27.
L’etica dei valori come misconoscimento dell’essere
I valori non “sono”, semplicemente “valgono”. E valgono perché sono fatti valere.
M. HEIDEGGER, La sentenza di Nietzsche “Dio è morto” (1943), p. 209.
Prima di Platone non si conoscevano né valori né etica, perché il vero valore era il soggiornare (êthos) dell’essere nell’ente. Ce lo ricorda Heidegger nel suo commento al fr. B 119 di Eraclito:
Il detto di Eraclito suona: Êthos anthrópoi daímon. In genere si è soliti tradurre: “Il carattere proprio è per l’uomo il suo demone”. Questa traduzione pensa in modo moderno e non greco. Êthos significa soggiorno (Aufenthalt), luogo dell’abitare. La parola nomina la regione aperta dove abita l’uomo. L’apertura del suo soggiorno lascia apparire ciò che viene incontro all’essenza dell’uomo, e così avvenendo soggiorna nella sua vicinanza. Il soggiorno dell’uomo contiene e custodisce l’avvento di ciò che appartiene all’uomo nella sua essenza.1
Il “valore” si annuncia in Platone proprio in occasione della dimenticanza dell’essere. Assente l’essere, per reggere l’universo ontico occorre far valere un ente, che, per effetto di questa valutazione, diventa il Super-ente. La sua pretesa è di valere incondizionatamente, cioè di essere per virtù propria e non per l’essere, sicché dell’essere ne è nulla. Se l’essere è ni-ente (nichilismo), il valore è alla base di ogni ente. Di qui l’importanza di Nietzsche, il cui merito è di aver colto l’inconsistenza di tutte le gerarchie di valori, all’interno delle quali l’Occidente, a partire da Platone, si era assestato.
L’inconsistenza dei valori risiede nel fatto che a porli non è l’essere, ma l’uomo che, proprio in occasione dell’assentarsi dell’essere, va alla ricerca di quell’ente capace di far essere la totalità degli enti. Per effetto di questa valutazione, operata dall’uomo, nasce il mondo sovrasensibile (iperuranio) con al vertice il Super-ente (tò Agathón) che ha potenza su tutti gli enti.
Ma la valutazione è l’esito di una soggettivazione. Platone, facendo dell’essere l’Ente sommo che vale al di sopra di ogni altro ente, ritiene di conferirgli dignità, mentre lo riduce a mero oggetto di una valutazione soggettiva senza fondamento. Infatti, nell’oblio dell’essere, in virtù di che cosa vale l’Ente sommo? In questo senso, scrive Heidegger, è possibile dire:
Il colpo più duro contro Dio non consiste nel ritenerlo inconoscibile, nel provare l’indimostrabilità della sua esistenza, ma nell’innalzarlo a supremo valore.2
In assenza dell’essere, infatti, l’unico fondamento possibile per una gerarchia di valori è la valutazione della soggettività umana, che non lascia “essere” l’essere, ma lo lascia semplicemente “valere” come oggetto della sua attività soggettiva, sicché al centro non è Dio, ma l’uomo e la sua valutazione. Ciò è dovuto al fatto, ci ricorda Heidegger, che:
Ogni valutazione, anche quando è una valutazione positiva, è sempre una soggettivazione. Essa non lascia essere l’ente, ma lo fa valere solo come oggetto del proprio fare. Lo strano sforzo di dimostrare l’oggettività dei valori non sa quel che fa. Proclamare per sovrappiù “Dio” come il “valore più alto” significa degradare l’essenza di Dio. Pensare per valori, qui e altrove, è la più grande bestemmia che si possa pensare contro l’essere. Pensare contro i valori non vuol dire perciò sbandierare l’assenza di valori e la nientità dell’ente, ma portare la radura della verità dell’essere davanti al pensiero, contro la soggettivazione dell’ente ridotto a mero oggetto.3
La degradazione dell’essere a valore non è originaria, ma derivata dalla precedente degradazione gnoseologica dell’essere a oggetto di rappresentazione. Se infatti il valore è il frutto di una soggettività che valuta, se è l’angolo di visuale di un vedere, ebbene “rappresentazione”, “valutazione”, “punto di vista” rinviano a quell’eîdos o idea platonica che, successivamente trasformata in perceptio e quindi in appetitus della perceptio (Leibniz),4 farà dell’essere quel campo di rappresentazioni in cui l’uomo esplica i suoi progetti di dominio.
