81.
La funzione simbolica della cifra e la trascendenza immanente
L’essere della trascendenza non si presenta all’esistenza in se stesso, ma in cifra, e non come un oggetto, ma, per così dire, traguardando trasversalmente ogni dimensione oggettiva. La trascendenza immanente, infatti, è immanenza che subito si dilegua, ed è trascendenza che, nella realtà empirica, si fa linguaggio come cifra.
K. JASPERS, Filosofia, Libro III: Metafisica, p. 1077.
La tematica della cifra (Chiffre), o se si preferisce del simbolo (Symbol), coincide in Jaspers con la tematica della “trascendenza immanente (immanente Transzendenz)”. Come cifra, ogni cosa parla di sé e, in questo suo significarsi, parla di un assoluto che l’abita e la trascende. Questo assoluto, partecipandosi nella cifra, illumina, da un punto e da un tempo, l’intera realtà.
Il senso della trascendenza immanente, questa concezione dell’essere tanto contraddittoria per la metafisica tradizionale, che procede secondo la logica dell’intelletto e non conosce altra alternativa se non quella del dualismo metafisico o del monismo panteista, si lascia intendere solo recuperando, nella cifra, l’antico significato di sýmbolon, riscattandolo dall’usura del linguaggio che abitualmente lo impiega o nell’equazione simbolo-convenzione o in quella simbolo-arbitrio.1
Originariamente sýmbolon era quella tessera ospitale, quel coccio di pietra che, spezzato, testimoniava il legame tra due persone, due famiglie in procinto di separarsi. Ognuno portava con sé il segno di una comunione, di un patto amichevole che la distanza non poteva annullare. Se poi accadeva di ricongiungersi, allora si procedeva alla ricomposizione delle due metà, e l’unità così ottenuta attestava, dopo l’assenza, un’intimità ininterrotta, un legame che non era stato spezzato.
Il significato del termine successivamente si evolse, ma non smarrì il suo senso originario. Nel Simposio di Platone ritroviamo la parola per designare il carattere proprio dell’amore che è simbolo di quell’unità che lega gli uomini, in quanto provenienti da una stessa origine e in quanto alla ricerca, con il consenso pietoso degli dèi, di quell’unità, che proprio a causa degli dèi, è stata spezzata. Per questo, scrive Platone:
Ciascuno di noi è il simbolo di un uomo (hékastos oûn emôn estin anthrópou sýmbolon), la metà che cerca l’altra metà, il simbolo corrispondente.2
Non diversamente Jaspers parla dell’amore come di ciò che collega (das Verbindende) dalla divisione e, nell’unità raggiunta, dischiude all’essere (Seinsoffenheit). Scrive infatti:
L’amore è ciò che dalla divisione degli enti giunge a quell’uno che è apertura all’essere. Come tale l’amore è simbolo.3
Cifra, simbolo sono dunque espressioni che dicono unità da remote distanze, tensione verso un’origine (Ursprung) che si presenta ritraendosi, perché, scrive Jaspers:
Nei confronti della nostra volontà di sapere, che pretende di afferrare l’essere all’origine (am Ursprung), l’essere si comporta come ciò che indietreggia (zurückweicht) e che lascia nella forma degli oggetti che ci stanno dinnanzi dei semplici resti (Reste) e delle tracce (Spuren).4
In questi resti, in queste tracce, custodite dalla funzione simbolica della cifra, si raccoglie l’annuncio che l’essere fa di sé all’uomo, che si de-situa dalla mera oggettività, per sporgere, come esistenza, oltre la presenza che rinvia. In questo contesto, scrive Jaspers:
Chiamo cifra l’oggettività metafisica, che in sé non è la trascendenza, ma il suo linguaggio. In questo linguaggio la coscienza in generale non coglie né avverte alcuna trascendenza, perché il genere di linguaggio della trascendenza e il modo in cui rivolge la parola sono significanti solo per l’esistenza possibile.5
Ponendosi tra esistenza e trascendenza: “Chiffre ist zwischen Existenz und Transzendenz”,6 la cifra è simbolo di una distanza. Non della distanza che intercorre tra l’oggetto e la sua replica o specularità simbolica, ma della distanza che intercorre tra l’essere e ciò che dell’essere la trascendenza porta in presenza: “Die Chiffre ist das Sein, das Transzendenz zur Gegenwart bringt”.7 Qui la funzione simbolica della cifra non esprime una somiglianza di rapporti come nel caso dell’allegoria, ma esprime un rapporto reale ed effettivo tra la presenza e l’assenza, tra ciò che l’essere è, e ciò che l’essere lascia nella presenza come sua traccia. Siamo dunque al “simbolo” platonico che, in un punto, lascia trasparire l’unità dell’essere.
