15.
Il periodo assiale dell’umanità
Fino a oggi l’umanità è vissuta di ciò che è avvenuto nel periodo assiale, di ciò che allora è stato pensato e creato.
K. JASPERS, Origine e senso della storia (1959), p. 26.
Dall’itinerario speculativo percorso da Heidegger nella sua interpretazione dei presocratici emerge, fra tutte, un’esperienza originaria che si raccoglie intorno all’essere pensato come phýsis, da cui gli enti traggono il loro essere (pýnai) e il loro manifestarsi (phaínesthai). Essendo l’essere ciò che costituisce gli enti nei loro limiti (péras), l’essere è in sé ápeiron: ciò a proposito del quale è impossibile tracciare limiti, per cui è intrascendibile e inoggettivabile.
Questi concetti stanno alla base anche della concezione jaspersiana dell’essere come Umgreifende che, comprendendo e delimitando ogni cosa, sempre si sottrae a ogni tentativo di comprensione e limitazione, a cui è stato sottoposto dalle numerose ipotesi ontologiche affermatesi nella storia del pensiero. Al loro posto deve subentrare la periecontologia che si rapporta all’essere come i presocratici alla phýsis quando componevano i loro “perì phýseos”.
Alla base non c’era il tentativo di comprendere l’essere per organizzarlo in un sistema costituito, ma quella meraviglia che nasce non da ciò che si domina, ma da ciò che ci trascende e, trascendendo, stupisce. Di fronte alla trascendenza non c’è risposta o sapere che possa considerarsi come sapere definitivo, ma c’è il farsi più radicale della domanda che si ripropone al di là di ogni risposta conseguita.
Nella domanda che chiede dell’essere (Seinsfrage) è custodita l’essenza metafisica del pensiero. La metafisica infatti è un interrogare perì phýseos, o come dice Jaspers: un fragen nach dem Sein, un interrogare l’essere al di là di ogni sistemazione ontologica, nello spazio periecontologico che si dischiude ogni qualvolta si riscatta l’essere dal sistema, per lasciarlo sussistere come problema.
Se la “meta-fisica” è quel pensare, oltre gli enti (metà tà physiká), la trascendenza dell’essere, non si dà un sapere metafisico, perché in questo caso l’essere sarebbe trasceso e compreso dal sapere. La metafisica è possibile solo come domanda inesauribile. Il trascendimento, in cui Jaspers colloca questa domanda, non è da intendersi come trascendimento dell’essere, perché, una volta trasceso, l’essere cesserebbe di essere l’intrascendibile e la metafisica, ricadendo nell’ambito della fisica, vedrebbe smascherata l’illusione nascosta nella pretesa dell’oltre (metá).
Il pensiero trascendente, in cui si esprime la metafisica, è quel pensiero che si colloca oltre gli enti nell’ascolto problematico dell’inesauribile messaggio dell’essere, la cui parola è “cifra”, e il cui senso è problema senza fine. In questo spazio può annunciarsi il sacro, attraverso sentieri che nulla hanno a che fare con il sapere e la logica che al sapere ha dato forma e assetto. Sono i sentieri della fede, intesa come ulteriorità rispetto al sapere, come si conviene di fronte a ciò che infinitamente trascende. Il pensiero “meta-fisico”, nell’accezione jaspersiana del termine che fa riferimento a quel pensiero che pensa oltre e al di là (über hinaus) dell’ente, è rintracciabile in quello che Jaspers chiama “periodo assiale dell’umanità”.
