molte fatiche (non certamente con le dispute o le oziose cerimonie della magia) finalmente è costretto a dare il pane all’uomo e cioè è costretto agli usi della vita umana.2
Quando il progetto scientifico è inscritto in un programma religioso, la sua realizzazione non conosce limiti ed è capace di creare dei martiri come Bruno e Galileo. In Bacone crea il profeta, che per le sue opere sceglie titoli come Instauratio magna, Novum Organum, Parasceve, New Atlantis, carichi di simbolismo cristiano e di aperta polemica con la speculazione greca incolpata di “profanazione”:
Le accuse che ho rivolto a tutti costoro (cioè a Platone, ad Aristotele e a molti altri pensatori antichi e moderni) non sono ancora all’altezza della loro colpa mostruosa (pro ipsorum santissimo reatu).3
Se si trascura il movente religioso che sollecita e anima il programma scientifico di Bacone, risulta incomprensibile l’ostilità per Aristotele che viene addirittura paragonato all’Anticristo4 e accusato, insieme a Platone, di superbia intellettuale per aver tentato la conoscenza della natura con le sole risorse della propria mente.5 L’incomprensione aumenta quando si considera che il concetto baconiano di “forma”, introdotto come fondamento della nuova scienza, in nulla differisce da quello aristotelico, ma sembra ripreso pari pari dalla Fisica dello Stagirita. Ma allora che cosa intende Bacone quando, parlando di Platone e di Aristotele, afferma che nessuna accusa può essere adeguata al loro mostruoso delitto (pro ipsorum santissimo reatu)?
La risposta è semplice e si lascia comprendere solo presupponendo la convinzione religiosa che la anima. La speculazione di Platone e di Aristotele era sterile in ordine alla trasformazione e al dominio delle cose, e pertanto costituiva il maggior ostacolo alla realizzazione della promessa di Dio. In quanto fine a se stessa, in quanto “pura teoria”, la filosofia platonico-aristotelica si era espressa nello sforzo presuntuoso di trarre la conoscenza della natura delle cose dalla propria mente (deduzione), invece di cercarla pazientemente nel libro della natura (induzione). Questo, per Bacone, è peccato di superbia intellettuale, in nulla dissimile da quello compiuto dai nostri progenitori quando pretesero di essere come Dio. Di qui la necessità di inscrivere il programma scientifico nell’orizzonte teologico-cristiano, perché, scrive Bacone:
Senza dubbio noi scontiamo la colpa dei nostri progenitori, i quali vollero essere simili a Dio. Noi, loro progenie, vogliamo ancora di più. Creiamo infatti dei mondi, fissiamo leggi alla natura e la signoreggiamo, vogliamo che tutte le cose siano come le brama la nostra fatuità, e non come piace alla divina Sapienza, o come sono realmente nella natura. [...] Imponiamo l’impronta della nostra immagine umana sulle creature e sulle opere di Dio, e non cerchiamo con diligenza di scoprire l’impronta di Dio sulle cose. Non immeritatamente quindi siamo decaduti ancora una volta dal nostro dominio sul creato; e, mentre dopo il peccato originale era rimasto all’uomo un certo potere sulla natura ribelle – poiché essa poteva essere sottomessa e diretta per mezzo di vere e solide tecniche – ora siamo privati quasi completamente anche di questo potere a causa della nostra superbia, avendo noi voluto essere simili a Dio e seguire i dettami della nostra sola ragione. [...] Pertanto, se vi è ancora in noi qualche sentimento di umiltà verso il Creatore, di rispetto e di ammirazione verso le sue opere, se vi è ancora carità verso gli uomini e zelo di diminuire i bisogni e le sofferenze umane; se vi è ancora amore per la verità nello studio delle cose naturali, odio per l’ignoranza, desiderio di purificare l’intelletto; se così è, non bisogna stancarsi di supplicare gli uomini di abbandonare per qualche tempo, o almeno di porre da parte quelle filosofie inconsistenti e assurde che preferiscono le tesi alle ipotesi, che hanno tenuto imprigionata l’esperienza e calpestato le opere di Dio; bisogna supplicarli affinché leggano con umiltà e con una certa riverenza il libro del creato, e si soffermino a meditare su di esso, onde, mondi e purificati, essi possano, in spirito di castità e integrità, liberarsi della mutevolezza dell’opinione. Queste sono le parole e il linguaggio che si sono sparsi fino ai confini della terra, e che non hanno sofferto la confusione di Babele: questo è il linguaggio che devono imparare gli uomini. Non sdegnino essi di prendere in mano l’alfabeto, ritrovando la loro giovinezza e diventando di nuovo simili ai bambini.6