Questa distanza e questa intimità nella distanza sono accessibili all’uomo non come coscienza in generale, che si trattiene esclusivamente tra gli oggetti, dal cui rapporto costruisce sensi e significati, ma all’uomo che, come e-sistenza, si desitua dall’oggettività per protendersi in quella distanza che, ricoperta dalla mediazione simbolica, delinea un nuovo senso del mondo. Un senso che non è più fisico come quello raggiunto dalla coscienza in generale (Bewusstsein überhaupt), ma meta-fisico, di cui è capace solo la coscienza assoluta (absolute Bewusstsein oder Bewusstsein des Seins). Questa, infatti, come si è visto, abbraccia (um-greift) assenza e presenza e quindi, dalla distanza, compone (sym-bállein) vicinanze e intimità.
Ma la cifra è un dono dell’essere (ein Geschenk aus dem Ursprung des Seins), non una creazione progettata della coscienza (nicht durch Plan hervorzubringen).8 Anzi la coscienza nasce come coscienza assoluta, e quindi come con-scienza di una presenza e di una assenza, perché l’essere nel presentarsi indietreggia, nell’annunciarsi si ritrae, perché è trascendenza immanente.
Se fosse pura trascendenza, o pura immanenza, come nel caso del dualismo metafisico o del monismo panteista, non si darebbe altra coscienza che quella in generale che sa tutto dell’immanenza e nulla della trascendenza; non si darebbe cifra come presenza che rinvia a un’assenza, come linguaggio di un’ulteriorità, di un “al di là” che si annuncia nell’“al di qua”. Quindi, dal punto di vista della coscienza simbolica, che sola consente di oltrepassare l’immediatezza della semplice presenza, scrive Jaspers:
L’al di là come puro al di là (das jenseits als jenseits), come realtà totalmente altra, è un’illusione, e come tale deve cadere.9
La cifra, infatti, non appartiene all’“al di qua” o all’“al di là”, al campo dell’“immanenza” o a quello della “trascendenza”; il suo valore consiste proprio nel fatto che queste opposizioni, derivate da una teoria metafisica di carattere dualistico, vengono superate. Essa non è l’uno o l’altro, ma rappresenta “l’uno nell’altro” e “l’altro nell’uno”, come il simbolo platonico che, in un punto, raccoglie i distanti, unifica i differenti senza annullare la differenza. Ne segue, scrive Jaspers, che:
Dopo che la trascendenza e l’immanenza sono state pensate come assolutamente distinte l’una dall’altra, è necessario pensarle dialetticamente nella cifra come trascendenza immanente, se non si vuole che la trascendenza vada perduta.10
Nella cifra c’è prossimità e distanza (Nähe und Ferne), c’è unità che non annulla la differenza (Einheit ohne Identität).11 La cifra custodisce dunque la differenza ontologica per cui l’ente (la realtà empirica) non è l’essere, anche se nell’ente l’essere si annuncia e, come trascendenza immanente, si partecipa e si trascende, cioè lascia sussistere in sé ogni realtà e insieme la rende espressiva della sua presenza ulteriore, che è poi la sua assenza.