Un asse della storia mondiale, supposto che ne esista uno, dovrebbe essere trovato empiricamente, come un fatto valido, come tale, per tutti gli uomini, compresi i cristiani. Tale asse dovrebbe essere situato nel punto in cui fu generato tutto quello che, dopo d’allora, l’uomo ha potuto essere, nel punto della più straripante fecondità nel modellare l’essere umano; esso dovrebbe essere, per l’Occidente, per l’Asia e per tutti gli uomini senza riguardo a un determinato contenuto di fede, se non empiricamente cogente e palese, perlomeno così convincente dal punto di vista della penetrazione empirica, da dar vita a una struttura comune di autocomprensione storica per tutti i popoli. Questo asse della storia appare dunque situato intorno al 500 a.C., nel processo spirituale svoltosi tra l’800 e il 200. Lì si trova la più netta demarcazione della storia. Allora sorse l’uomo come oggi lo conosciamo. A quest’epoca diamo per brevità il nome di periodo assiale.1
In questo periodo, ricorda Jaspers, si concentrano i fatti più significativi e determinanti per il volto che andrà via via assumendo l’umanità. In Cina vissero Lao-Tzu e Confucio che posero le basi del pensiero cinese. In India apparvero le Upanisad, meditò Buddha, e, come in Cina, si esplorarono tutte le possibilità del pensiero fino allo scetticismo e al materialismo, alla sofistica e al nichilismo. In Iran Zarathustra diffuse l’eccitante visione del mondo come lotta tra il bene e il male. In Palestina fecero la loro apparizione i profeti da Elia a Isaia, Geremia, fino al Deutero-Isaia. La Grecia vide Omero, i poeti tragici, i filosofi: Talete, Anassimandro, Eraclito, Parmenide. Con tutto ciò che questi nomi implicano, si può dire che quasi contemporaneamente in Cina, in India e in Occidente presero forma la storia e il pensiero nei termini in cui ancora oggi noi li conosciamo.
Fornire una spiegazione biologica del periodo assiale è una parafrasi dell’enigma, e cattiva per giunta, perché trascura il fatto evidente che non tutta l’umanità, biologicamente coeva, non tutti gli uomini che a quel tempo popolavano la terra raggiunsero quelle tonalità di pensiero e di espressione che solo pochi uomini, anzi pochissimi, conseguirono nelle tre zone geografiche sopra citate. Nel periodo assiale non è in gioco tutta l’umanità, ma una sua piccola frazione, nelle cui espressioni sono rintracciabili i caratteri che l’uomo andrà via via assumendo nei periodi successivi, sì da potersi sempre riconoscere ciò che, in quel periodo, è stato espresso.
Senza dubbio anche la preistoria ha la sua importanza, ma spiritualmente essa non è storia, perché questa esiste solo dove vi è una coscienza del tempo e del suo trapassare. È nella coscienza di questo trapassare che l’uomo, animato dal desiderio di eternarsi, lascia traccia di sé in quelli che oggi, dal punto di vista oggettivo, si chiamano reperti, testimonianze, documenti, ma che soggettivamente erano rudimentali e, se si vuole, ingenue espressioni ispirate dalla volontà di opporsi al divenire cosmico.2 Da questa volontà che si oppone trae origine la coscienza dell’uomo e la sua storia. La storia, è bene ricordarlo, non è mai oggetto, ma sempre soggetto; essa è raccolta in quella frazione del passato che si lascia assimilare e ricondurre al presente, in cui l’uomo si esprime e da cui parte per scoprire le proprie origini. La preistoria, pur essendo in effetti la base di tutto, è di per sé ignota e come tale inaccessibile al riandare della coscienza.
