103.
Memoria e tradizione
Ciò che in ogni momento cerchiamo di pensare, in qualsiasi modo lo vogliamo pensare, lo pensiamo sempre nell’ambito della tradizione. Essa è viva se libera la nostra riflessione proiettandola in un pensare che non ha nulla a che vedere col calcolare e il pianificare. Solo quando, pensosi, ci volgiamo al già pensato, allora diveniamo disponibili per ciò che ancora è da pensare.
M. HEIDEGGER, Identità e differenza (1957), Parte I, p. 15.
L’Occidente ha sempre posto la questione in termini di “prensione (greifen)” dando avvio e solidificando quel pensiero concettuale che, proprio nel cum-capere, nel be-greifen, dispiega la sua essenza e la sua intenzione.
Ma dell’essere non c’è prensione, ma solo memorazione, traccia, ricordo, nel senso specifico di ri-accordo della scintilla divina con la sua controparte celeste. In questo contesto, che la metafora gnostica ha illustrato con la sua profusione di immagini,1 pensare significa tra-passare, perciò, scrive Heidegger: “L’essere parla qui in forma transitiva, tra-passante (über-gehend)”.2
Tra-passare significa uscire da quel pensiero acquisitivo che, nel fondamento (Grund), cerca il principio per impadronirsi di tutte le cose che il fondamento fonda; significa de-stituire quell’im-posizione (Ge-stell)3 che, come l’heimarméne gnostica, vieta il tra-passo in quell’assenza di fondamento (Ab-grund) che è il “vagabondare di Dio”.4 Un Dio vagabondo è un Dio che, come l’essere heideggeriano, è estraneo a qualsiasi forma di fondazione. Esso, come scrive Heidegger, dispiega:
L’ambito in sé oscillante, attraverso il quale uomo ed essere si raggiungono l’un l’altro nella loro essenza, acquistano ciò che è loro essenziale, in quanto perdono le determinazioni che la metafisica ha loro attribuito.5
Si tratta delle de-terminazioni richieste dalla necessità dell’ordinamento totale, rese instabili dall’oscillazione prodotta nell’heimarméne dalla chiamata del messaggero: “Un primo lampeggiare dell’Ereignis,” scrive Heidegger, “lo vediamo nel Ge-stell”.6
L’Ereignis non è l’essere, ma quel ri-chiamarsi di uomo ed essere che consente all’uomo di ritrovare nell’heimarméne, nel Ge-stell, ciò che gli è proprio (eignen), quindi la sua autentica (eigentlich) natura, che non è quella di appartenere alla coercizione demonica, ma alla libertà divina. Si tratta di una libertà che è tanto più libera in quanto la divinità che la esprime non ha nulla di fondativo, di prensile, di rassicurante, perché il gioco è stato aperto proprio dal suo smarrimento, dalla perdita di sé.
Queste immagini fanno del Dio gnostico un Dio infondato, fanno di lui quell’abisso, quell’Ab-grund, che si fa sentire nel mondo ordinato dai demoni come urgenza di una dis-locazione, non verso una verità stabile, uguale, parmenidea, ma verso una verità che, come alé-theía, è imprevedibile (unabsehbar). Da qui, quello che Heidegger chiama:
Il salto (Sprung) che, dipartendosi dall’essere come fondamento (Grund) dell’ente, salta nell’abisso (Ab-grund). Tale abisso non è il vuoto nulla, né il buio caos, ma l’Er-eignis. Nell’Er-eignis vibra l’essenza di ciò che parla come linguaggio e che una volta fu chiamato la casa dell’essere.7
Dall’esilio alla casa, dalla vita straniera alla vita autentica nel senso di propria (eigentlich), dall’“abituale” all’“abitare” si perviene attraverso un ritorno che non è un passo dopo l’altro, ma un salto dal modo di pensare “fondativo”, com’è in uso nell’heimarméne e nel Ge-stell, a quel modo di pensare “abissale” che libera da ogni imposizione. Ma, scrive Heidegger:
Proprio perché questo ritorno richiede un salto esso ha bisogno del suo tempo, il tempo del pensare (Denken) che è un altro tempo rispetto a quello del calcolare (Rechnen) che da ogni parte oggi insidia il nostro pensare. Oggi la macchina elettronica calcola in un secondo migliaia di equazioni, eppure, nonostante la sua grande utilità è senz’essere (wesenlos). Ciò che in ogni momento cerchiamo di pensare, in qualsiasi modo lo vogliamo pensare, lo pensiamo sempre nell’ambito della tradizione. Essa è viva se libera la nostra riflessione proiettandola in un pensare che non ha nulla a che vedere col calcolare e il pianificare. Solo quando, pensosi, ci volgiamo al già pensato, allora diveniamo disponibili per ciò che ancora è da pensare.8
Abbiamo tradotto con “ambito della tradizione” l’espressione heideggeriana: Spielraum der Überlieferung che letteralmente può essere resa con “campo di gioco della trasmissione dei messaggi”. La tradizione, che, precisa Heidegger: “è altro dall’effimera presentificazione del passato”,9 è quel darsi-dono (Gabe) dell’essere, che ha un destino (Geschick) solo come invio (Schickung), come messaggio, come annuncio.