Per questo la cifra è sempre nella parte ma annuncia il tutto, afferma l’unità ma custodisce la differenza. Questa duplicità del carattere simbolico della cifra va gelosamente mantenuta. Spezzarla, nel senso della differenza, equivarrebbe a ritornare a quelle espressioni ontologiche superate dalla riflessione periecontologica12; spezzarla nel senso dell’identità significherebbe cadere nel fraintendimento magico che nasce in occasione della solidificazione (starrwerden) della cifra.13
Per evitare queste deviazioni, che risolvono la realtà nell’assoluta trascendenza o nella piatta immanenza, bisogna mantenere il carattere simbolico della cifra, che consente di “traguardare (quer zu sehen)” l’identità nella differenza. Infatti, diversamente di quanto accade nell’allegoria che parla d’altro (állos agoreúo), nella cifra il senso simbolico è costituito nel e dal senso letterale. Per questo Jaspers può dire:
Nella scrittura cifrata è impossibile separare il simbolo da ciò che è simboleggiato. La scrittura cifrata rende presente la trascendenza, ma non si lascia interpretare. Se tentassi di interpretarla dovrei tornare a separare ciò che sussiste solo nell’unione reciproca e finire col confrontare la scrittura con la trascendenza, la quale si limita a manifestarsi in essa, senza peraltro identificarvisi. Un simile procedimento deformerebbe la lettura della scrittura cifrata, traducendola in una comprensione di rapporti simbolici puramente immanente. Nonostante l’esigenza di chiarezza della coscienza, la lettura della scrittura cifrata esige che si permanga in un simbolismo inconscio (unbewusste Symbolik) che, come simbolismo, sfugge a ogni tentativo di conoscenza. La scrittura cifrata non è il simbolismo cosciente (bewusste Symbolik) che possiede le cose nel loro reciproco rapporto e che si esprime nelle forme del sogno, della metafora, del paragone, della rappresentazione e del modello. Mentre, infatti, il simbolismo cosciente raggiunge la sua chiarezza proprio e solo nell’interpretazione, il simbolismo inconscio della scrittura cifrata non ne è neppure sfiorato, perché qualsiasi tentativo di interpretazione non sarebbe in grado di comprendere la vera natura della scrittura cifrata, ma finirebbe per snaturarla e distruggerla fino a ridurla a mero simbolismo. Non si può chiarire la scrittura cifrata come si fa con il simbolo cosciente, il cui significato si riferisce a qualcosa che, in qualche luogo, sussiste e può esser mostrato, perché la scrittura cifrata sussiste come si presenta in se stessa, e non come è chiarita tramite altro.14
Ma proprio in se stessa la scrittura cifrata si presenta come un rinvio, non dal simbolo al simboleggiato, dal senso simbolico a quello letterale, ma dal senso presente a un’ulteriore partecipazione di senso. Per questo non si può dire che nella cifra va perduta la differenza fra trascendenza e immanenza. La distinzione non è smarrita perché l’unità, che in ogni cifra è manifestata, è a un tempo rinvio e assenza; assenza del senso assoluto, dell’essere incondizionato, che la cifra esprime e insieme richiama, manifesta e insieme nasconde. Infatti, scrive Jaspers:
Nel simbolo essere e apparire si trovano indivisi. [...] Il significato dei simboli è la presenza dell’essere che nel simbolo si nasconde e a un tempo si rivela (zugleich verschleiert und offenbart).15
Se dunque la cifra, mentre identifica, mantiene la differenza, possiamo capire perché, secondo Jaspers, in tanto può darsi una coscienza simbolica in quanto l’uomo è costituito nella differenza, in quanto è originariamente definito, come e-sistenza, nella trascendenza dell’essere. La controprova di questo asserto Jaspers la trova nel pensiero moderno, al culmine della parabola hegeliana, dove tra finito e infinito non si dà differenza, per cui la libertà dello Spirito non può liberarsi se non nella perfetta adeguazione ai singoli contenuti. Il suo futuro è la sua morte, il suo compimento è l’ultimo passo della filosofia, perché la coincidenza di finito e infinito è totale, e quindi la trascendenza è irrimediabilmente risolta nell’immanenza. Per questo scrive Jaspers:
