84.
La fede come contraddizione e l’assunzione del rischio
La fede è contraddizione, da cui non si esce prendendo in esame le diverse alternative logiche, ma attraverso una decisione [...] che sia capace di prendere su di sé la contraddizione possibile o reale, perché grosso modo sa distinguere tra la contraddizione rovinosa e la contraddizione salvifica, vale a dire: tra la contraddizione che manda in rovina la verità e la contraddizione che la salva. Nel reale processo di ricerca, l’accettazione provvisoria della contraddizione gioca un ruolo essenziale.
K. JASPERS, Von der Wahrheit (1947), pp. 516-517.
Mentre l’orientazione scientifica nel mondo (wissenschaftliche Weltorientierung) risolve la realtà nella relazione soggetto-oggetto, dove per soggetto s’intende l’intersoggettività intellettuale e per oggetto la totalità del reale completamente risolta nella sua datità, l’orientazione filosofica nel mondo (philosophische Weltorientierung), spezzando la clausura di questa relazione, si propone di recuperare l’esistenza dal suo dissolvimento nell’intersoggettività e la realtà dal suo smarrimento nell’opacità del dato non più rinviante.
Per l’una e per l’altra cosa non serve il sapere razionale promosso dalla scienza, ma una sorta di “alogica razionale (vernunftige Alogik)”,1 che apre la via a quell’inversione di marcia che dall’oggettività porta alla soggettività, non più anonima della coscienza in generale, ma unica e irripetibile dell’e-sistenza. Questa, sporgendo oltre l’oggettività, emergendo dalla relativizzazione e ponendosi fuori dalla successione lineare delle determinazioni oggettive, tenta di cogliere l’essere nella sua rivelazione, o, più correttamente, di svelare l’essere dal nascondimento che di esso opera l’oggettivazione categoriale che la scienza impone, per ridurre a totalità sistematica l’essere che si sottrae a ogni sistemazione. In questo senso, scrive Jaspers:
Nel filosofare l’uomo trapassa (durchbricht) la sua condizione naturale in forza della propria essenza. Ciò che nella rottura (Durchbruch) gli si rivela come essere e come se stesso è la sua fede.2
La fede è dunque l’organo che dischiude l’esistenza all’essere. Nella fede l’uomo recupera se stesso (Selbstsein) dall’alienazione intersoggettiva, e l’ulteriorità dell’essere rispetto al senso ottenuto dalla coscienza in generale nella sistemazione del dato oggettivo. Siccome l’una e l’altra cosa trascendono la relazione soggetto-oggetto in cui opera il sapere, per il loro recupero si richiede una forma coscienziale in grado di oltrepassare il sapere, di sporgere in quell’ulteriorità che il sapere, nell’incapacità di logicizzarla, trascura.
Questa forma coscienziale è la fede, la cui prima caratteristica è quella di “stare in opposizione al sapere (Der Glaube stehet im Gegensatz zum Wissen)”.3 Il tipo di opposizione consiste nel fatto che, di fronte al dato, il sapere inizia la sua opera di sistemazione onde ottenere un mondo logico e ordinato dalla ragione immanente, mentre la fede assume il dato per quel tanto che rinvia a un’ulteriorità attestata dall’incompiutezza di senso con cui il dato si offre, sta di fronte (gegen-stehen), si oggettiva, appare.
Se l’ulteriorità, che per sua natura non può esser oggetto di un sapere, si lascia pensare solo in quella forma coscienziale che si esprime nella fede, e se la filosofia consiste nell’oltrepassamento (über-hinaus-denken) dei sensi e dei significati costruiti dal sapere scientifico in base alla sistemazione dei dati oggettivi, organo della filosofia sarà la “fede” che, assunta in questa accezione, Jaspers chiama: fede filosofica. Nella fede filosofica si realizza l’essenza dell’uomo, a cui è data la facoltà di totalizzare e non la totalità, la ricerca e non il compimento, la trascendenza immanente e non l’immanenza nel suo isolamento, né la pura trascendenza.