L’immaginazione gnostica parla del messaggero che, inviato, lancia messaggi nel “rumore del mondo”. Heidegger, nel descrivere il salto dal pensiero come calcolo (Rechnen) al pensiero come memoria (Andenken), parla dell’Andenken come del “raccogliersi dell’anima”, come “permanente raccogliersi presso ciò che a ogni sentire (Sinnen) si rivolge”.10
Questo rivolgersi è il ringraziamento (Danken) che il pensiero memorativo (An-denken) porge al messaggio che lo chiama a quel congedo (Verabschieden), che è “dar l’addio a ciò che ha fatto il proprio tempo”, “che è passato secondo la sua misura”, “che si è compiuto”.11 Congedo dell’im-posizione (Ge-stell), per il campo di gioco della trasmissione dei messaggi (Überlieferung).
In questo campo di gioco della Überlieferung, della trasmissione dei messaggi, si inserisce il nostro accostamento di Heidegger e la gnosi, che non ha nulla di propositivo e tanto meno di impositivo. Questo accostamento vuol essere solo un esempio di quell’altro modo di pensare che, a differenza di quello occidentale, non è “prensile”, non è “concettuale”, non afferra (cum-capere, be-greifen) le cose come prodotti, come oggetti staccati dall’anima e formatisi indipendentemente da lei, perché così il passato diventa irrimediabilmente passato, e le mitologie che l’hanno percorso linguaggi definitivamente morti e comunque inaccessibili a quella sotterranea parentela delle parole che accosta il pensare (Denken) alla memoria (Gedächtnis) e la memoria al ringraziamento (Dank). Scrive infatti Heidegger:
Che cosa viene nominato con la parola “pensare”, “pensato”, “pensiero”? A quale spazio di gioco queste parole fanno riferimento? Il pensato (Gedachtes) dov’è, dove risiede? Esso ha bisogno della memoria (Gedächtnis). Al pensato e ai suoi pensieri (Gedanken), al Gedanc, appartiene il ringraziamento (Dank). [...] Gedanc dice la stessa cosa che animo (Gemüt), mout, cuore (Herz). Il pensiero, nel senso della parola inizialmente parlante, il Gedanc, è quasi più originario di quel pensiero del cuore che Pascal, alcuni secoli fa e già in opposizione al pensiero matematico, cercava di riconquistare.12
Incuranti dell’insegnamento di Heidegger secondo cui: “siamo quel che siamo solo in quanto abitiamo nella vicinanza della morte”,13 non si considera che la vita e la morte sono attributi dell’anima e non delle cose presenti e passate, perciò non ci si cura di comprendere che cosa, una volta, rese questo passato possibile.
La comprensione di questa possibilità è forse la comprensione dell’avvenire, perché se il linguaggio letterale del passato è ormai insignificante per il nostro intelletto, la situazione che un tempo l’ha reso possibile può avere ancora qualcosa in comune con le condizioni della nostra anima (Gemüt).
Come già il Platone della tradizione orfica e della divina follia,14 anche Heidegger coglie, infatti, la stretta relazione che esiste tra memoria (Andenken) e anima (Gemüt):
Inizialmente memoria significa anima e il raccolto rimaner presso (Andacht). Ma queste parole parlano qui nel modo più ampio e più essenziale. Anima non indica solo, per parlare in termini moderni, l’aspetto emotivo della coscienza umana, ma ciò che fa dell’essenza umana quell’essenza che è.15
Così precisata la nozione di anima, e opportunamente distinta da quell’“accezione biologica che riguarda la vita animale e vegetale, subordinata al carattere razionale e personale dell’uomo, quel carattere che determina la sua vita spirituale”,16 Heidegger prosegue dicendo che questa parola “può essere tradotta in tedesco anche con Seele”17 e, quasi traducendo alla lettera l’immagine gnostica della “scintilla divina” conclude che:
Nel senso in cui noi la intendiamo, Seele non indica il principio della vita, ma ciò che fa l’essenza dello spirito, lo spirito dello spirito, la scintilla dell’anima (Seelenfünklein).18
Così intesa, l’anima è ciò “che rende visibile il fondo su cui poggia l’essenza della memoria” e “la memoria, nel senso dell’anima e del cuore, appartiene alla dotazione essenziale dell’uomo”.19 Essa è “il raccoglimento del pensiero che si rivolge (die Versammlung des Andenkens). Ma, avverte Heidegger:
Il raccoglimento del pensiero che si ri-volge
(an-denkt) non si fonda su una
capacità dell’uomo, magari sul ricordare (erinnern) oil ritenere (behalten). Ogni pensiero che si rivolge a ciò che
è memorabile abita già esso stesso in quel raccoglimento grazie al
quale tutto ciò che resta da pensare è protetto e nascosto. Ciò che
protegge e nasconde ha la sua essenza nel pre-servare (Be-wahren), nel con-servare (Ver-wahren), propriamente in ciò che serba. La
riserva (die Wahr), ciò che serba (das
Wahrende) significano inizialmente custodia (Hut), ciò che tiene in custodia (das Hütende).