Mentre l’idealista, per quanto si liberi nell’alterità, rimane sempre presso di sé, e per quanto eserciti la presunta libertà assoluta di cui parla la filosofia di Hegel, giunge alla fine a un’esistenziale assenza di terreno, l’uomo che comprende i simboli si imbatte in essi nella pienezza della realtà. Il loro significato, infatti, è il reale stesso. Ciò che importa a questo punto è come io sperimento il reale.16
Se nell’apertura del pensiero all’essere sperimento il reale come perfetta identità di essere ed ente, allora non esiste alcuna possibilità per il costituirsi di una coscienza simbolica. Se invece il pensiero si afferma come pensiero dell’essere, ma nella sua differenza dall’ente, allora l’immanenza dischiude la trascendenza e, con la trascendenza, l’esistenza e la coscienza simbolica. Infatti, scrive Jaspers:
Realtà empirica e realtà simbolica sono due aspetti dell’unico mondo che si rivela o alla coscienza in generale o all’esistenza possibile.17
Ciò significa che la dimensione del simbolo viene a precisarsi come la stessa dimensione dell’esser-se-stesso (Selbstsein), per cui nella lettura della cifra si è ben lontani dal percepire un essere indipendentemente da se stessi, perché questa lettura è possibile solo mediante la decisione dell’esistenza, che non si accontenta del dato, ma accoglie il rinvio. Per questo, scrive Jaspers:
Nel leggere la cifra sono responsabile (verantwortlich), perché la lettura avviene unicamente attraverso il mio esser-me-stesso, la cui possibilità e veridicità mi si rivelano nel modo di eseguire la lettura. Anche la verifica non avviene con altro criterio che non sia il mio me-stesso che si riconosce nella trascendenza della cifra.18
Tale momento etico di responsabilità si risolve sullo sfondo periecontologico-esistenziale, per cui nell’identità non si tralascia la differenza, nella presenza non si annulla il rinvio a quella assenza, in cui il senso ultimo della presenza è custodito. In questa duplicità di presenza e assenza ritroviamo espresso il senso ultimo della cifra, che è poi quello originario del simbolo platonico, quale testimonianza di una appartenenza che è insieme tensione verso una distanza non totalmente percorribile. E questo perché, scrive Jaspers:
Noi non viviamo immediatamente nell’essere (Sein), perciò la verità non è il nostro possesso definitivo, noi viviamo nell’essere temporale (Zeitdasein), perciò la verità è la nostra via.19
Come essere temporale l’uomo non può superare la singolarità del suo atto coscienziale, la sua determinazione nel tempo, la sua situazione prospettica. Può tematizzare l’assoluto, ma sempre a partire dalla determinazione situazionale, dal proprio esser qui e non là, ora e non allora. Questo fatto intrascendibile non consente all’uomo di pareggiare l’incommensurabilità dell’essere, di estinguere totalmente la negatività connessa alla non esaustività della propria individuazione prospettica, per cui, scrive Jaspers:
L’essere della trascendenza non si presenta all’esistenza in se stesso, ma in cifra, e non come un oggetto, ma, per così dire, traguardando trasversalmente ogni dimensione oggettiva (quer zu aller Gegenständlichkeit).20
Se dunque l’uomo non può uscire dalla propria puntuale prospettiva e non può pensare né parlare se non oggettivando, potrà scorgere l’assoluto, che è irriducibile a ogni prospettiva e a ogni oggettivazione, solo “traguardando”, solo “obliquamente (quer)”, solo “attraverso”. E ciò è dovuto, scrive Jaspers, al fatto che:
