23.

La nascita del mondo e l’Occidente

L’Occidente conosce con un’intensità unica l’esigenza di foggiare il mondo. Esso sente il significato della realtà terrena che implica il compito senza fine di perseguire nel mondo e con il mondo la conoscenza, la contemplazione, la realizzazione.Non si può fare astrazione dal mondo. È in esso, e non fuori di esso, che l’uomo occidentale trova la sua sicurezza.

K. JASPERS, Origine e senso della storia (1959), p. 92.

Dalla divisione nasce il mondo come oblio dell’eterno. Al mondo si contrappone lo spirito dell’uomo che nel tempo, nel finito, cerca, tra domande e risposte, sotto il peso dell’aut aut, della decisione, del definitivo, del paradossale, della coscienza tragica, l’orma dell’eterno che il divenire del mondo manifesta e nasconde. L’inquietudine che ne deriva, e che distingue lo spirito occidentale al suo nascere, è del tutto ignota al pensiero del periodo assiale che, ancora raccolto nella verità dell’eterno, non conosce il mondo se non nel suo dileguarsi e nel suo estinguersi. Per questo, scrive Jaspers:

Gli asceti indiani, nonché alcuni monaci in Cina e in Occidente, fuggirono il mondo onde intimizzarsi all’assoluto, in una meditazione che, affrancata dal mondo, coglieva il mondo nel suo dileguarsi e nel suo risolversi nell’essere pensato come tutto. I mistici cinesi si liberarono da ogni desiderio morboso per giungere a una pura contemplazione in cui ogni ente si faceva linguaggio, apparenza trasparente e dileguante dell’eterno, nonché infinita onnipresenza della sua legge. Il tempo si estinse per loro nell’eternità dissolvendosi nella fuggevolezza del linguaggio del mondo. In Occidente i primi filosofi passarono nel mondo come se, nonostante ogni legame con esso, giungessero costantemente dal di fuori. Provenendo da una patria lontana, trovarono nel mondo se stessi e le cose, e, pur nell’estrema vicinanza a esse, trascesero le apparenze fenomeniche, memori dell’eterno.1

Quando il pensiero memorativo dell’eterno dileguandosi si estinse, dimenticando la patria lontana per assumere il mondo come stabile e decisiva dimora, allora sorse l’Occidente, dapprima come inquietudine generata dal mondo colto nel suo isolamento, poi come volontà di potenza che, col dominio del mondo, risolse l’inquietudine. Con questo non si dice che l’Occidente non ha mai pensato l’eterno, ma solo che il pensiero dell’eterno è sempre stato promosso dalla cura del mondo e dal bisogno di garantirlo. Le dimostrazioni dell’esistenza di Dio che partono dal mondo e le anticipazioni matematiche della scienza che si applicano al mondo sono solo due esempi che mostrano come il pensiero dell’Occidente, nel suo procedere, sia a posteriori sia a priori, abbia sempre assunto il mondo come punto di partenza e di arrivo, e quindi, al di là di ogni dire mistificante, come unica patria.

Se pensiamo l’espressione greca del periodo assiale come fenomeno periferico dell’Oriente, la contrapposizione cronologica tra pensiero assiale e successivo pensiero occidentale diventa contrapposizione metafisica tra Oriente e Occidente, tra volontà di verità (Wille zur Wahrheit) e volontà di potenza (Wille zur Macht). Alla luce di questa contrapposizione la conoscenza del periodo assiale, e quindi dell’Oriente che ancora ne conserva le tracce, almeno là dove la volontà di potenza occidentale non ha ancora realizzato compiutamente se stessa, “ci riguarda direttamente”, scrive Jaspers, in quanto:

L’Asia è il nostro indispensabile completamento, [...] perché ci indica possibilità umane che noi non abbiamo realizzato, e ci mette in contatto con l’origine genuina di un altro essere umano che non è il nostro, eppure è potenzialmente nostro e costituisce un’esistenza storica insostituibile.2

Trascurarlo significa sostituire la cura della verità con la cura del mondo affermato nel suo isolamento. L’evento determina una tipologia umana quale l’Occidente l’ha conosciuta, una tipologia dunque tra le molte possibili, non l’essenza dell’umano come l’Occidente, confortato dai propri successi, ha trionfalisticamente creduto fino ai tempi di Hegel, quando, scrive Jaspers:

I bagliori del tramonto del mondo europeo cominciavano ad annunciarsi.“È solo nel crepuscolo che la civetta di Minerva comincia il suo volo.” Così Hegel intendeva il proprio filosofare, ma nella coscienza del compimento, non ancora nella coscienza del declino. Intellettualmente la coscienza della crisi raggiunse lo zenit con Kierkegaard e Nietzsche. Da allora è andata diffondendosi la certezza che ci troviamo di fronte a una svolta della storia, alla conclusione della storia nel senso finora valido, a una radicale metamorfosi dell’essere umano.3

Eppure la consapevolezza della crisi dell’Occidente ci lascia senza risposta e senza soluzione, anche se l’indagine sul significato e il senso della storia, nonché le indicazioni che offre ci aiutano contro le scorciatoie del facile pseudo-sapere che svanisce con la stessa rapidità con cui si è affermato.

Contro la tendenza alla diffamazione pura e semplice della propria epoca che è così facile screditare, contro le dichiarazioni di totale fallimento che oggi suonano già piuttosto antiquate, contro la protesta di portare con sé il totalmente nuovo destinato a salvarci e contrapposto come superamento all’intera linea di sviluppo che da Platone conduce a Hegel e a Nietzsche, contro il pomposo gesto del no e l’affermazione del nulla, che ancora non esprimono una realtà vera e propria, il compito che ci attende, a parere di Jaspers, è quello di pensare e soprattutto di scoprire come gli eventi che compongono la storia dell’Occidente siano anch’essi ospitati dall’essere che, assentandosi, ha consentito il loro accadimento. In caso diverso il pensiero continuerebbe a esprimersi in maniera fittizia, nell’ingenua presunzione di combattere qualcosa che in realtà non ha ancora conosciuto.

1 K. Jaspers, Einführung in die Philosophie (1953); tr. it. Introduzione alla filosofia, Longanesi, Milano 1959, p. 126.

2 Id., Vom Ursprung und Ziel der Geschichte (1959); tr. it. Origine e senso della storia, Comunità, Milano 1965, p. 97.

3 Ivi, p. 294.

Il tramonto dell'Occidente. Nella lettura di Heidegger e Jaspers
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