Questa lunga citazione vuol essere un esempio di come la scienza, nascendo, pensi se stessa come compito morale, come esecuzione di un comando di Dio, pensi la sua forza conoscitiva come atto di umiltà, come forma di espiazione di quella colpa raffigurata nella superbia intellettuale del peccato d’origine, e infine pensi la sua potenza come un innocente gioco di bambini. Tutto ciò è profondamente giudaico-cristiano. Il mondo greco non aveva pensato l’uomo come imago Dei, e neppure aveva pensato alla possibilità che Dio diventasse uomo. La trasformazione del mondo in regnum hominis, operata dalla scienza, è stata tenuta a battesimo dalla religione giudaico-cristiana. La polemica che si scatena, fin dal tempo di Galileo, tra religione e scienza non aveva motivo d’essere, perché la scienza non è altro che la prosecuzione profana del sæculum cristiano.
Appartiene alla fondazione baconiana del regnum hominis l’idea di progresso che la scienza non tarderà ad assumere come direttiva e senso della propria incessante ricerca. A questa idea è da ricondurre sia la critica baconiana alla filosofia antica, in quanto contemplazione sterile e infeconda, incapace di elevarsi a quell’operativismo attivo che, migliorando le condizioni di vita, consente un effettivo progresso all’umanità, sia il primato dell’induzione, che in Bacone non è solo il primato di un metodo rispetto a un altro, ma di una mentalità, la mentalità che, alla contemplazione della verità, preferisce la scoperta di nuove verità che non si ottengono dai sillogismi della propria mente (deduzione), ma dalla ricerca paziente nel libro della natura (induzione). Il paragone con le “vergini infeconde” è abbastanza eloquente in proposito, così come il titolo De dignitate et augmentis scientiarum che Bacone assegna a quell’opera che scorge la dignità della scienza nel progressivo incremento del sapere operativo.
Qui non si fatica a scorgere l’origine dell’idea di progresso nel contesto religioso cristiano che, proponendo alla meditazione medioevale la figura dell’éschaton, ha dischiuso la prospettiva del futuro. Con Bacone il contenuto escatologico è sottratto alla sua matrice religiosa; l’utopia della Nuova Atlantide7 si risolve nell’immanenza futura, ma il futuro è stato dischiuso dall’idea escatologica propagata dal cristianesimo.8
A questa idea si riferiscono tutte le utopie successive, da quelle scientifiche a quelle rivoluzionarie, alla base delle quali sarà sempre possibile ritrovare l’idea cristiana dell’“uomo nuovo” che abiterà “nuovi cieli e nuove terre”. Questi non saranno più proiettati nella trascendenza, ma saranno progettati in un futuro immanente che non è da attendere, ma da realizzare, in conformità al principio operativistico del progressivo dominio dell’uomo sulla natura che Bacone aveva assegnato come scopo alla scienza, dopo averlo dedotto dall’insegnamento biblico. Nell’inaugurare la rivoluzione scientifica Bacone osservava che: “La ricerca delle cause finali è sterile al pari di una vergine infeconda che non partorisce nulla o partorisce mostri latranti”.9 Due secoli dopo, nell’auspicare la rivoluzione sociale, P.-J. Proudhon dirà che:
La ricerca delle cause prime e delle cause finali è eliminata dalle scienze economiche e dalle scienze naturali. L’idea di Progresso rimpiazza nella filosofia quella di Assoluto. La rivoluzione succede alla rivelazione.10
La realizzazione del programma baconiano non poteva trovare esecutori più fedeli. Infatti, anche se in Bacone il programma era colmo di speranza cristiana e l’attesa era originariamente volta al regno di Dio, ciò che in effetti si stava preparando era, alla fine, il regno dell’uomo, di quell’uomo che, proprio a partire da Bacone, ha cominciato a considerarsi creatore del proprio mondo e del proprio futuro. Del resto, una volta obliato il senso dell’essere e il significato della sua trascendenza nei confronti dell’ente, che cosa poteva restare come assoluto se non il progresso nell’ordine della manipolazione dell’ente, ridotto a cosa da utilizzare a esclusivo vantaggio dell’uomo? Da Bacone in poi sarà questo il senso in cui la storia dell’Occidente s’andrà ritrovando.
