82.
La funzione desituante della cifra e l’operazione filosofica fondamentale
Noi eseguiamo l’operazione filosofica fondamentale quando, oltre ogni ente determinato, oltre ogni orizzonte ancora visibile e perciò determinato, volgiamo il nostro pensiero all’Umgreifende in cui noi siamo e che noi stessi siamo. L’Umgreifende è ciò in cui è tutto l’essere che a noi si manifesta, o, che è lo stesso, è la condizione per cui l’essere autentico a noi si manifesta. L’Umgreifende non è quindi la totalità come somma degli enti, ma la totalità che per noi rimane sempre aperta come fondo dell’essere.
K. JASPERS, Von der Wahrheit (1947), pp. 38-39.
La coscienza simbolica conduce dall’esserci (Dasein) all’esistenza (Existenz), dalla situazione, che circoscrive e conclude, alla de-situazione come es-posizione, come oltrepassamento, come sporgenza dall’orizzonte circoscritto dalla situazione, verso quell’assenza a cui la cifra, nella sua ricerca di senso, rinvia. La situazione è la telluricità dell’esistenza, il suo essere legata a una terra, a una storia, a un tempo, che non sono rispettivamente la totalità della terra, della storia e del tempo. A questo proposito, scrive Jaspers:
Nella situazione io mi trovo proveniente da un passato e proiettato in un futuro [...] non sono all’inizio e non sono alla fine. Eppure, compreso tra l’inizio e la fine, domando di questo inizio e di questa fine.1
Alla coscienza simbolica la “situazione” si offre, al pari di ogni cifra, come sintesi di presenza e di assenza, come un trovarsi da un passato verso un futuro i cui lineamenti si smarriscono in un’oscurità che proietta la sua ombra sul presente, il quale rivela presso di sé un’assenza di senso, il non senso del suo “ci”. Il “ci” è ciò che definisce l’esser-ci, la situazione sorpresa nella sua semplice presenza, nel suo mero esser lì e non altrove, ora e non allora, senza ragione, senza perché.
La constatazione non ha mire teleologiche, non cerca fini né cause, ma semplicemente l’altro a cui la situazione rinvia quando dice di sé, quando appare nel suo essere, ma, nell’apparire, si qualifica rinviando a ciò che non è. Questo non-essere non le sta semplicemente accanto, ma la costituisce intimamente, perché la de-termina. Determinandola, la fa essere quella che è, e a un tempo la rinvia oltre il proprio confine, perché, scrive Jaspers: “È di ogni essere determinato l’essere in relazione ad altro, da cui è distinto”.2
La coscienza dell’esserci (Bewusstsein als Dasein) può sapersi “qui” e “adesso”, solo se con-tiene, oltre alla propria presenza, anche la propria assenza, che non è semplicemente contigua alla presenza, ma costitutiva, intima, dal momento che la presenza si scopre proveniente da... e proiettata verso...
Per la coscienza che si scopre nella sua situazione percorrere l’assenza significa de-situarsi, quindi e-sistere, liberarsi da... e verso..., trascendere, non per mera curiosità, ma perché sollecitata dalla propria situazione, che dice provenienza, ma anche successione, rinvio, ulteriorità, e che si offre come situata in un orizzonte manifesto e situante in un orizzonte che è celato proprio dall’emergenza dell’orizzonte manifesto.
Nella sua situazione la coscienza con-tiene quindi l’essere che appare e il non-essere a cui rivia o da cui quell’apparire si distingue. In quel non-essere la coscienza non può pensare il nulla, perché al nulla che cosa potrebbe succedere, e dopo il nulla che cosa potrebbe apparire? In quel non-essere la coscienza pensa l’essere autentico (eigentliche Sein) che, siccome non coincide con alcun ente né con alcuna totalità ontica, può indifferentemente chiamarsi essere o nulla: “Es ist ebenso das Nichts wie das eigentliche Sein”.3
Dalla situazione all’essere il sentiero da seguire è il sentiero dell’assenza, è il sentiero che nega l’assolutizzazione di ogni puntuale presenza e di ogni orizzonte che, concluso, vorrebbe concludere l’itinerario dell’uomo, ridurne l’ansia, che sempre accompagna la ricerca di un’ulteriorità che si annuncia indietreggiando, che si offre assentandosi, lungo una via su cui lascia di sé solo delle tracce, delle cifre da decifrare. Scrive in proposito Jaspers:
Tutto ciò che sta di fronte a me, a guisa di
oggetto, è sempre intimamente connesso e compreso in una certa
totalità del nostro mondo nel quale viviamo. Nel vedere questa
totalità ci sentiamo al sicuro, perché, se così possiamo dire, essa
ci avvolge in un orizzonte del nostro
sapere.
Ogni orizzonte ci racchiude e ci impedisce uno sguardo ulteriore.
