98.
Il naufragio della filosofia
e la fecondità dell’inconcludenza
Tutto quello che viene raggiunto filosofando, viene di nuovo messo in questione. Chi se ne rende conto ha l’impressione di dover guardare l’immobile oscurità del nulla. Ma questo naufragio, come essere del nulla, non è che una cifra. [...] A questo punto si tratta di chiedersi quale potrebbe essere la cifra del naufragio qualora, al di là di tutte le interpretazioni, il naufragio non rinviasse al nulla, ma all’essere della trascendenza. Si tratta di vedere se dal fondo dell’oscurità può rilucere un essere.
K. JASPERS, Filosofia (1932-1955), Libro III: Metafisica, p. 1180.
Al rimando immanente Jaspers giunge attraverso quella che, a suo parere, è l’operazione filosofica fondamentale (die philosophische Grundoperation)1 la cui articolazione ha questo andamento:
La domanda è: che cos’è essere? La domanda che introduce a questa domanda è: come posso e come devo pensare l’essere? (Die Frage ist: was ist Sein? Die Frage an diese Frage ist: wie kann ich und wie muss ich das Sein denken?)2
L’esito del circolo ermeneutico, dove la figura dell’origine (Ursprung) è indagabile solo nella traccia (Spur) che però è già compresa nell’origine, ha il suo esito in quel “pensare oltre (über-hinaus-denken) ogni orizzonte visibile, e perciò determinato, in direzione dell’Umgreifende in cui noi siamo e che noi stessi siamo”.3
Questo “pensare oltre” percorre gli orizzonti senza approdare, perché, pur attraversandoli, resta sempre al di qua (Im Darüberhinaus-denken bleiben wir immer zugleich darin),4 quasi non fosse concessa la visione dell’ulteriorità se non in trasparenza (durchsichtig), da lontano (aus der Weite), attraverso o di traverso (quer), “quasi non fossimo mai appartenuti o non appartenessimo più a quell’origine profonda che sostiene e penetra tutte le cose”.5
Sono, questi, elementi sufficienti per offrirci l’esperienza di una mancanza e di un bisogno non appagato, né facilmente appagabile. In Jaspers, infatti, il negativo non è un fenomeno secondario o accessorio, né semplicemente l’esito della conduzione esegetica, esso è la forma di relazione all’essere come ulteriorità.
Questa negatività non è fatta valere, alla maniera di Sartre, come gusto del nulla,6 perché per sé sola non sussiste, ma può esistere solo come immanente esperienza della non esaustività di ogni totalità compiuta. Lo stesso Umgreifende che noi siamo è tutt’altro che nichilista, se è vero che si costituisce come il luogo della domanda, quindi come il luogo in cui l’essere si fa linguaggio e irrompe come linguaggio. Questo linguaggio a sua volta, proprio per essersi lasciato alle spalle le parole dell’ontologia che si articolano per genere e differenza, per positivo e negativo, attinge e lascia intravedere un’incodificabile profondità (aus der Tiefe).
Si comprende a questo punto come il rapporto da intrattenere con l’essere non sia propriamente contemplativo, ma di attesa (Warten). L’attendere è cosa diversa dal contemplare. Se la contemplazione suppone un’immobilità, un’attenzione a qualcosa che generosamente si offre perché di essa si possa fruire, quindi una rivelazione, l’attesa suppone una tensione (Spannung) che non riposa in sé, ma, vigile, consente di tenere aperta l’apertura (Offenheit) che ogni rivelazione (Offenbarung) minaccia di chiudere. La differenza tra fede filosofica e fede religiosa è tutta qui.7 Non averla compresa o, peggio, averla criticata, significa aver abdicato non tanto alla filosofia, quanto all’essenza della condizione umana.