In quanto oltrepassante l’oggettività del dato, la fede filosofica dischiude l’orizzonte metafisico, anzi è in se stessa essenzialmente metafisica. Non si tratta ovviamente della metafisica classica che, stabilita la distinzione tra immanenza e trascendenza, perviene alla determinazione di quest’ultima attraverso l’impiego di categorie logiche derivate da primi principi che si presumono identici in ogni intelletto. Un simile procedimento non sarebbe in grado, secondo Jaspers, di condurci oltre l’orizzonte circoscritto dell’oggettività, per la quale queste categorie sono state prodotte e in cui trovano il loro effettivo impiego.
La trascendenza è l’annuncio dell’ulteriorità che si fa presente nelle situazioni-limite (Grenz-situation) in cui l’esistenza costantemente si imbatte, quali: l’imprescindibilità della propria situazione storica, l’incompiutezza del sapere nel tempo, l’insufficienza che si riscontra in ogni realizzazione, l’inquietudine e l’insoddisfazione perenne che fanno dell’uomo un’esistenza che, nella ricerca della verità, è sempre per via a (auf dem Wege der Wahrheit).4
Lungo la via, la trascendenza lascia traccia di sé nelle cifre, che sono impenetrabili per quella chiarezza intellettuale il cui unico intento è quello di rassicurare l’uomo nel mondo, orientandolo in quelle scelte che tornano vantaggiose nell’economia dell’empiricità quotidiana. Il senso delle cifre è dischiuso dalla fede, agli occhi della quale le cose del mondo divengono scrittura cifrata (Chiffreschrift), ovvero polivalente (vieldeutig) rinvio all’essere della trascendenza che, nel mondo, compare sottraendosi e svanendo: “das Erscheinen von Verschwindendem”.5
Ma “alla fede è connessa una problematicità che non ha fine (Mit dem Glaube ist unendliche Problematik gebunden)”.6 All’interno di questa problematicità, l’uomo deve decidersi, perché le cose del mondo possono essere lette dalla coscienza in generale come solide figure dell’immanenza o dalla coscienza assoluta come ambigui messaggi della trascendenza. La decisione non è confortata da alcuna ragione, perché “motivo”, “fondamento” e “ragione” sono tutte categorie inscritte nel sapere scientifico che ha assolutizzato l’immanenza, mentre qui si tratta di decidere se trattenersi nella sola immanenza o se trascenderla.
La libertà dell’uomo, che sembrava compromessa dalla sua riduzione alla situazione originaria non-scelta, viene ora rivendicata in tutto il suo più profondo e drammatico significato. Nel primo caso, infatti, l’uomo fa della terra il suo mondo, in esso vi si assesta, con le sue categorie logiche lo organizza, scientificamente lo domina e tecnicamente lo usa nella pericolosa dimenticanza dei propri limiti e nell’oblio più radicale dell’essere. Nel secondo caso la terra diventa il luogo in cui è dato ascoltare la voce dell’oltre, il cui senso è inaccessibile al sapere intellettuale che si realizza nel mondo a opera della coscienza in generale. Questa, dinanzi alla trascendenza, non sa e quindi la nega. La sua scelta, per la coscienza simbolica, conduce a quella “sapienza del mondo che è stoltezza presso Dio”.7
Ma come giungere a Dio? Jaspers non si stanca di ripetere che il rinvio della cifra è polivoco (vieldeutig), il suo senso è molteplice, mentre il senso dell’essere è uno. Qui si inserisce il secondo livello di problematicità, dovuto al fatto che, scrive Jaspers: “Agli occhi della ragione, la fede, come fenomeno di vita, è contraddittoria (Der Glaube, als Lebensphänomen, widerspruchsvoll ist)”.8
Il motivo è ripreso con più forza in quelle pagine di Von der Wahrheit dedicate al rapporto fede-autorità, dove si legge che credere significa essere certi non veritativamente (unwahres Gewissen), e rimanere nella fede significa sacrificare il pensiero (ein Preisgegeben des Denkens) a un contenuto dogmatico, incredibile (ungeglaubiger) e dubitabilissimo (verzweifelter).9
La contraddizione che accompagna ogni atto di fede consiste nel fatto che credere significa essere convinti di qualcosa che non esibisce il proprio fondamento veritativo. Se lo esibisse, il qualcosa non sarebbe creduto ma saputo. In questo senso l’atteggiamento coscienziale che accompagna ogni atto di fede, misurato con la logica della ragione, è fondamentalmente contraddittorio, perché tratta come indubitabile ciò che è tutt’altro che indubitabile.10
D’altra parte, l’incompiutezza della verità nel tempo, la sua parzialità, è constatabile tanto a livello percettivo, dove ogni cosa si manifesta solo in una prospettiva e solo “successivamente” in altre, quanto a livello logico-razionale, dove il pensiero è costretto a “continuare a pensare (immer-weiter-denken) e a continuare a cercare (immerweiter-suchen)”, per evitare “la falsa assolutizzazione della parte e quindi il suo isolamento dal tutto”,11 nella cui connessione (Verbindung) solamente, la parte possiede la sua verità.
