54.
La provocazione della tecnica e la riduzione dell’essere a fondo a disposizione (als Bestand)
Lo svelamento che vige nella tecnica moderna [...] è una pro-vocazione (heraus-fordern), la quale pretende dalla natura che essa fornisca energia che possa come tale essere estratta (herausgefördert) e accumulata. Ma questo non vale anche per l’antico mulino a vento? No. Le sue ali girano sì spinte dal vento, e rimangono dipendenti dal suo soffio. Ma il mulino a vento non ci mette a disposizione le energie delle correnti aeree perché le accumuliamo in un fondo a disposizione (Bestand).
M. HEIDEGGER, La questione della tecnica (1953), p. 11.
Commentando le pagine che Kant dedica alla conoscenza come sintesi a priori, Heidegger scrive che:
Nel produrre (herstellen) la forma del concetto, l’intelletto contribuisce a rendere disponibile (beizustellen) il contenuto dell’oggetto, in questo modo di “porre (stellen)” si rivela la peculiarità del pro-porre rappresentativo (vor-stellen) proprio del pensiero.1
Il pensiero in questione è il pensiero scientifico che, producendo la concettualità anticipante, provoca l’oggettività dell’ente, ossia chiama l’ente ad apparire nell’orizzonte predisposto dell’oggettività. In questa attività produttiva è custodita l’essenza tecnica della scienza. Ciò significa che la tecnica non è la semplice applicazione dei risultati scientifici, ma è la forma della scienza che, come tale, traduce il pensiero da teoretico in produttivo.
La produzione scientifica è costituita dall’oggettività dell’ente, dal suo apparire come oggetto (Gegen-stand) per un soggetto, la produzione tecnica è costituita dalla disponibilità (Be-stand) dell’ente, resa possibile dalla sua oggettivazione. L’ente cioè è chiamato (provocazione scientifica) nell’orizzonte dell’oggettività, anticipato dalla scienza, affinché sia disponibile a ogni richiesta d’impiego (provocazione tecnica) da parte dell’uomo.
In quanto produzione, scienza e tecnica sono inscritte nell’antico significato greco di poíesis. Per Platone: “La poíesis è ciò per cui qualcosa passa dal non-essere all’essere (he gár toi ek toû mè óntos eis tò òn iónti hotoioûn aitía pâsá esti poíesis)”,2 quindi, commenta Heidegger, la poíesis è quella produzione che fa venire (veranlassen) qualcosa dalla non presenza alla presenza, determinandone il suo apparire.
Anche la phýsis è poíesis in quanto produzione dell’apparire, del dispiegamento. Ma l’essenza poietica della téchne è differente dall’essenza poietica della phýsis, perché ciò che si dischiude per natura (phýsei) ha in sé (en heautôi) il principio del proprio dispiegamento, mentre ciò che si dischiude per téchne ha il principio del proprio dispiegarsi in altro (en álloi). Il seme dispiega da sé l’albero, che da sé viene alla presenza e si offre nello svelamento (alétheia), ma l’albero non dispiega da sé il tavolo, la barca, il ponte. Dell’apparire di queste realtà, del loro offrirsi nello svelamento non risponde l’albero, ma l’artefice che, pro-vocando (heraus-fordern) la natura arborea, la toglie, la porta fuori (heraus-bringen) dal suo riparo naturale, per condurla e disporla in altre relazioni e in altri rapporti, dai quali appare, e nello svelamento si offre, ciò che la téchne chiama “prodotto”.
Il pro-durre tecnico è dunque un con-durre la natura a disporsi in nuove relazioni, differenti rispetto a quelle in cui la natura dimora per sé. Ciò consente a Heidegger di dire che:
La tecnica non è un semplice mezzo. La tecnica è un modo dello svelamento. Se facciamo attenzione a questo fatto, ci si apre davanti un ambito completamente diverso, per l’essenza della tecnica. È l’ambito dello svelamento, cioè della verità.3
Leggendo la tecnica come quella modalità attraverso cui l’essere è portato allo svelamento, Heidegger ritiene che questo condurre la natura a disporsi altrimenti da come “naturalmente” si pone (Stand) è fare della natura qualcosa di dis-posto (Be-stand) dalla forza dispositiva (be-stellen) del pensiero. In questa forza dispositiva, che fa della natura un fondo disponibile (Bestand), è custodita l’essenza produttiva (poíesis) del pensiero tecnico.