Ricondurre l’uomo alla preistoria invece che alla sua storia significa interpretarlo ancora una volta biologicamente, e quindi dimenticarne l’essenza che quotidianamente lo differenzia dal mondo animale. Di questo s’è già detto.3 Qui basterà ricordare che l’uomo, che quanto ad adattamento al mondo è biologicamente inferiore agli animali, presenta una superiorità coscienziale che gli deriva proprio dalla carenza della sua struttura biologica.4 A questo punto perché cercare l’essenza dell’uomo nella naturalità biologica della preistoria, che procede per semplici e progressive differenziazioni fisiologiche, una volta che si è individuata la sua specificità nella superiorità coscienziale che ha la storia come suo campo di manifestazione? Quando si ha a che fare con l’uomo, infatti, ciò che interessa non è tanto l’animalità (zôion) con cui l’uomo, per via della sua carenza istintuale, ha scarsa parentela, quanto il lógos che lo possiede (lógos échon), e, possedendolo, lo dischiude a quelle possibilità che all’animale sono inaccessibili. A differenza dell’animale, infatti, l’uomo sa che deve morire e, scrive Jaspers:
Nel rifiuto di questa situazione limite, egli sperimenta l’eternità nel tempo, la storicità come manifestazione dell’essere, nel tempo l’obliterazione del tempo. La sua coscienza storica si identifica con la coscienza dell’eternità [...]. La storia, sia essa un interludio tra condizioni astoriche, oppure una penetrazione nel profondo, sempre conduce nella sua interezza, anche sotto forma di sconfinato disastro, fra pericoli e ripetuti naufragi, alla manifestazione dell’essere tramite l’uomo.5
Le grandi comunità sorte prima del periodo assiale sono caratterizzate da una visione non problematica dell’essere. I fondamentali problemi umani sono inseriti in un sapere sacro di carattere magico, non aperti all’irrequietezza della ricerca, a parte alcuni emozionanti tentativi che però restano senza seguito. In ogni caso, osserva Jaspers: “Il problema del senso non è espressamente posto. È come se la risposta precedesse la domanda”.6 Non così nel periodo assiale, dove, scrive Jaspers:
La novità di quest’epoca, in tutti e tre i mondi in cui si è espressa, è costituita dal fatto che l’uomo prende coscienza dell’essere come Umgreifende, di se stesso e dei suoi limiti. Egli viene a conoscere il carattere terribile del mondo e la propria impotenza. Pone domande radicali. Di fronte all’abisso anela alla liberazione e alla redenzione. Comprendendo coscientemente i suoi limiti si propone obiettivi più alti. Incontra l’assolutezza nella profondità dell’esser-se-stesso e nella chiarezza della trascendenza.7
L’essere, che fino allora aveva affidato la sua parola al mito, ora l’affida al lógos, che, a differenza del mito, non offre indicazioni o risposte, ma approfondisce domande, penetrandole nella loro radicalità. Compreso dal lógos, il mito diventa materiale di un linguaggio che, invece di rispondere, interroga la týche, gli dèi, la Sfinge. Quanto è stato eternato dal mito in una dimensione astorica viene ripensato dal lógos come passato umano, le cui conseguenze si lasciano scorgere nelle sequenze drammatiche della tragedia, che segue il nesso di colpa ed espiazione nel corso delle generazioni. Dalla calma del fato si passa all’inquietudine degli opposti e delle antinomie. L’inaudito diventa manifesto. L’essere si dispiega al di fuori della scissione tra soggetto e oggetto, in cui si vedrà costretto dalla logica matematica dimentica del lógos.
Per il lógos l’essere è coincidenza degli opposti che realizzano un’unità incomprensibile per il pensiero speculativo oggettivante. Sollecitato dal lógos, qualche uomo si sottrae alla vicenda associata dei suoi simili che commerciano quanto il quotidiano mette a loro disposizione, si ritira nel deserto, nella foresta o sui monti, come eremita scopre la potenza creativa della solitudine, e infine ricompare nel mondo come sapiente, saggio, profeta. Se è filosofo, guarda le stelle sollecitando il riso di una servetta trace.8 Ha inizio la separazione tra abbandono del pensiero e sua cura, tra senso comune e filosofia.
Già all’inizio di questo risveglio dello spirito autenticamente umano, l’uomo che vi partecipa è circondato dal ridicolo, che rende insignificante per i più la sua consapevolezza di appartenere a un’età tarda, addirittura decadente. Il senso della catastrofe imminente incombe su quanti, accattivati dal pensiero, concretano nell’imminenza storica la fugacità del reale, e perciò vengono sollecitati a porre piani e riforme che non hanno un valore giuridico, come ha creduto la successiva cultura occidentale, ma un valore metafisico. Questo almeno è il senso della díke di Anassimandro, del pólemos di Eraclito, fino alla politeía di Platone.