Certo l’attesa è rischiosa, ma non in sé, bensì nel suo esito degenerativo. Jaspers non se lo nasconde:
Il pensiero può offrirmi quel terreno che mi sostiene, così come può sottrarmelo. Ma anche se è pericoloso (gefährlich), il pensiero costituisce tuttavia quel rischio (Wagnis) che bisogna correre, perché solo così si può giungere a quella dimensione autentica (zum Eigentlichen) a cui mi sottraggo quando mi affido a quella mancanza di problematicità che caratterizza il non-pensare nella sua opaca e ristagnante insufficienza.8
In questo senso ogni pensiero che sta in posizione d’attesa sta sotto il segno del rischio. L’attesa può diventare abbandono (Hingabe) e alla fine indifferenza (Gleichgültigkeit), così come può risolversi in un espediente di fuga da quella profondità (aus der Tiefe) in cui pure si è. A sua volta il naufragio di tutte le risposte può coincidere con l’avallo a quanto esiste, ma in questo caso, più che con l’attesa, si ha a che fare con la rinuncia (Verzicht), che è sempre in agguato quando si ha la percezione dell’impossibilità che possano costituirsi unità totali, sistemi unificanti e assoluti di valore, forze terrestri capaci di sostituirsi alla caduta divina. Scrive a questo proposito Jaspers:
Sono questi alcuni esempi di come il domandare radicale possa condurre nello smarrimento o nel nulla, fino a far sospettare che solo la mancanza di problematicità possa consentire la vita o sia almeno condizione di vita. Ma l’uomo, una volta che pensa, non vuol ingannarsi. Filosofare è quel pensare che non si pone limite alcuno. E solo attraversando il pericolo del nulla (allein durch die Gefahr des Nichts hindurch) è possibile, filosofando, trovare la via.9
Si comprende a questo punto quanto siano estranee le interpretazioni nichiliste del pensiero di Jaspers, perché non è nichilismo mettere a nudo la pratica infondata della vita che si regge sull’assenza di problematicità (Fraglosigkeit), la fede implicita nella pretesa assolutizzante della scienza (Wissenschaftsaberglaube), la minacciosa sicurezza (bedrohende Sicherheit) della fede esplicita, la malafede del totalitarismo e l’ingenuo consenso.
Eppure non è nello smascheramento di queste figure il guadagno più significativo del pensiero di Jaspers, ma in ciò che si è capaci di ricavare dal suo movimento e soprattutto dal naufragio in cui si compie. Sì, perché la filosofia di Jaspers è un compiersi come testimonianza di una crisi che non si può leggere sul volto tranquillo della scienza, della fede o del potere, dove il naufragio non può esprimersi se non a costo del loro naufragio.
La filosofia jaspersiana esprime il naufragio non come teoria del naufragio, ma naufragando effettivamente, perché proprio mentre cerca l’essere non lo trova, mentre vive nella parola non ve n’è una su cui si possa fermare. Anche quando parla del naufragio non se ne compiace, per questo è rimossa più di altre e diventa oggetto di quell’obiezione tipica, secondo cui è una filosofia che, non toccando il compimento, non riesce a concludere.
Certo, non riesce a concludere perché rimane fondamentalmente aperta. Di essa si potrebbe dire quello che Jaspers dice della filosofia in generale:
C’è la tendenza a prendere in mano e a possedere la filosofia come si fa coi libri sacri e i sacramenti, ma la filosofia proibisce questa sorta di impetuoso reclutamento. Già il senso del suo nome dice che essa non è sapienza, ma amore per la sapienza. C’è in essa qualcosa di acerbo, qualcosa che tiene a distanza. Il suo compito è di sciogliere tutta la dogmatica che si è voluto fare prendendo le mosse da essa.10
Accettando di essere soluzione (Er-lösung) solo come scioglimento (Auf-lösung) di tutte le dogmatiche costruite in nome della filosofia, la filosofia di Jaspers si offre come critica. Ma la critica è crisi, è lacerazione di sé e dell’oggetto, è un’apertura interrogante intenzionata alla risposta, ma non più che intenzionata. Nell’intenzione i livelli critici si fondono, e la loro fusione espone la critica alla crisi. Mantenere la crisi è impedire che il mondo delle risposte copra la domanda e la invada fino a oscurare la radice che l’ha generata, è non consentire che false gratificazioni vengano a soddisfare il desiderio di verità. Esercitare la critica è fare questa scelta sospensiva, che è poi lo spazio della libertà, che toglie quel limite (Grenze) che ha avuto modo di riconoscere come limite.11
Il riconoscimento prende inizio solo dalla situazione aperta e interrogante di quella filosofia la cui incapacità a risolvere (er-lösen) è proprio ciò che la rende idonea a sciogliere (auf-lösen) quanto si è solidificato per chiusura critica. A questo punto l’incapacità della filosofia a risolvere, lungi dall’essere sterile inconcludenza, è rifiuto a essere soluzione. Per questo Jaspers scrive:
La filosofia come tale deve rinunciare alla soluzione (Philosophie muss auf solche Erlösung verzichten). Essa è in grado di offrire solo qualcosa che ha una certa analogia con la soluzione, come la liberazione per... (Befreiung zur...).12
Si può comprendere questa frase solo se ci si persuade che essere liberi non è un dato, ma piuttosto che ci si libera. La libertà è liberazione. Solo così si comprende l’organicità che gli scritti politici di Jaspers13 hanno con la sua filosofia. Il concetto di libertà, carico di valori metafisici, si misura, in quegli scritti, con la realtà degli enti, dove più evidente è la precarietà del fondamento assoluto e la molteplicità dei punti di vista.