Un albero viene tagliato e diviso, le sue parti vengono congiunte in rapporti differenti dai precedenti e disposte in relazione a un altro ambiente; nascono il tavolo, la porta, la sedia. La natura lignea è chiamata ad apparire in un altro contesto e, in forza di questo diverso apparire, ad assumere un significato che non possedeva quando era albero nel bosco. Le molecole vengono scomposte, scisse e addizionate con altre molecole, appare un nuovo composto chimico che la natura, prima dell’intervento tecnico, non lasciava apparire, ma custodiva nella sua latenza. Il composto verrà utilizzato, ma l’essenza della pro-duzione tecnica non è nella sua strumentalità, nell’utilizzazione del prodotto, ma nella con-duzione di qualcosa dalla latenza alla non-latenza, nella sua pro-vocazione, che chiama il nascosto a dispiegarsi in quell’orizzonte dell’apparire che il pensiero aurorale chiamava alétheia. Perciò, scrive Heidegger:
La téchne è un modo dell’aletheúein. Essa svela ciò che non si produce da se stesso e che ancora non sta davanti a noi, e che perciò può apparire e ri-uscire ora in un modo ora in un altro. [...] L’elemento decisivo della téchne non sta perciò nel fare e nel maneggiare, nella messa in opera di mezzi, ma nello svelamento menzionato. In quanto svelamento (Entbergen), quindi, e non in quanto fabbricazione (Verfertigen), la téchne è un pro-durre (Her-vor-bringen).4
C’è però, secondo Heidegger, una differenza fondamentale tra la téchne antica e la tecnica moderna. Quest’ultima, a differenza della prima, non consiste nel dispiegamento dell’energia della natura, ma nell’accumulo di questa energia, nella traduzione della natura a fondo energetico disponibile (Bestand bestellbar) per tutte le richieste che si presentano. La natura cioè non è più il soggetto produttivo che dispiega la sua forza energetica, ma è il fondo a disposizione di quella nuova soggettività costituita dall’insieme di richieste in cui la natura è pro-vocata.
La tecnica antica chiedeva alla natura un prodotto che la natura poteva produrre in presenza di particolari accorgimenti tecnici. Nell’ambito di questa richiesta, la provocazione tecnica era un assecondare la natura che da sé liberava il prodotto. Illuminante in proposito è l’esempio di Aristotele per il quale il principio (arché) della salute (hyghieías) non risiede nella tecnica medica (iátreusis), ma nella natura (phýsis) che, in presenza della tecnica medica, produce il risanamento da sé. Se poi a soffrire della malattia è il medico, il principio della guarigione è nel medico (en hautôi), ma non in quanto medico (kath’ hautó), bensì in quanto uomo, la cui natura, in presenza di determinati accorgimenti tecnici, è ancora in grado di generare la salute. La situazione non muta anche nel caso in cui le migliorate condizioni tecniche consentono di prolungare la vita del malato o addirittura di risanarlo da malattie che un tempo conducevano alla morte, perché anche in questo caso l’arte medica non fa che appoggiare e guidare meglio la phÿsis. E questo perché, scrive Aristotele:
La natura è principio e causa del movimento e della quiete in tutto ciò che esiste di per sé e non per accidente. E dico “non per accidente” perché un tale, per esempio, essendo medico, potrebbe esser causa di salute a se stesso; tuttavia non in quanto egli è sanato possiede l’arte medica, ma semplicemente è capitato in modo accidentale che siano lo stesso il medico e il sanato. Allo stesso modo avviene per tutti gli altri oggetti prodotti tecnicamente: nessuno di essi, infatti, ha in se stesso il principio della produzione, ma alcuni lo hanno in altre cose e dall’esterno, come la casa e ogni altro prodotto manuale; altri in se stessi, ma non per propria essenza, bensì in quanto accidentalmente potrebbero diventar causa a se stessi.5
Per il pensiero antico, quindi, la tecnica non produce, ma asseconda la produzione della natura. La sua provocazione resta inscritta nella potenza originaria della natura che, in occasione dell’intervento tecnico, si rivela in tutta la sua efficacia. In questo senso, scrive Heidegger, rispetto al disvelamento della tecnica antica:
Lo svelamento che vige nella tecnica moderna non si dispiega in un produrre nel senso della poíesis. Lo svelamento che vige nella tecnica moderna è una pro-vocazione (Heraus-fordern), la quale pretende dalla natura che essa fornisca energia che possa come tale essere estratta (herausgefördert) e accumulata. Ma questo non vale anche per l’antico mulino a vento? No. Le sue ali girano sì spinte dal vento, e rimangono dipendenti dal suo soffio. Ma il mulino a vento non ci mette a disposizione le energie delle correnti aeree perché le accumuliamo in un fondo a disposizione (als Bestand).6
Ciò che interessa alla tecnica moderna non è il dispiegamento della geneticità della phýsis, ma il possesso e l’accumulo della forza genetica come tale. La provocazione che così si esprime non è più in ordine all’essere e allo svelarsi della phýsis, ma è in ordine all’avere e al poter disporre del potenziale energetico che vale non in quanto è (Stand), ma in quanto è a disposizione (Bestand).