Il periodo assiale, con la sua intuizione dell’essere come Umgreifende, non giunse a compimento, ma si estinse sul nascere a opera di quella téchne che già Platone nel Simposio definisce “arte del produrre che fa passare qualsiasi cosa dal niente all’essere”.9 Dopo secoli di incubazione, la téchne, come sconcerto metafisico che fa passare qualcosa dal niente all’ente, esplode come scoperta dell’Occidente nella potenza della sua aggressione. La sua tematizzazione e la sua presa di coscienza rappresentano per Jaspers il secondo periodo assiale, il cui futuro resta aperto a forme imprevedibili:
A partire dalla fine del Medioevo il mondo occidentale creò in Europa la scienza moderna e con essa, dopo la fine del XVIII secolo, l’era della tecnica, il primo avvenimento interamente nuovo nella sfera spirituale e materiale dopo il periodo assiale.10
Di fronte a questa successione, Jaspers si pone due domande: perché dei motivi espressi dal periodo assiale solo la trama scientifico-tecnica s’è svolta in termini così grandiosi da definire nella sua totalità una cultura? Perché un simile evento s’è verificato solo in Occidente specificandone il volto “come mai nessun altro evento dall’inizio dei ricordi storici”?11
1 K. Jaspers, Vom Ursprung und Ziel der Geschichte (1959); tr. it. Origine e senso della storia, Comunità, Milano 1965, pp. 19-20.
2 Si veda a questo proposito U. Galimberti, La terra senza il male. Jung: dall’inconscio al simbolo (1984), Feltrinelli, Milano 2001, capitolo 11: “La metafora gnostica”.
3 Cfr. il capitolo 5: “L’uomo come luogo della manifestazione dell’essere”.
4 A differenza degli animali, infatti, l’uomo dispone solo di generiche e imprecise pulsioni e non di quegli istinti che, articolando un determinato modo di essere al mondo, garantiscono a ogni specie animale la sua sopravvivenza. Per effetto di questa carenza, l’uomo, per vivere, è costretto a costruire quel complesso di artifici, o tecniche, capaci di supplire l’insufficienza di quei codici naturali che, per gli animali, sono gli istinti. In questo scenario, i termini “anima” o “coscienza” possono essere pensati in riferimento alla radicale incompiutezza che caratterizza la natura umana di cui l’escogitazione tecnica è la compensazione. La tesi è antica. La troviamo nel Protagora (321a322a) di Platone, nella Summa Theologiæ (Parte I, Questione 76, articolo 5) di Tommaso d’Aquino, nella Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico (Tesi III) di I. Kant. La stessa tesi è stata riproposta nell’Ottocento da J.G. Herder, A. Schopenhauer, F. Nietzsche, e nel nostro secolo da A. Gehlen e H. Bergson. Per un approfondimento si veda U. Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica (1999), Feltrinelli, Milano 2002, Parte II: “Genealogia della tecnica: l’incompiutezza umana”.
5 K. Jaspers, Origine e senso della storia, cit., pp. 73-74.
6 Ivi, p. 74.
7 Ivi, p. 20.
8 Si veda a questo proposito H. Blumenberg, Das Lachen der Thrakerin. Eine Urgeschichte der Theorie (1987); tr. it. Il riso della donna di Tracia. Una preistoria della teoria, il Mulino, Bologna 1988.
9 Platone, Simposio, 205 b-c. Sulla concezione platonica della tecnica si veda U. Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, cit., capitolo 29: “Platone: la tecnica come espressione della razionalità e del nesso tra scienza e potenza”, e capitolo 30: “Platone: tecnica e politica. La gerarchia delle tecniche e la politica come tecnica regia”.
10 K. Jaspers, Origine e senso della storia, cit., p. 45. Sul “secondo periodo assiale” si veda Parte VIII: “La matematicità del pensiero moderno e la fondazione dell’umanismo”.
11 Ivi, p. 88.