Per manipolare l’ente e per ridurlo al servizio dell’uomo è necessario tradurlo in termini e rapporti che lo rendano immediatamente assoggettabile alla mente. Tale possibilità è preclusa se si attribuisce alla natura un carattere organico-vitalistico, perché la mente umana non risulta idonea a penetrare e a dirigere il processo della vita, come si poteva facilmente dedurre, al tempi di Bacone, dal fallimento del tentativo magico di padroneggiare l’energia primordiale supposta presente in tutti gli enti di natura.
Per essere dominata la natura deve offrirsi con un altro volto, con un volto esclusivamente meccanicistico, perché se è vero, come diceva Archimede, che l’uomo non sa accrescere di un pollice la propria statura, sa però muovere la terra purché gli si dia un punto d’appoggio. Le trasposizioni meccaniche, infatti, non richiedono altra attitudine se non quella di numerare, pesare, spostare, trasferire in uno spazio matematicamente pre-calcolato.
La concezione meccanicistica della natura, la traduzione dell’ordine qualitativo in ordine quantitativo, l’abbandono delle cause prime per la cura delle cause seconde empiricamente verificabili, la misurazione del tempo e la determinazione dello spazio si presentano come condizioni pregiudiziali per l’instaurazione del regnum hominis, perché solo un mondo che si lascia risolvere in rapporti spaziali o meccanici può ricadere nel pieno dominio della mente umana.
In vista del regnum hominis, la phýsis, da originaria manifestazione dell’essere, diventa fisica espressa da punti, linee e numeri che hanno nel progetto matematico della mente umana la loro comprensione anticipata. Perciò Bacone scrive: “La ricerca sulla natura trova la sua migliore attuazione quando il dato fisico si conclude in quello matematico”,11 perché la matematica garantisce quel “sapere che è potere” in grado di ridurre tutte le cose a misura del controllo umano. Da Bacone in poi la matematicità del pensiero si presenterà come quel vincolo capace di unire non solo i più diversi indirizzi filosofici, ma anche le espressioni speculative e le forze produttive e pratiche che caratterizzeranno il volto della civiltà occidentale.
1 Cfr. Parte V: “Lo smarrirsi dell’essere in intelletto e volontà”.
2 F. Bacone, Instauratio Magna, Pars secunda: Novum Organum (1620); tr. it. La grande instaurazione, Parte seconda: Nuovo organo, in Scritti filosofici, Utet, Torino 1986, Libro II, § 52, p. 795.
3 Id., Temporis partus masculus (1602-1603); tr. it. Il parto maschio del tempo, in Scritti filosofici, cit., p. 117.
4 Id., De dignitate et augmentis scientiarum (1623); tr. it. La dignità e il progresso del sapere divino ed umano, in Scritti filosofici, cit., Libro I, § 25, p. 160. Quest’opera è una rielaborazione e un ampliamento in lingua latina dell’opera: The two books of proficience advancement of learning divine and humane che Bacone aveva pubblicato nel 1605 in lingua inglese.