A questo punto potrebbe sorgere un’obiezione: anche la tecnica antica si fondava sulla disponibilità della natura. L’agricoltura per esempio sfruttava la disponibilità del suolo, le opere di canalizzazione l’abbondanza delle acque, i mulini a vento la forza dell’aria e, in generale, l’accorgimento tecnico pro-vocava la natura in modo che questa potesse mettere a disposizione la sua forza latente. Donde allora la differenza tra l’antica e la moderna provocazione?
La differenza risiede nel fatto che la tecnica degli antichi si disponeva al dispiegamento della forza della natura, mentre la tecnica moderna accumula la forza della natura per disporne in base ai propri piani. Quando il mugnaio disponeva le pale del mulino alla corrente dell’aria o il marinaio le vele dell’imbarcazione in direzione dei venti, l’intervento tecnico metteva sì a disposizione l’energia dell’aria in movimento, ma non per accumularla, onde poterne disporre ogniqualvolta la richiesta lo esigeva. Quando l’agricoltore solcava la terra con canali, onde derivare l’acqua dal fiume per l’irrigazione della sua terra, l’intervento tecnico assecondava la naturale forza della corrente, ma il fiume non cessava di essere un fiume, non diveniva un bacino di energia idroelettrica accumulata e a disposizione per ogni occasione.
Qui si pone la differenza tra l’antica e la moderna provocazione tecnica. La prima assecondava la natura, si disponeva alla sua forza, che impiegava, senza accumularla, dopo averla estratta. La seconda tratta la natura come un fondo a disposizione (Bestand), dove l’energia es-tratta (heraus-gefordert) è accumulata e disposta in modo da poter essere immediatamente commissionata. L’aria, allora, non è più vento in poppa, ma fornitura di ossigeno; il suolo non è più ciclica fecondità naturale, ma agricoltura meccanizzata e programmata. I monti sono cave di pietra, il sottosuolo è serbatoio di petrolio e di minerali richiesti, per esempio, per la fornitura dell’uranio, questi per la produzione dell’energia atomica, da liberarsi per scopi distruttivi o per impieghi pacifici.
In questa catena di richieste o provocazioni l’attenzione non va posta tanto sulla strumentalità della natura, quanto sulla sua riduzione a fondo a disposizione (Bestand) di quell’impianto di richieste o provocazioni (Gestell) che decidono non solo dell’impiego di tutte le cose, ma anche del loro senso. La tecnica, cioè, pro-voca (herausfordert) la natura perché è a sua volta pro-vocata (heraus-gefordert) dall’impianto di richieste (Gestell) in cui si custodisce l’originario rapporto dell’uomo con la phýsis. La tecnica è allora la modalità contemporanea con cui l’uomo vive la sua originaria apertura alla phýsis. In questo senso la tecnica è la verità della nostra epoca, il modo in cui, nella nostra epoca, l’uomo si trattiene nell’originaria apertura all’essere.
Pro-vocare (heraus-fordern) significa infatti chiamare alla presenza, quindi portare in manifestazione forze nascoste (léthe) estraendole (heraus-fordern) dal nascondimento in cui dimoravano. In questa es-trazione dal nascondimento è a un tempo la verità (a-létheia) della tecnica e la sua pro-vocazione, da intendersi come appello che conduce dal nascosto al manifesto. In forza dell’appello le forze nascoste vengono es-tratte, trasformate, accumulate, ripartite. In questa serie di operazioni è lo svelamento come pro-vocazione.