Noi possiamo parlare solo in oggettività. Un parlare non oggettivo, un pensare non oggettivo non esistono. Ma nell’oggettivo e nel soggettivo riecheggia qualcosa di sovraoggettivo e di sovrasoggettivo.21
La voce che riecheggia è quella della trascendenza immanente, a proposito della quale, scrive Jaspers:
La trascendenza immanente è immanenza che subito si dilegua, ed è trascendenza che, nella realtà empirica, si fa linguaggio come cifra.22
Con la cifra l’oggettività non si risolve in una sorta di esperienza mistica, perché l’oggettività resta il piano in cui la non-oggettività dell’assoluto si annuncia. Infatti, scrive Jaspers:
Il simbolo metafisico è l’oggettivazione di ciò che in sé non è oggettivo (Das metaphysische Symbol ist das Gegenständlichwerden eines an sich Ungegenständlichen). L’inoggettivo non si offre da sé, e l’oggettività del simbolo non è pensata come quell’oggetto che è. Il simbolo non è interpretabile, esso rinvia a sua volta a un altro simbolo. Comprendere un simbolo non significa conoscerne razionalmente il significato, poterlo tradurre, ma significa poter sperimentare con la propria esistenza, nell’intuizione del simbolo, quell’incomparabile rapporto al trascendere che si avverte, al limite, nel dissolvimento dell’oggetto.23
Se il non oggettivo, che si annuncia nell’oggettività, non si lascia comprendere (begreifen) dalle categorie dell’oggettività, perché è onnicomprensivo (Umgreifende), allora Jaspers può dire che: “La cifra che lo annuncia non si comprende, ma nella cifra ci si sprofonda”.24
Lo sprofondare (das Versenken) nella cifra jaspersiana richiama l’esser gettati (bállein) in quell’unità che, nel simbolo, è data e sottratta, è presente e assente, in parte raggiunta ma solo come progetto, come direzione, come via. Lungo la via ci si può arrestare. Non assecondando il rinvio, si possono costruire dei sensi accoglienti che riducono la tensione e acquietano l’uomo in quegli interessi che l’immanenza non manca di offrire, quando riesce a mettere a tacere la voce dell’essere e a solidificare la coscienza simbolica nel sistema, nel dogma, nel dettato ipnotico che, ripetendo se stesso, si autovalida e si spaccia per comune verità. Allora è il momento di desituarsi, di recuperare, con la coscienza simbolica, quell’assenza e quella tensione che sono le condizioni del progettare, dell’essere per via, quindi dell’e-sistenza che, pur essendo sempre situata in un esser-ci (Da-sein), non accetta di essere definitivamente conclusa nel suo “ci”.
1 Per un approfondimento di questa tematica si veda U. Galimberti, La terra senza il male. Jung: dall’inconscio al simbolo (1984), Feltrinelli, Milano 2001, e in particolare il capitolo 3: “L’ambivalenza simbolica”, e il capitolo 4: “Il gioco dei segni e il conflitto dei simboli”.
2 Platone, Simposio, 191 d.
3 K. Jaspers, Von der Wahrheit, Piper, München 1947, p. 991.
4 Ivi, p. 37.
5 K. Jaspers, Philosophie (1932-1955): III Metaphysik; tr. it. Filosofia, Libro III: Metafisica, Utet, Torino 1978, p. 1069.
6 Ivi, p. 1077.
7 Ibidem.
8 Ivi, p. 1078.
9 Ivi, p. 944.
10 Ivi, pp. 1077-1078.
11 Ivi, pp. 1078-1079.
12 Cfr. il capitolo 34: “Necessità del naufragio di ogni ontologia. Ontologia e periecontologia”.
13 A proposito della solidificazione della cifra si veda il capitolo 83: “La solidificazione della cifra e lo smarrimento della coscienza simbolica”.
14 K. Jaspers, Filosofia, Libro III: Metafisica, cit., pp. 1081-1082.
15 Id., Von der Wahrheit, cit., p. 1041.
16 Ibidem.
17 K. Jaspers, Filosofia, Libro III: Metafisica, cit., p. 951.
18 Ivi, p. 1092.
19 K. Jaspers, Von der Wahrheit, cit., p. 1.
20 Id., Filosofia, Libro III: Metafisica, cit., p. 1077.
21 Id., Der philosophische Glaube angesichts der Offenbarung (1962); tr. it. La fede filosofica di fronte alla rivelazione, Longanesi, Milano 1970, p. 148.
22 Id., Filosofia, Libro III: Metafisica, cit., p. 1077.
23 Ivi, pp. 950-951.
24 Ivi, p. 951.