86.

La legge del giorno e la passione per la notte

Il giorno è legato alla notte, perché sussiste alla sola condizione di naufragare e alla fine perdersi nel vero senso della parola. Esso è regolato dall’idea di una costruzione positiva da attuare nel divenire storico, in cui ciò che sussiste è voluto nella consapevolezza della sua relativa durata. Ma la notte ammonisce: tutto ciò che diviene deve andare in rovina. [...] Infatti, se è vero che di per sé il giorno non vuole il naufragio, è altrettanto vero che può realizzarsi solo se accoglie ciò che prima non aveva voluto, e che ora comprende come sua intrinseca necessità.

K. JASPERS, Filosofia (1932-1955), Libro III: Metafisica, p. 1049.

Alla volontà che cerca la verità nel tempo si pone come tragica alternativa quella che Jaspers così enuncia:

La volontà di verità, attraverso la coscienza tragica, è posta di fronte a un’alternativa: o vivere ed errare, o afferrare la verità e in ciò morire (entweder leben und irren oder Wahrheit ergreifen und daran sterben).1

La tragicità risiede nel fatto che la volontà di verità o vive (leben) agganciata alla razionalità che assolutizza la verità parziale che si è manifestata nel tempo, e in questo modo conserva presso di sé la falsità (irren) connessa alla parzialità del vero, oppure abbandona la razionalità che assolutizza la parte, e si desitua nella direzione dell’ulteriorità problematicamente indicata dalla cifra. In questo caso la volontà di verità muore come razionalità per realizzarsi come esecuzione di un progetto fideistico, a favore del quale la ragione che si afferma nel tempo non dice nulla. L’alternativa è radicalizzata da Jaspers nell’antinomia del giorno e della notte (die Antinomie von Tag und Nacht):

La legge del giorno mette ordine nel nostro esserci, esige chiarezza, consequenzialità e fedeltà, lega alla ragione e all’idea, all’Uno e a noi stessi. Essa vuole la realizzazione nel mondo, la costruzione nel tempo, il compimento dell’esserci lungo una via che va all’infinito. Ma ai confini del giorno ci parla qualcos’altro. Il non avergli dato ascolto non ci lascia quieti.
La passione per la notte sconvolge ogni ordine. Precipita nell’abisso senza tempo del nulla che tutto trascina nel suo vortice. Ogni costruzione che si manifesta storicamente nel tempo appare al suo sguardo come vana illusione. Siccome la chiarezza non le consente di penetrare nulla di essenziale, essa la trascura per rivolgersi a tutto ciò che non è chiaro, perché è l’oscurità atemporale di ciò che è autentico. Per una necessità che non si lascia comprendere, né giustificare, diventa incredula e infedele nei riguardi del giorno. Per essa non esistono né compiti, né fini, perché essa è quella forza che, con impeto, precipita nel mondo, per compiersi nell’abisso dell’annientamento del mondo.2

Nell’antinomia sta la filosofia come quell’essere frammezzo (Zwischensein) che chiede mediazione (Mitteilung) tra il giorno e la notte, tra la chiarezza della presenza e l’oscurità dell’assenza che adombra i profili della presenza. La tentazione costante è quella di concludersi nella presenza, di fare dei suoi limiti l’orizzonte della totalità, di ordinare la totalità così raggiunta con la ragione, e di situarvisi definitivamente ponendovi la propria dimora, anziché desituarsi nella direzione indicata da quelle cifre che non hanno a proprio conforto alcuna buona ragione. Infatti, scrive Jaspers:

La passione per la notte rimane per sua natura essenzialmente oscura [...]. Ogni tentativo di descrivere in termini più concreti la passione per la notte fallisce, perché ogni espressione precisa e determinata entra nella luce del giorno e quindi appartiene al giorno e soggiace alla sua legge. Nel campo della riflessione il primato spetta al giorno. Chiarire l’oscurità, che ha in sé la propria origine, significa eliminarla. Pertanto ogni concreta manifestazione della passione per la notte, quando è descritta, diventa artificiosa e banale e, nell’ambito di una possibile giustificazione, viene smentita e distrutta. Il giorno, infatti, non può riconoscere il mondo della notte, non può volerlo e neppure ammetterlo come possibile. Il mondo della notte è così lontano dalla possibilità di essere evidenziato in modo rigoroso, che il giorno può arrivare al punto di dichiarare nullo, insignificante e non vero ciò che per la notte è sostanza trascendente.3

A questo punto non c’è che la parola poetica, che non si muove tra concetti, ma tra luci e penombre, tra chiarori e adombramenti. Il suo dire non definisce, ma richiama, evoca, conduce nella drammaticità del presente le alternative tragiche che la ragione ama dissolvere, allontanando il più possibile gli estremi che prepotentemente si richiamano. Richiamare gli estremi è comporre la tragedia che non consente alla vita di vivere nella verità, ma richiede per la verità il sacrificio della vita. “Nasce da qui,” scrive Jaspers, “l’eterna domanda: è inevitabile che la verità procuri all’uomo la morte? La verità è forse la morte?”4 In questo senso, prosegue Jaspers, sembra parlare la coscienza tragica di Edipo e di Amleto:

Edipo è l’uomo che vuole sapere. Egli è superiore a tutti, con la ragione risolve gli enigmi e vince la Sfinge. Per questo diventa signore di Tebe.È quindi l’uomo che non accetta alcun inganno, che porta alla luce gli atti orribili da lui commessi senza saperlo. In questo modo Edipo determina la propria rovina. Egli conosce benissimo la salvezza e la maledizione connesse alla sua ricerca, ma accetta l’una e l’altra perché vuole la verità. [...] Il vate Tiresia non può fare a meno di concludere: “Oh tu infelice per la tua coscienza e la tua sorte”.5
Amleto nel suo dramma incarna la condizione stessa dell’uomo nella tragicità della domanda: “È possibile scoprire la verità? È possibile vivere nella verità?”. [...] La tragedia di Amleto è il brivido del sapere ai confini dell’umano, dove non c’è alcun avvertimento, alcuna indicazione preferenziale, ma solo il sapere intorno all’essere che si manifesta attraverso il non sapere peculiare a quell’anelito di verità in cui l’esserci naufraga: “Il resto è silenzio”.6