Da parte nostra ci spingiamo oltre ogni orizzonte, ma, ovunque
andiamo, sempre ci accompagna l’orizzonte che continuamente
racchiude le cose di volta in volta raggiunte. Esso ricompare
sempre di nuovo e, siccome è solo orizzonte e non conclusione, non
ci consente un arresto definitivo. D’altra parte noi non
guadagniamo mai un punto di vista per il quale l’orizzonte
limitante abbia fine e dal quale sia possibile
abbracciare con lo sguardo un Tutto non più racchiuso da un
orizzonte, tale quindi da non rinviare più oltre, e neppure
raggiungiamo una serie di punti di vista, nella connessione dei
quali, proprio come avviene in una circumnavigazione, sia possibile
raggiungere, mediante un movimento che trascorra dall’uno all’altro
orizzonte, l’unico essere in sé concluso, un sistema dell’essere.
L’essere rimane per noi aperto, esso
ci trascina da tutte le parti nell’illimitato, esso di volta in
volta ci fa venire incontro qualcosa di nuovo come essere
determinato. [...]
L’essere determinato, l’essere conosciuto è sempre compreso da un
essere più ampio. Ogni volta noi sperimentiamo, insieme alla
positiva comprensione di un particolare (particolare è anche ogni
teorizzato sistema della totalità dell’essere), anche ciò che
l’essere non è. Consapevoli di questo, rinnoviamo la domanda
intorno all’essere che, col progressivo manifestarsi di tutti i
fenomeni che ci vengono incontro, come tale sempre indietreggia.
Questo essere che non è oggetto (che sempre circoscrive), né una
totalità che si configuri come orizzonte (che sempre limita), noi
lo chiamiamo Umgreifende.
L’Umgreifende si annuncia come ciò
che, comprendendo di volta in volta ogni orizzonte guadagnato,
trascende di continuo tutti gli orizzonti, senza configurarsi mai
esso stesso come orizzonte limitante.4
Se l’essere è aperto nella sua infinita purezza, ma celato nel nonessere di ogni apparire, la coscienza umana, che è sempre situata in un determinato apparire, potrà desituarsi in direzione dell’essere solo ponendosi sulla strada del non-essere, e, nella negazione di ogni sapere concluso e di ogni orizzonte limitato, potrà traguardare (quer zu sehen) l’essere che da sempre lo abita.
Su questo difficile sentiero del non, che è negazione di ogni limite perché suo oltrepassamento, Jaspers coglie il senso di quella operazione filosofica fondamentale (philosophische Grundoperation) in cui si custodisce l’essenza dell’e-sistenza in quanto de-situazione, oltre-passamento e quindi libertà, intesa come liberazione dai vincoli della situazione e come risposta all’appello dell’essere. Scrive in proposito Jaspers:
Noi eseguiamo l’operazione filosofica fondamentale quando, oltre ogni ente determinato, oltre ogni orizzonte ancora visibile e perciò determinato, volgiamo il nostro pensiero all’Umgreifende in cui noi siamo e che noi stessi siamo. L’Umgreifende è ciò in cui è tutto l’essere che a noi si manifesta, o, che è lo stesso, è la condizione per cui l’essere autentico a noi si manifesta. L’Umgreifende non è quindi la totalità come somma degli enti, ma la totalità che per noi rimane sempre aperta come fondo dell’essere.5
Con l’esecuzione dell’operazione filosofica fondamentale,6 l’uomo oltrepassa (über-hinaus) la sua situazione, non nel senso che l’abbandona, ponendosi come astratta soggettività senza terra, senza tempo e senza storia, ma nel senso che, nella storicità della sua situazione, si desitua, ponendosi in relazione a quell’oltre che nella situazione si annuncia.
Ma per questo è necessario che la situazione si decanti, vale a dire che l’oggettività e la soggettività che la costituiscono non facciano orizzonte concluso, ma si rapportino come in un dialogo si rapportano domanda e risposta, dove la domanda rinvia alla ricerca di un senso e la risposta, incapace nel suo limite di offrirlo, lo lascia trasparire. Fuor di metafora, è necessario che l’oggetto abbandoni l’opacità del dato e, nel darsi, evidenzi il rinvio; e che il soggetto abbandoni le catene che lo legano all’oggettività del dato (im Fesselung an das Gegenständliche) e, oltrepassandolo, pensi (über-hinausdenken) l’ulteriorità che si annuncia sulla traccia del rinvio.