5 Id., Redargutio philosophiarum (1608); tr. it. La confutazione delle filosofie, in Scritti filosofici, cit., pp. 408-419, 427-429.
6 Id., Historia ventorum (1622), in R.L. Ellis, J. Spedding, D.D. Heath (a cura di), The works of Francis Bacon, London 1857-1859, in ristampa fotostatica, Fromann, Stuttgart 1962, vol. VII, p. 198. La Historia ventorum fa parte della Historia naturalis et experimentalis ad condendam philosophiam, sive Phænomena universi quæ est Instaurationis magnæ pars tertia. Il volume contiene una Prefazione generale, una Norma historiæ præsentis e la Historia ventorum. L’intero Catalogus historiarum particularium secundum capita che contiene l’elenco di centotrenta “storie particolari” di tecniche di dominio della natura si trova nel Parasceve ad historiam naturalem et experimentalem (1620) che costituisce la Premessa alla terza parte della Instauratio Magna, tr. it. Preparazione alla storia naturale e sperimentale, in Scritti filosofici, cit., pp. 198-199.
7 F. Bacone, New Atlantis (1627), versione latina: Nova Atlantis (1638); tr. it. La nuova Atlantide, in Scritti filosofici, cit., pp. 821-865.
8 A proposito del “tempo escatologico” si veda U. Galimberti, Gli equivoci dell’anima (1987), Feltrinelli, Milano 2001, capitolo 14: “L’anima e le figure del tempo”.
9 F. Bacone, La dignità e il progresso del sapere divino e umano, cit., Libro I, § 24, p. 158. La critica alle cause finali e formali con riferimento alla metafisica aristotelica ritorna nel Libro II, § 14, pp. 225-232, mentre il paragone con le vergini infeconde ritorna nei Cogitata et Visa (1607-1609); tr. it. Pensieri e conclusioni sulla interpretazione della natura o sulla scienza operativa, in Scritti filosofici, cit., § 13, p. 381, e ne La confutazione delle filosofie, cit., dove ai §§ 53-55, pp. 427-428, si legge: “Alla vostra filosofia io temo che si possa applicare non solo questo verso di Virgilio: ‘Predominano l’infelice loglio e la sterile avena’ (Georgiche, I, 154), ma anche quest’altro: ‘Il candido ventre è avvolto da mostri latranti’ (Eneide, VI, 75). Infatti la vostra filosofia, vista da lontano, assomiglia a una vergine bella nella parte superiore del corpo: a prima vista è piacevole e attraente, ma quando si discende ai particolari, per esempio al ventre e alle parti della generazione (a quelle parti cioè da cui qualcosa può esser prodotto) allora, invece delle opere e delle azioni (che sono degna e legittima prole della contemplazione) si troveranno mostri urlanti e latranti, famosi per aver spinto al naufragio gli spiriti. Il genitore di questo male è Aristotele, ma la vostra filosofia ne è la nutrice. Egli per diletto e per desiderio di gloria dapprima presentava problemi scarsamente utili e poi li disponeva in ordine: in tal modo fu un artefice di contraddizioni invece che un campione della verità. Il suo pessimo esempio venne seguito e la scienza viene ora trasmessa somministrando insieme i problemi e le loro soluzioni. Infatti chi con ragione afferma qualcosa lo prova, lo stabilisce, lo ordina, allontana e in certo modo previene e rifiuta da lontano gli errori e le contraddizioni, ma chi si azzuffa con ogni dettaglio non giunge a nessuna conclusione e non fa che seminare dispute”.
10 P.-J. Proudhon, Idée générale de la révolution au XIX siècle (1852), in Œuvres complètes, Paris 1946 sgg., vol. XVII, pp. 344-345.
11 F. Bacone, La grande instaurazione, Parte seconda: Nuovo organo, cit., Libro II, § 8, p. 648.