Gli esempi di Edipo e di Amleto esprimono lo scacco a cui va incontro chi tenta di raggiungere la verità totale nel tempo. ll tentativo è eroico, l’esito è tragico. Ma proprio dall’esperienza del tragico nasce l’indicazione decisiva: forse la liberazione e la salvezza risiedono nel sacrificare la verità nel tempo in vista della sua manifestazione oltre il tempo, forse la verità riluce nel naufragio della ragione, nell’infedeltà alla legge del giorno. Forse. Perché il sacrificio della chiarezza razionale, espressa dalla legge del giorno, in vista del suo oltrepassamento indicato dal rinvio della cifra, può essere salvezza come può essere perdita estrema.

La cifra, infatti, è problematica, la fede che richiede è rischio, la passione per la notte non fa vedere la positività dell’esito, l’oscurità che l’avvolge fa sì che la liberazione dalle contraddizioni del giorno sia solo sperata, non garantita. D’altra parte concludere il proprio itinerare là dove ogni significato vien meno, dove cessa il nostro sapere, pur di garantire la vita nell’ambito circoscritto e concluso del saputo, “potrebbe sembrare una sfida alla vita”.7 Così almeno suonerebbe alla passione per la notte “quel voler vivere a qualunque costo, nel posto che è stato assegnato, così, semplicemente, senza porre problemi e senza fare domande [...] trattenuti solo dalla paura della morte”.8 E questo perché, scrive Jaspers:

La coscienza tragica si avvolge in una serie di contraddizioni senza risolverle, certo, ma senza nemmeno sancirne l’insolubilità. [...] Il tragico infatti nasce dalla non-unità, le cui conseguenze appaiono in ciò che si manifesta. Questa non è una deduzione, ma solo un chiarimento intorno a ciò che si manifesta. Nel suo non lasciarsi ridurre a unità si radica la rovina di ogni singola realtà che si manifesta. Dal momento che l’Uno naufraga nell’esserci temporale, esso si presenta nelle vesti del tragico. Ciò significa che il tragico non è la realtà assoluta, ma una realtà contingente. Il tragico non abita la trascendenza, il fondo dell’essere, ma solo ciò che appare nel tempo.9

Questa conclusione è di fondamentale importanza, perché dice che la dimensione del tragico non appartiene alla verità in quanto tale, ma alla sua manifestazione temporale, alle esigenze della notte che intervengono nell’ordine del giorno, alla presenza quando i suoi sensi e i suoi significati richiamano l’assenza. Ne segue che il naufragio della razionalità della legge che regola il giorno, il suo essere sacrificata e perduta per il richiamo della notte è un sacrificio e una perdita che si realizzano solo nel tempo (im Sein der Zeit begründete Scheitern),10 e quindi solo provvisori. Questa provvisorietà è ciò che giustifica il progetto, altrimenti contraddittorio, secondo il quale la verità sarebbe salvata solo perdendola (Hier würde ein Sichbewahren gerade ein Sichverlieren sein).11 Tale progetto si sottrae alla contraddizione solo in quanto la rinuncia alla verità sia intesa come provvisoria, e cioè come mezzo per la realizzazione totale della verità. In questo senso, scrive Jaspers:

La ragione nella sua totalità sta di fronte alla passione per la notte. Questa appare come un che di inevitabile, di necessario, come un prezzo che bisogna pagare e che ha come conseguenza un autoannientamento provvisorio che, sebbene sia male, è però in grado di annientare il Male. La vita ragionevole del giorno è fondata su questa notte, senza la quale il giorno stesso non sarebbe.12

Nella terra destinata a ospitare il tramonto di quel sole che, sorto nell’aurora del mattino, ha signoreggiato il giorno, la filosofia di Jaspers si pone come richiamo della notte, ovvero di quella trascendenza, di quell’assenza dell’essere, a cui l’Occidente è rimasto infedele per tutto il suo giorno. Infatti, scrive Jaspers:

La notte alla quale mi affidai a occhi aperti non è il nulla, non è il male puro e semplice. Al di là del bene e del male, che hanno valore finché c’è una scelta da fare, la notte è male solo per il giorno, che però avverte di non essere il tutto. Quando, affidandomi al giorno, mi sottraggo alla notte, non ho la consapevolezza assoluta di una verità senza colpa, ma so che mi sono sottratto a una esigenza che lanciava appelli. Non si diede ascolto a una trascendenza quando fu avvertito il giorno e la fedeltà al giorno.13

1 K. Jaspers, Von der Wahrheit, Piper, München 1947, p. 315.

2 Id., Philosophie (1932-1955): III Metaphysik; tr. it. Filosofia, Libro III: Metafisica, Utet, Torino 1978, p. 1041.

3 Ivi, p. 1043.

4 K. Jaspers, Von der Wahrheit, cit., p. 943.

5 Ivi, pp. 934-936.

6 Ivi, p. 943.

7 Ivi, p. 946.

8 Ibidem.

9 Ivi, p. 160.

10 Ivi, p. 321.

11 Ivi, p. 377.

12 Ivi, p. 534.

13 K. Jaspers, Filosofia, Libro III: Metafisica, cit., p. 1045.

Il tramonto dell'Occidente. Nella lettura di Heidegger e Jaspers
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