A differenza della verità originaria che, per il pensiero aurorale, era incondizionato svelamento della phýsis, la verità tecnica condiziona lo svelamento della natura a quell’impianto di richieste che stabilisce ciò che deve essere svelato e le modalità dello svelamento. In questo la forza svelata è pre-diretta, la sua direzione è pre-decisa dall’impiego, l’impiego è tale solo se è costantemente assicurato. L’assicurazione è nell’essenza stessa della provocazione. Pro-vocare, infatti, è anche chiamare la natura a manifestarsi dove e quando la richiesta (vocatio, Forderung) lo vuole. Mancasse questa assicurazione, ne andrebbe della disponibilità della natura, e quindi della tecnica che da questa disponibilità prende le mosse.
Se il petrolio ci fosse, ma non fosse trasportabile dove la richiesta lo esige, se l’uranio ci fosse ma non fosse estraibile nelle modalità che l’impiego atomico esige, petrolio e uranio sarebbero entità oggettive, presenti come indisponibili. Ciò che fa di un oggetto (Gegenstand) un fondo disponibile (Bestand) è la tecnica, che, a questo punto, determina il modo di manifestarsi della natura, o, nel linguaggio aurorale, la verità dell’essere. La tecnica interviene nella manifestazione oggettiva della realtà per renderla disponibile. La disponibilità è la modalità tecnica del veritativo. A questo punto Heidegger si chiede:
Quale tipo di svelamento è appropriato a ciò che ha luogo mediante il richiedere pro-vocante? Ciò che così ha luogo è dovunque richiesto di restare a posto (zur Stelle), nel suo posto (auf der Stelle) in modo da poter essere impiegato (bestellbar) per un ulteriore impiego (Bestellung). Ciò che è così impiegato ha una sua propria e stabile posizione (Stand). Questa posizione stabile noi la chiamiamo fondo a disposizione (Bestand). Qui il termine dice qualcosa di più e di più essenziale di quanto non dica la semplice nozione di “scorta, provvista (Vorrat)”. La parola “fondo a disposizione” è immediatamente promossa alla dignità di un titolo. Essa caratterizza niente meno che il modo in cui è presente (anwest) tutto ciò che ha rapporto col disvelamento provocante. Ciò che è sta (steht), a guisa di fondo a disposizione (Bestand), non è più di fronte a noi come oggetto (Gegenstand).7
In questo modo la tecnica dissolve l’oggettività scientifica. Nella microfisica, per esempio, dove la scienza è possibile solo grazie alla perfezione degli strumenti messi a disposizione dalla tecnica, l’oggettiva posizione della particella subatomica è indeterminabile, in quanto le condizioni tecniche dell’osservabilità alterano lo star-dicontro (Gegen-stand), e quindi l’oggettività dell’osservato. A questo punto la domanda: che cos’è la natura? si converte nella domanda: che cos’è la conoscenza? L’oggettività, infatti, non riesce a costituirsi o, se è concettualmente precostituita, si dissolve, perché il livello d’esperienza è anteriore al differenziarsi di soggetto e oggetto.
Se, come dice il principio di indeterminazione di Heisenberg,8 per “vedere” una particella subatomica occorre illuminarla, e l’illuminazione, cozzando contro la particella, la devia, ciò che si “vede” non è la posizione della particella, ma la collisione che ne deriva e che non consente di stabilire la posizione della particella prima della collisione del raggio luminoso richiesto per osservarla. In questo modo, la posizione della particella è un inosservabile, perché osservabile è la collisione della particella con le condizioni dell’osservabilità. A questo punto non si potrà mai dire se le leggi che si stabiliscono per gli osservabili valgono anche per gli inosservabili, e, in generale, se la natura, provocata o chiamata alla presenza dalle tecniche dell’osservazione, è la natura che si trattiene nel nascondimento dell’inosservabilità.
Col dissolvimento dell’oggettività uomo e natura non si fronteggiano (gegen-stehen) come soggetto e oggetto, ma le possibilità della conoscenza e il senso della natura sono custoditi e condizionati dalla modalità del reciproco disporsi. La disposizione acquista il sopravvento sui termini disposti. Soggettività e oggettività si dissolvono nella disposizione che li comprende e, comprendendoli, li risolve in quell’unico Bestand che è la permanente disponibilità dell’uomo alla natura, perché la natura, esponendosi, gli si dispone.