Questa condizione naturale del nostro pensiero, “che non può realizzarsi se non attraverso un processo il cui divenire è scandito dalla temporalità”,12 inscrive la verità che si afferma nel tempo nella contraddizione che si determina quando, in assenza della totalità, la parte presente viene ad assumere impropriamente i caratteri che, come parte, non le competono, ma che, come massimo orizzonte attuale del veritativo, non può fare a meno di assumere.
Sotto il titolo “La fissazione nel particolare e l’assolutizzazione che isola (Verfestigung im Besonderen und isolierende Verabsolutierung)”, Jaspers osserva che:
La verità non è l’universalità da noi conosciuta scissa dal particolare, né la totalità conosciuta scissa dalla parte, perché ogni universalità e ogni totalità da noi conosciuta è ancora qualcosa di particolare rispetto all’Uno, all’Immutabile, a ciò a cui nulla si può contrapporre (Gegensatzlosen), alla compiutezza infinita, in una parola: alla verità totale che, come tale, non è mai da noi conosciuta, né tanto meno in nostro completo possesso. Quando la verità che abbiamo davanti agli occhi, isolata e assolutizzata nella sua finitezza, viene scambiata con la verità pura e semplice, allora è falsità.13
Infatti, se la verità è l’essere nella totalità delle sue determinazioni, isolare una determinazione (isolierende Verabsolutierung) dall’essere e dalle determinazioni che per essenza le convengono, significa falsificare la verità che quella determinazione possedeva in quanto “in relazione”, e che inevitabilmente smarrisce in quanto “fissata nel suo isolamento (Verfestigung im Besonderen)”. Un simile procedimento determina una situazione contraddittoria dovuta al fatto che il particolare, isolato, è posto senza che sia posta quella relazione alla totalità che gli compete per essenza, per cui il particolare è a un tempo posto (in quanto è a tema) e non-posto (in quanto non è in vista quella relazione alla totalità che gli compete per essenza).