L’operazione filosofica fondamentale, allora, è eseguibile solo se l’oggetto diventa cifra che richiama una distanza, e l’esserci acceda alla condizione di e-sistenza che si de-situa. Ciò è possibile solo se si intende la relazione soggetto-oggetto come una scissione (Spaltung), e la situazione che la contiene come un limite (Grenz-situation) da spezzare (durch-brechen), perché la trascendenza si manifesta solo nella rottura (Bruch) dell’immanenza, attraverso la quale (Durch-bruch) e nella quale (Ein-bruch) giunge il suo appello.7
Affinché ci sia cor-rispondenza all’appello, l’uomo è stato donato (geschenkt werden) nella libertà. La libertà non è una proprietà dell’uomo, ma un dono dell’essere. In questo dono si inserisce l’essenza dell’uomo come e-sistenza de-situantesi, capace cioè di oltrepassare la propria situazione. Qusto è il senso, scrive Jaspers, di quell’espressione di Nietzsche che definisce l’uomo “l’animale non ancora stabilizzato”.8
In un breve saggio dell’articolo del 1950 dedicato alla libertà, Jaspers osserva che per accertarsi dell’origine della nostra libertà è necessario un capovolgimento (Umkehr) del nostro modo di pensare, e precisamente: da un pensare che è andato smarrito nella dimensione oggettiva a un pensare dalla dimensione dell’Umgreifende. In tale pensare si è aperti a un udire (Hören), ma si tratta di un udire che è sempre nel pericolo (im Gefahr) di non riuscire a comprendere la voce. Si tratta di una certezza (Gewissheit) che non è mai abbandonata dall’insicurezza (Unsicherheit), che non è protetta da alcuna autorità.9
L’insicurezza nasce con l’abbandono del mondo oggettivo, da cui ci si desitua non appena l’oggetto-cifra lascia udire la voce dell’ulteriorità che, nell’oggettività, si annuncia come assenza, come carenza di senso. De-cidersi (ent-scheiden) per quell’assenza è tagliare (scheiden) l’orizzonte concluso della situazione, e quindi trovarsi improvvisamente in un vuoto di contenuto (gehaltlose Leere), in un’assenza di terreno (Bodenlosigkeit), che non è più rassicurante come quella terra familiare, quella storia e quel tempo che avevano ospitato l’esserci nella sua situazione. E-sistere, de-situarsi, de-cidersi, cor-rispondere a quel dono dell’essere che si chiama libertà, è rischiare senza protezione (abschutzlos), senza alcuna garanzia (keine Garantie).
L’oltrepassamento richiesto dall’operazione filosofica fondamentale porta quindi con sé i toni dell’abbandono (Hingabe) che, prima di essere un abbandono all’essere, è abbandono di un terreno sicuro (festen Boden), per un itinerario che offre solo cifre da decifrare, simboli che richiamano distanze, intimità vissute nell’assenza, dove nessun sapere assicura. Infatti, con l’abbandono della situazione, al sapere (Gewusstheit) subentra una certezza (Gewisstheit) che non è più vincolante (zwingende) come quella che anima la provocazione della scienza e la prepotenza della ragione, ma è solo convinzione che testimonia (Überzeugung) una fede (Glaube), una fede che non sa, ma semplicemente crede.10
Il rischio della fede conferisce serietà (Ernst) all’impegno e-sistenziale, e quindi all’uomo che, de-cidendosi per questo rischio, non rinuncia alla propria essenza, ma la realizza come apertura (Offenheit) all’essere e come tensione (Spannung) protesa a ricomporre con l’essere quel patto amicale (sym-bolon), che ogni situazione storica minaccia di spezzare, quando conclude l’uomo nel suo spazio, nel suo tempo, tra le sue cose, che non hanno altro futuro se non quello predisposto dal progresso.
1 K. Jaspers, Philosophie (1932-1955): Einleitung; tr. it. Filosofia, Introduzione, Utet, Torino 1978, p. 111.
2 Id., Von der Wahrheit, Piper, München 1947, p. 37.
3 Ivi, p. 109.
4 Ivi, pp. 37-38.
5 Ivi, pp. 38-39.
6 Cfr. il capitolo 7: “Jaspers: l’Umgreifende e l’operazione filosofica fondamentale”.
7 K. Jaspers, Von der Wahrheit, cit.; si veda la sezione “Wahrheit im Durchbruch”, pp. 710-869.
8 Id., Kleine Schule des philosophischen Denkens (1965); tr. it. Piccola scuola del pensiero filosofico, Comunità, Milano 1968, p. 47. Nietzsche usa questa espressione in Jenseits von Gut und Böse. Vorspiel einer Philosophie der Zukunft (1886); tr. it. Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell’avvenire, in Opere, Adelphi, Milano 1972, vol. VI, 2, § 63, p. 68.
9 K. Jaspers, Über Gefahren und Chanchen der Freiheit (1950); tr. it. Pericoli e possibilità della libertà, in Verità e verifica. Filosofare per la prassi, Morcelliana, Brescia 1986, pp. 164-165.
10 A proposito della “certezza (Gewissheit)” nelle sue tre accezioni: “chiarezza (Klarheit)”, “certezza vincolante (zwingende Gewissheit)”, “convinzione (Überzeugung)”, si veda il mio commento alla traduzione antologica di Von der Wahrheit, cit., che ha per titolo Sulla verità, La Scuola, Brescia 1970, pp. 106-133.