Dall’esser disposto dalla natura alla sua esposizione, l’uomo passa a disporre dell’esposizione della natura. In questa disposizione è custodita la provocazione tecnica della natura, che tuttavia è possibile solo in quanto la natura si concede alla provocazione. Dimenticarlo è proprio della superstizione scientifica (wissenschaftliche Aberglaube), che non tiene conto che l’uomo, provocando la natura, svela solo ciò che la natura ha disposto allo svelamento, non ciò che la natura non ha disposto. L’uomo, cioè, non è creatore della verità, ma ne è da questa ospitato. Anche la sua provocazione della natura non lo prevede come soggetto provocatore, ma come appartenente a quell’impianto provocatorio che lo include come momento.
Quando abbatte un bosco l’uomo è provocato dalla richiesta di cellulosa, questa dalla richiesta di giornali e di libri, a loro volta richiesti dall’opinione pubblica che richiede di leggere e informarsi, per cui se l’uomo commissiona la natura, se la provoca, è perché è a sua volta commissionato e provocato; se la riduce a Bestand, a fondo a disposizione, è perché egli stesso è Bestand, è disposto in questo fondo. L’uomo quindi non svela, ma, nello svelamento che lo ospita, è chiamato dalla serie dei rimandi provocanti:
Quando l’uomo, nel modo che gli è proprio, svela ciò che è presente entro lo svelamento, egli non fa che rispondere all’appello (Zuspruch) dello svelamento, anche nel caso vi contraddica. Così quando l’uomo, nella ricerca e nello studio, cerca di catturare (nachstellt) la natura intesa come un ambito della sua rappresentazione, allora è già re-clamato (beansprucht) da una modalità dello svelamento che lo pro-voca a rapportarsi alla natura come a un oggetto della ricerca, finché anche l’oggetto scompare nell’assenza-di-oggetto del fondo (in das Gegenstandlose des Bestandes). Così la tecnica moderna, intesa come disvelare impiegante (das bestellende Entbergen), non è un operare umano. Per questo bisogna che prendiamo, così come essa si mostra, quella pro-vocazione che richiede (stellt) l’uomo a impiegare (bestellen) il reale come fondo. Quella pro-vocazione raccoglie l’uomo nell’impiegare. Questo raccoglimento concentra l’uomo nell’impiegare il reale come fondo a disposizione.9
Se l’uomo provoca la natura in quanto è provocato a provocarla, l’uomo non è soggetto provocatore, ma momento di quell’impianto provocatorio (Gestell) in cui si raccoglie il senso della totalità, da ricercarsi nel reciproco appello di ogni parte, e in quel fondo (Bestand) che dispone ogni singola parte alla totalità. L’appello reciproco e la reciproca disposizione esprimono quell’originaria coappartenenza (Ereignis) in cui la verità dell’essere a un tempo si cela e si manifesta. Nel manifestarsi, che è a un tempo un sottrarsi, si nasconde l’ambiguità dell’appello provocante.
1 M. Heidegger, Kant und das Problem der Metaphysik (1929); tr. it. Kant e il problema della metafisica, Laterza, Bari 1981, p. 36.
2 Platone, Simposio, 205 b. Lo stesso motivo ritorna nel Sofista, 219 b dove Platone scrive che “Fare (poieîn) significa condurre all’essere (eis ousían) ciò che prima non è (hóper àn mè próteron ón); essere fatto (poieîsthai) significa venir condotto all’essere”.
3 M. Heidegger, Die Frage nach der Technik (1953); tr. it. La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1976, pp. 9-10.
4 Ivi, p. 10.
5 Aristotele, Fisica, Libro II, 192b, 23-33. Questo passo è commentato anche da M. Heidegger, Vom Wesen und Begriff der physis. Aristoteles’, Physik, B, 1 (1940-1958); tr. it. Sull’essenza e sul concetto della physis. Aristotele, Fisica, B, 1, in Segnavia, Adelphi, Milano 1987, pp. 209-211.
6 M. Heidegger, La questione della tecnica, cit., p. 11.
7 Ivi, p. 12.
8 W.K. Heisenberg, Über den anschaulichen Inhalt der quantentheoretischen Kinematik und Mechanik (1927); tr. it. I principi fisici della teoria dei quanti, Utet, Torino 1963.
9 M. Heidegger, La questione della tecnica, cit., p. 14.