Rappresentate come modello, le idee platoniche si collocano più in alto di ciò che semplicemente è, e che alle idee-modello deve adeguarsi. Il dover-essere supera l’essere. Se l’essere è ousía, il dover-essere sarà, come dice Platone: epékeina tês ousías,5 e così l’essere trova fuori di sé, anzi al di sopra di sé, ciò che stabilisce come deve essere.
Non più misurato dall’essere, l’ente viene misurato dal valore che decreta come deve essere. I valori divengono altrettanti scopi che l’uomo come soggetto deve conseguire, se non addirittura oggetti che la perceptio, nel proporli all’appetitus, impone di raggiungere e conquistare. A questo punto, scrive Heidegger:
Il valore diventa l’oggettivazione degli scopi assegnati dai bisogni dell’auto-installazione rappresentativa nel mondo divenuto immagine.6
In questo spazio si collocano la scienza e la tecnica in quanto metodologie per il conseguimento degli scopi assegnati dai bisogni. Il loro rifiuto di ogni dimensione finalistica è più apparente che reale, il loro appello alla ratio pura non tiene conto che questa consolida se stessa e la propria supremazia attraverso l’idea di valore. La ratio, infatti, è misura di tutte le cose e fonte di doveri solo in quanto è riconosciuta come ciò che ha valore in se stessa.7
Non a caso Kant, il più grande difensore della ragione scientifica, dopo aver ridotto l’essere a natura, e la natura a ciò che può essere oggetto della scienza, in quanto “determinabile e determinato dal pensiero fisico-matematico”, pone, come ugualmente determinato dalla ragione, il dover-essere dell’imperativo categorico.8 Sull’opposizione fra essere e dover-essere si fonda l’intera Dottrina della scienza di Fichte,9 e in genere tutto il pensiero scientifico del secolo XIX, che, nella sua cura apparentemente esclusiva per la scienza, non tralascerà di cercare una compensazione nei valori. Anzi, nel tentativo di liberare questi ultimi dall’antinomia con l’essere, dirà che i valori non “sono”, ma “valgono”.
Ma come possono i valori valere lontani dall’essere? O l’essere non è perché deve essere come il valore dice o i valori non sono perché supposti al di sopra dell’essere. Dall’antinomia non si esce, perché il valore non è un evento dell’essere, ma un fatto puramente estimativo che ha il suo fondamento nella soggettività, per cui ciò che viene valorizzato viene in effetti abbassato al rango di un’umana valutazione soggettiva. Bisogna quindi eliminare i valori per riportarsi alla luce dell’essere. Questa sarà, per un tratto, la direzione seguita da Nietzsche che tuttavia, scrive Heidegger:
Per essere rimasto irretito nella confusione del concetto di valore, e per non aver compreso la problematica dell’origine di questo concetto, Nietzsche non ha raggiunto il vero centro della filosofia. Ma anche se per l’avvenire qualcuno dovesse raggiungerlo – noi uomini d’oggi non possiamo che prepararne il terreno – non potrà fare a meno di irretirsi in una confusione, sia pure in una confusione diversa. Nessuno può saltare oltre la propria ombra.10
1 M. Heidegger, Brief über den “Humanismus” (1946); tr. it. Lettera sull’“umanismo”, in Segnavia, Adelphi, Milano 1987, p. 306.
2 Id., Nietzsche Wort “Gott ist tot” (1943); tr. it. La sentenza di Nietzsche “Dio è morto”, in Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1968, pp. 238-239.
3 Id., Lettera sull’“umanismo”, cit., p. 301.
4 G.W. Leibniz, Nouveaux essais sur l’entendement humain (1705); tr. it. Nuovi saggi sull’intelletto umano, in Scritti filosofici, Utet, Torino 2000, vol. II.
5 Platone, Repubblica, Libro VI, 509 b.
6 M. Heidegger, Zusätze (1950) zu Die Zeit des Weltbildes (1938), Klostermann, Frankfurt am Main, 1950, Zusatz 6, p. 94.
7 Cfr. Parte XI: “La prepotenza della ragione e l’alienazione”.
8 I. Kant, Kritik der praktischen Vernunft (1788); tr. it. Critica della ragion pratica, Laterza, Bari 1955.
9 J.G. Fichte, Über den Begriff der Wissenschaftslehre oder der sogenannten Philosophie (1794); tr. it. Dottrina della scienza, Laterza, Bari 1993.
10 M. Heidegger, Einführung in die Metaphysik (1935-1953); tr. it. Introduzione alla metafisica, Mursia, Milano 1968, p. 204. Per quanto concerne la posizione di Nietzsche nei confronti dei valori si veda il capitolo 70: “La volontà di potenza e la svalutazione di tutti i valori”.