Quello però che a Jaspers interessa sottolineare è che questa contraddizione, anche quando non è il frutto di una impropria prevaricazione, come nel caso della superstizione scientifica (wissenschaftliche Aberglaube),14 affligge ogni nostra conoscenza che si realizza nel tempo, perché nel tempo non ha luogo la manifestazione simultanea e totale dell’essere, ma solo la sua manifestazione processuale. In questo processo (Bewegung), dove ogni parte appare dopo l’altra, è assente la relazione della parte al tutto, e quindi ciò che inevitabilmente si realizza è l’assolutizzazione della parte, chiamata a svolgere impropriamente il ruolo del tutto. Infatti, scrive Jaspers:
Noi non siamo in grado di comprendere alcun contenuto se prima non lo abbiamo afferrato in un atto temporale; pertanto come siamo costretti a tracciare idealmente delle linee e a seguire delle forme nello spazio per renderci presente qualcosa, così siamo costretti a tradurre in termini temporali anche ciò che è da pensare fuori dal tempo. [...] In questo modo un contenuto può cambiare la sua forma temporale, ma non può sottrarsi a essa, non solo, ma con la modificazione della propria forma temporale anche il contenuto si modifica. Questo è il limite temporale del nostro sapere, i cui confini si smarriscono nell’indeterminato. Se noi volessimo abbracciare con uno sguardo la totalità del nostro sapere, allo scopo di circoscriverlo in maniera determinata, questa circoscrizione che abbraccia la totalità sarebbe una nuova forma temporale che, a sua volta, limita la totalità.15
Dalla lettura di questo brano emerge che la contraddizione che affligge la verità nel tempo non è tanto il frutto della presunzione intellettuale propria di chi interrompe la ricerca, perché crede di aver trovato la chiave che risolve ogni problema, ma è la condizione normale in cui si viene a trovare anche il più onesto ricercatore della verità, perché, fin che dura la ricerca, il ricercatore ha davanti agli occhi un orizzonte parziale non relazionato al tutto, che è assente per quel tanto che la ricerca non è compiuta. Per questo Jaspers può dire:
Finché non siamo giunti al termine della ricerca noi ci troviamo inevitabilmente in una situazione di astratte assolutizzazioni. Questa situazione può essere ridimensionata solo riconducendo ogni parte nella sua posizione di parte del Tutto.16
Ma se il Tutto è assente, è assente anche la relazione che l’orizzonte parziale deve avere con il Tutto per non cadere nell’astratta assolutizzazione, e quindi nella contraddizione propria della parte che eccede il limite che le compete in quanto parte, senza avere diritto all’eccedenza.
La contraddizione della verità (Wahrheit), il suo essere essenzialmente connessa alla non-verità (Unwahrheit) non è qualcosa di accidentale che sopraggiunge dall’esterno, ma è qualcosa di intimamente connesso alla modalità temporale con cui sulla terra la verità si disvela.
Svelandosi nel tempo, infatti, la verità va incontro a un’essenziale ambiguità, incomprensione, mistificazione, perché siccome lo svelamento, l’a-létheia, nella situazione umana, avviene tramite l’evidenziazione di un momento dopo l’altro, in questa manifestazione processuale, accade che i momenti manifesti acquistino un’emergenza impropria rispetto alla totalità del veritativo di cui sono momenti, e in questo sciogliersi dall’interrelazione, che ciascun momento possiede nei confronti degli altri, si inserisce la non-verità. La non-verità quindi abita la verità, appartiene alla telluricità della sua manifestazione. Per questo Jaspers può dire:
Se la verità è il Tutto, e ogni posizione particolare, in quanto singola e finita, rimane non-vera, allora la verità non esiste senza che le sia connessa la forma della falsità. Questo avviene perché noi abbiamo davanti sempre un orizzonte posizionale finito, mentre il tutto, nella sua manifestazione totale, non ci sta davanti.17
Se nel tempo la verità naufraga nella contraddizione, non è contraddittorio quel pensiero che, attraverso un trascendimento formale, scorge la verità assoluta “traguardando nel tempo, oltre il tempo (in der Zeit quer zur aller Zeitlichkeit)”.18 Il trascendimento è formale (das formale Transzendieren)19 perché è compiuto dall’uomo che, di fatto, non può andare oltre il tempo, ma deve limitarsi a interpretare quei messaggi, le cifre, che la trascendenza affida al tempo.
Interpretare le cifre significa leggere, nel presentarsi storico della verità, nel suo divenire processuale, la semplice condizione tellurica della verità, che deve essere trascesa nella prospettiva della sua eterna presenza. “In der Verwandlung der echten geschichtlichen Gegenwart zu ewiger Gegenwart.”20 Questo significa per l’uomo “vivere nel mondo ‘obliquamente’ al mondo (Der Mensch lebt in der Welt gleichsam ‘quer zur’ Welt)”.21
Lo sguardo che “attraversa” il mondo, la sua sistemazione razionale, i sensi e i significati che da questa sistemazione scaturiscono è lo sguardo incondizionato della fede che nessuna logica del mondo è in grado di confortare. Infatti, scrive Jaspers:
Contro le manifestazioni della trascendenza si levano le esigenze della pura immanenza, per le quali le manifestazioni della trascendenza, il loro modo di annunciarsi, i pensieri che le riguardano sono ingannevoli illusioni (Täuschungen).22
Questo perché il sapere che si realizza nel mondo è un non-saper-nulla (Nicht-wissen) di ciò che, traguardando, si annuncia oltre il mondo, e quindi è un non-decidersi (ein Nicht-entscheiden) a favore di quell’oltre che le cifre della fede propongono.