La memoria, nel senso del pensiero umano che si ri-volge abita in
ciò che conserva tutto ciò che va pensato. Questo noi lo chiamiamo
il conservare (Verwahrnis). Esso
nasconde e protegge ciò che ci è dato da pensare. Soltanto il
conservare porta in dono ciò che va considerato (das zu-Bedenkende), il più considerevole
(das Bedenklichste). Tuttavia il
conservare non è qualcosa che sta accanto o al di fuori del più
considerevole. È esso stesso la cosa più considerevole, il modo in
cui il più considerevole si dà, dà cioè se stesso, che
ininterrottamente dà da pensare. La memoria poggia, in quanto
pensiero umano che si ri-volge a ciò che va pensato, sul conservare
il più considerevole. Il conservare è il fondo essenziale della
memoria.20
Rispetto a questa memoria, osserva Heidegger:
La storia del pensiero occidentale non comincia pensando il più considerevole, ma comincia lasciandolo nella dimenticanza. Il pensiero occidentale comincia quindi con una negligenza, se non addirittura con una sconfitta.21
A partire da questa sconfitta, siamo in grado di comprendere il senso profondo della Überlieferung heideggeriana, della tradizione come campo di gioco della trasmissione dei messaggi, dove l’Andenken è sì ri-cordo, ma come ri-accordo, non con la lettera o con le immagini del passato, ma con le condizioni che, ora come allora, consentono all’anima umana di prodursi in certe parole, sì da potersi descrivere in esse e quindi di dirsi.
Non è infatti di Aristotele, l’ordinatore della logica dell’Occidente, l’affermazione: “L’anima non pensa mai senza immagini”?22 Queste immagini non vanno decifrate, interpretate, analizzate, alla ricerca di un significato latente o nascosto, perché in esse l’anima non si nasconde, ma si esprime, narra di sé. Non ci si libera da queste immagini se non liberandole, ma nel liberarle si dona loro dell’avvenire. In questo “avvenire” è il loro “significare”.
1 Cfr. il capitolo 102: “L’antica metafora”.
2 M. Heidegger, Identität und Differenz (1957); tr. it. Identità e differenza, Parte II: “La concezione onto-teo-logica della metafisica”, in “Teoresi”, 1967, p. 229.
3 Cfr. il capitolo 102: “L’antica metafora”, § 1: “Il simbolo cosmo-logico”.
4 Platone, Cratilo, 421 b: “Pare verosimile che con la locuzione alétheia sia stato chiamato il divino movimento (theía phorá) dell’essere, come se fosse un errante vagabondare divino (theía ále)”.
5 M. Heidegger, Identità e differenza, cit., Parte I: “Il principio d’identità”, in “Teoresi”, 1966, p. 15.
6 Ivi, p. 18.
7 Ivi, pp. 20-21.
8 Ivi, p. 22.
9 M. Heidegger, Was heisst Denken? (1951-1952, 1954) (corso universitario); tr. it. Che cosa significa pensare?, Sugarco, Milano 1971, vol. II, Dalla IV Lezione alla V, p. 130.
10 Ivi, Lezione III, pp. 28-29.
11 Ivi, Dalla IV Lezione alla V, pp. 128-129.
12 Ivi, Lezione III, pp. 27-28. Heidegger, nel passaggio dalla III Lezione alla IV, p. 126, ci informa che: “La parola Gedanc appartiene all’antico alto tedesco. [...] Gedanc significa: l’animo, il cuore, il fondo del cuore, quell’interiorità dell’uomo che si estende il più possibile all’esterno, e questo in modo così decisivo che toglie, se considerato seriamente, la possibilità di ogni rappresentazione di un interno e di un esterno. [...] Il Gedanc, il fondo del cuore, è il raccoglimento di tutto ciò che ci tocca, che ci riguarda, che ci interessa, noi nella misura in cui siamo umani”.
13 M. Heidegger, Der Satz vom Grund (1957); tr. it. Il principio di ragione, Adelphi, Milano 1991, p. 191.
14 Si veda a questo proposito U. Galimberti, La terra senza il male. Jung: dall’inconscio al simbolo (1984), Feltrinelli, Milano 2001, capitolo 13: “La divina follia”.
15 M. Heidegger, Che cosa significa pensare?, cit., vol. II, Lezione IV, p. 33.
16 Ibidem.
17 Ivi, p. 34.
18 Ibidem.
19 Ivi, p. 35.
20 Ivi, pp. 35-36.
21 Ivi, p. 37.
22 Aristotele, Sull’anima, Libro III, 431 a, 17.