Bisogna quindi accettare il tentativo che immediatamente non conclude, ma innesca un itinerario che non approda a soluzioni generali o a contenuti programmatici, solo perché scorge movimenti più profondi e da essi si lascia condurre. In questo senso Jaspers, rendendo risibili i razionalismi assolutizzanti, può dire che “la filosofia conduce lungo quella via che è essa stessa (Die Philosophie führt auf den Weg, der sie ist)”.14 Lungo la via non sovrasta le cose, ma le legge come cifre, a proposito delle quali, Jaspers scrive:
L’esistenza può captare risposte solo quando si autocomprende in riferimento all’essere. Queste risposte sorgono dalla profondità del fondamento trascendente e si presentano in immagini e in concetti che, come oggetti di volta in volta finiti, sono simboli. Nella problematizzazione dell’oggettività il simbolo, afferrato dalla coscienza, diventa cifra, ossia manoscritto di qualcos’altro che, illeggibile coi criteri dell’universale validità, è decifrato esistenzialmente. Se l’oggetto dovesse essere fissato nella sua oggettività e scambiato con la trascendenza si rivelerebbe senza consistenza e crollerebbe. Ma quando in esso si manifesta qualcosa di assoluto per l’esistenza, allora è reale in un modo unico e incomparabile. L’oggetto, dissolvendosi come oggettività, porta alla presenza l’essere autentico per l’esistenza.15
L’atto interpretativo può esistere, dunque, perché il mondo è una scrittura cifrata (Chiffreschrift), altrimenti non ci sarebbe bisogno né di filosofia, né di interpretazione. Importante è che la filosofia nelle sue risposte non cancelli le domande, e questo è possibile solo se offre le sue risposte unicamente come delle nuove e più autentiche cifre, capaci di non mettere a tacere la tensione interna alla parola che di volta in volta nomina la cosa.
Fino a che punto, infatti, una parola significa? Se non si chiude con un atto violento l’orizzonte della significazione, il significato di una parola non appartiene solo a ciò che essa significa, ma a quel più di significato che la cifra aggiunge nel suo rinviare all’orizzonte della significazione rimasto aperto.
Il naufragio della filosofia come soluzione porta all’apertura dello spazio come ulteriorità di significazione. Per questo, scrive Jaspers: “La filosofia può levare la cataratta alla nostra cecità, ma allora noi con i nostri occhi dobbiamo vedere”.16 Qui Jaspers cede la mano e il gioco passa a noi. A nostra volta, abbiamo saputo leggere nella misura in cui abbiamo rintracciato un cammino.
1 Cfr. il capitolo 7: “Jaspers: l’Umgreifende e l’operazione filosofica fondamentale”.
2 K. Jaspers, Von der Wahrheit, Piper, München 1947, p. 37.
3 Ivi, pp. 38-39.
4 Ivi, p. 39.
5 Ibidem.
6 J.-P. Sartre, L’être et le néant (1943); tr. it. L’essere e il nulla, il Saggiatore, Milano 1966.
7 Cfr. il capitolo 85: “La fede come tutela della verità e la fede come dimenticanza e alienazione della verità”.
8 K. Jaspers, Von der Wahrheit, cit., p. 29.
9 Ibidem.
10 Ivi, p. 966.
11 Sul problema della “critica” e sul rapporto tra “critica e ontologia” si vedano le pagine stimolanti di S. Natoli in Ermeneutica e genealogia. Filosofia e metodo in Nietzsche, Heidegger, Foucault, Feltrinelli, Milano 1981, pp. 93-134.
12 K. Jaspers, Von der Wahrheit, cit., p. 965.
13 Id., Die Schuldfrage (1947); tr. it. La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania, Raffaello Cortina, Milano 1996; Die Atombombe und die Zukunft des Menschen (1958); tr. it La bomba atomica e il destino dell’uomo, il Saggiatore, Milano 1960; Freiheit und Wiedervereinigung. Über Aufgaben deutscher Politik (1960); tr. it. La Germania tra libertà e riunificazione, Comunità, Milano 1961; Wohin treibt die Bundesrepublik? (1967); tr. it. Germania d’oggi, Mursia, Milano 1969.
14 Id., Von der Wahrheit, cit., p. 966.
15 Id., Philosophie (1932-1955), Einleitung; tr. it. Filosofia, Introduzione, Utet, Torino 1978, p. 33.
16 Id., Von der Wahrheit, cit., p. 966.