Il comportamento di chi, aderendo alla sapienza mondana, rifiuta la fede, è quindi corretto e conforme alla più rigorosa razionalità. Ma proprio questa razionalità, a cui ci si attacca per rifiutare la fede, è una razionalità contraddittoria, costretta, per la successione temporale che condiziona il disvelarsi terreno della verità, a trattare come assoluto ciò che assoluto non è.
In questa situazione, rifiutare la fede, che interpreta la presenza sulla traccia della dimensione rinviante all’assenza, equivale a proibirsi per sempre la possibilità di riscattarsi dalla contraddizione, e quindi assumere la contraddizione come dimora definitiva. Ciò non significa che l’accettazione della fede realizzi senz’altro la salvezza dalla contraddizione propria della manifestazione temporale della verità, ma semplicemente che il rifiuto della fede non è un atteggiamento obbligatorio per chi si prende cura della verità.
Lo sarebbe se la fede si identificasse, come vuole Kierkegaard, nell’assurdo, se alla contraddizione formale, che accompagna ogni atto di fede, nel trattare come indubitabile ciò che è tutt’altro che indubitabile, si aggiungesse la contraddizione sostanziale propria del contenuto assurdo, sulla cui contraddittorietà non si possono avere dubbi. In questo caso credere sarebbe un’idiozia, perché significherebbe affermare come esistente non solo ciò che non appare ma che potrebbe esistere, bensì anche ciò che non può affatto esistere perché contraddittorio. Tale, scrive Jaspers, è la posizione di Kierkegaard:
La fede di Kierkegaard che si contrappone al sapere e a ogni cosa finita e comprensibile è il paradosso o addirittura l’assurdo. Negando ogni cosa conoscibile e ogni cosa razionalmente formulata l’uomo trova soltanto un’espressione di natura paradossale che annienta l’intelligenza e costringe a un sacrificio dell’intelletto.23
Riprendendo ne La fede filosofica il motivo kierkegaardiano del credo quia absurdum, Jaspers osserva:
È un passo falso che fa violenza al pensiero annunciare come verità ciò che, nella forma del sapere oggettivo, è logicamente ed empiricamente impossibile, e poi pretendere l’adesione della fede. In questo caso il senso di ciò che non si lascia oggettivamente fondare viene capovolto nell’impossibilità positiva di un enunciato oggettivo, l’apertura e il riconoscimento dei limiti in un’autonegazione del pensiero, la sincera disposizione all’ascolto nell’insincerità di un sacrificium intellectus.24
Credere non è un sacrificium intellectus, cosa che contraddirebbe la logica dell’immanenza che è pur sempre il luogo in cui la trascendenza si manifesta, solo se interviene la categoria della problematicità che non è stata messa sufficientemente in luce da Kierkegaard. La problematicità è quella dimensione in relazione alla quale l’orizzonte veritativo di volta in volta raggiunto non si pronuncia, e quindi il creduto non è il non saputo simpliciter, ma il non saputo attuale e problematico.
In questo caso credere è paradossale, ma non nel senso di un autoannientamento del pensiero (eine Selbstverneinung des Denkens), ma nel senso di qualcosa che, nel riconoscimento dei limiti (die Offenheit für Grenzen), si annuncia oltre, e quindi trascende il sapere mondano come ampiezza attuale del veritativo. Il creduto, infatti, non può essere inscritto nell’orizzonte della verità dell’immanenza, perché questa, per definizione, non è creduta, ma saputa. In questo orizzonte la verità trascendente si manifesta in cifre. La cifra esprime appunto l’essenza problematica del messaggio. In questo senso, scrive Jaspers:
Il dispiegamento della verità della trascendenza non può realizzarsi attraverso una ricerca oggettiva quale si effettua nell’indagine scientifica, ma attraverso un pensiero che sappia tenere libero lo spazio a favore della possibilità (den Raum frei hält für die Möglichkeit), e al tempo stesso indicare il luogo, il significato e l’ambito della sua realizzazione che, se accade, deve in ogni caso accadere storicamente. Questo pensiero non possiede in sé la trascendenza perché rievoca e prepara, perché non rende propriamente presente ciò che pensa, ma si limita ad accennarvi in un costante rinvio (Rückverweisen), nel rinvio della scrittura cifrata che lascia traccia di sé nel terreno (Boden) filosofico dell’esistenza.25
Siccome è un pensiero che non deduce da un fondamento (Grund), ma procede sull’indicazione di orme, di tracce lasciate sul fondo del terreno (Boden) che non conclude, ma dischiude nuovi sensi e nuovi significati,26 il pensiero della trascendenza non si inscrive nella categoria della certezza apodittica di natura vincolante (zwingende Gewissheit), ma in quella della possibilità (Möglichkeit).
Infatti, il contenuto del pensiero fideistico può essere preso in considerazione dalla verità che si manifesta nell’immanenza solo se si presenta a quest’ultima come una possibilità di uscire dalla contraddizione che nel tempo l’affligge. Se questa possibilità fosse immediatamente preclusa dall’autocontraddittorietà di ciò che la fede propone, allora la verità avrebbe l’obbligo di rifiutare il contenuto fideistico, perché sarebbe assurdo pensare di liberarsi dalla contraddizione entrandovi.
Ora è vero che la fede è una contraddizione perché tratta come indubitabile ciò che è tutt’altro che indubitabile, ma ciò non dice ancora che il contenuto della fede sia contraddittorio, e quindi tale da escludere ogni possibilità di salvezza. Decidersi per questa possibilità è prendere su di sé la contraddizione della fede, consapevoli che non si tratta della contraddizione rovinosa che annienta la verità, ma della contraddizione fruttuosa che la manifesta. Scrive infatti Jaspers:
Questa decisione prende su di sé la contraddizione possibile o reale, perché grosso modo sa distinguere tra la contraddizione rovinosa e la contraddizione salvifica, vale a dire: tra la contraddizione che manda in rovina la verità e la contraddizione che la salva. Nel reale processo di ricerca, l’accettazione provvisoria della contraddizione gioca un ruolo essenziale.27
Nella misura in cui la possibilità indicata dal progetto fideistico si annuncia in un’ulteriorità assente rispetto al sapere mondano, inteso come ampiezza di volta in volta attuale del veritativo, a quest’ultimo non è dato sapere se, credendo, e quindi affidandosi a quell’oltre a cui rinviano le cifre della trascendenza, porterà a compimento o finirà con il perdere anche quella parte di verità che al momento possiede. Qui sta l’angoscia dell’esistenza, qui sta il “rischio totate (Alleswagen)” che essa corre quando, non più sorretta dalla dimostrazione razionale, decide di affidarsi alla trascendenza. Infatti, scrive Jaspers:
L’uomo può vivere solo se si appoggia a una certezza. Nell’incertezza, o cerca una sicurezza, che di solito concepisce nella forma di una garanzia oggettiva a cui potersi attenere, oppure la certezza gli viene donata, in un modo che non si lascia intendere concettualmente, da ciò che sta all’origine. Ciò accade quando l’uomo, non più assicurato dalle garanzie oggettive che determinano la sua vita, decide di arrischiarla nella direzione indicatagli da ciò che sta all’origine.28
Il rischio è dovuto al fatto che, con la fede, la possibilità di una nullificazione non è immediatamente e definitivamente scongiurata. Nessuna fede può presumere a priori la sicurezza definitiva del successo. La caratteristica della fede è piuttosto il rischio (Wagnis), la minaccia sempre incombente di una possibile nullificazione. Qualora la fede se ne dimenticasse, si irrigidirebbe (starrwerden) e, nella solidificazione del rischio, andrebbe irrimediabilmente perduta. Ciò è accaduto, come s’è visto,29 nella “cattolicità”, e solitamente accade nella fede religiosa, quando questa, invece di porsi come tutela della verità, si pone come sua dimenticanza e quindi come alienazione.
1 K. Jaspers, Vernunft und Existenz (1935); tr. it. Ragione ed esistenza, Marietti, Torino 1971, pp. 127-142.
2 Id., Der philosophische Glaube (1948); tr. it. La fede filosofica, Marietti, Torino 1973, p. 72.
3 Id., Psychologie der Weltanschauungen (1919); tr. it. Psicologia delle visioni del mondo, Astrolabio, Roma 1950, p. 391.
4 Id., Vernunft und Wiedervernunft in unserer Zeit (1950); tr. it. Ragione e antiragione nel nostro tempo, Sansoni, Firenze 1970, p. 70.
5 Id., Von der Wahrheit, Piper, München 1947, p. 90.
6 Id., Psicologia delle visioni del mondo, cit., p. 391.
7 Paolo di Tarso, Prima Lettera ai Corinti, 3, 19.
8 K. Jaspers, Psicologia delle visioni del mondo, cit., p. 396.
9 Id., Von der Wahrheit, cit., p. 828.
10 Sulla contraddittorietà della fede si vedano le pagine essenziali che E. Severino ha dedicato a questo tema in Studi di filosofia della prassi (1962), Adelphi, Milano 1984, pp. 97-138; Risposta alla Chiesa (1971), in Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982, pp. 317-387; Pensieri sul cristianesimo, Rizzoli, Milano 1995.
11 K. Jaspers, Von der Wahrheit, cit., p. 502.
12 Ivi, p. 370.
13 Ivi, pp. 501-502.
14 Cfr. il capitolo 57: “La superstizione scientifica e i miti del potere e del progresso”.
15 K. Jaspers, Von der Wahrheit, cit., p. 304.
16 Ivi, p. 502.
17 Ivi, p. 591. Recita il testo tedesco: “Wenn die Wahrheit das Ganze ist und jede Position als solche, weil sie eine einzelne und endliche ist, unwahr bleibt, so ist Wahrheit nie ohne Gestalt der Falschheit, weil sie für uns stets diese endliche, positionelle Gestalt annimmt, und weil für uns das Ganze nie da ist”. Alla verità nella sua essenziale relazione alla non-verità, Jaspers ha dedicato la parte centrale di Von der Wahrheit: “Wahrheit und Falschheit”, pp. 475-600. Per un più ampio commento a questa tematica si veda K. Jaspers, Sulla verità, a cura di U. Galimberti, La Scuola, Brescia 1970, pp. 153-223.
18 K. Jaspers, Von der Wahrheit, cit., p. 785.
19 Id., Philosophie (1932-1955): III Metaphysik; tr. it. Filosofia, Libro III: Metafisica, Utet, Torino 1978, pp. 972-1004.
20 Id., Von der Wahrheit, cit., p. 881.
21 Ibidem.
22 Ivi, p. 632.
23 K. Jaspers, Psicologia delle visioni del mondo, cit., p. 394.
24 Id., La fede filosofica, cit., pp. 160-161.
25 Id., Von der Wahrheit, cit., pp. 636-637.
26 A proposito della differenza tra fondamento (Grund) e fondo (Boden) in relazione alla struttura della verità come esattezza (orthótes, Richtigkeit) e come non-nascondimento (alétheia, Unverborgenheit) si veda il capitolo 78: “Il senso del tramonto”.
27 K. Jaspers, Von der Wahrheit, cit., p. 517. Recita il testo tedesco: “Diese Entscheidung nun nimmt den möglichen oder wirklichen Widerspruch auf sich. Dabei ist in roher Vereinfachung zu unterscheiden der ruinöse und der erfolgreiche Widerspruch, d. h. der wahrheitverderbende und der wahrheithervorbringende Widerspruch. In dem wirklichen Gang der Forschung spielt das vorläufige Inkaufnehmen von Widersprüchen eine wesentliche Rolle”.
28 Ivi, p. 840.
29 Cfr. il capitolo 83: “La solidificazione della cifra e lo smarrimento della coscienza simbolica”.