Introduzione
Lo spaesamento sta diventando un destino mondiale. È allora necessario pensare questo destino in relazione alla storia dell’essere. [...] Infatti, di fronte a uno spaesamento che investe l’essenza dell’uomo, il futuro destino dell’uomo si mostra al pensiero che pensa la storia dell’essere nel fatto che egli trovi una via verso la verità dell’essere e si metta in cammino verso questa scoperta.
M. HEIDEGGER, Lettera sull’“umanismo” (1946), pp. 292-294.
Il recupero della verità dell’essere e della sua parola non ancora alienata assume, inzialmente, il senso di un ritorno, il ritorno a quel tempo in cui il pensiero occidentale cominciò a individuarsi e a separarsi progressivamente da quello aurorale in cui l’uomo, al di là di ogni distanza spaziale e culturale, si pensava testimone dell’essere, e dell’ente solo per dono.1
La difficoltà maggiore che si incontra nell’esecuzione di questo compito è costituita dalla mancanza del linguaggio. Quello offerto dall’Occidente è inadeguato perché del linguaggio originario ne è il travisamento, o, se si preferisce, il tramonto. Il tramonto tuttavia conserva nel suo attenuarsi la luce dell’alba. Sarà allora possibile, attraverso la metafisica del tramonto, risalire al domandare che l’ha generata, per ripensarla di nuovo nella sua purezza non ancora contaminata dalle risposte che l’Occidente ha di volta in volta fornito.
Qui non si tratta di approntare una nuova strada, ma di liberare l’antica, custodendo con la massima cura le orme che ancora vi si trovassero impresse. Il sentiero che così si dischiude muove dall’essenza dell’alienazione occidentale per scoprire la terra smarrita. Nel tragitto l’uomo erra. Dall’errare può nascere l’errore, come smarrimento tra i sentieri che “disviano”, ossia che conducono fuori dalla via dove l’errare diventa “aberrante”, ma dove può anche trovarsi il sentiero che avvicina, che conduce nella vicinanza della terra smarrita.
Per questo occorre un modo di pensare diverso da quello che si è affermato in Occidente. Un modo di pensare che sia in grado di rovesciare le prescrizioni della logica e che non abbia finalità “acquisitive”, almeno nel senso abituale del termine, che è poi il senso della civiltà occidentale che finora ha sviluppato solo un pensiero “prensile” e perciò concettuale (cum-capere, be-greifen).
La decostruzione delle strutture logiche, lo s-terminio dei termini e della loro terminazione, sospendendo la perentorietà e la cogenza dei contesti in cui l’esistenza storica viene di volta in volta a trovarsi, libera l’uomo per altre possibilità espressive. Queste, collocandosi al di là di ogni fondamento (Grund), sotto la cui tutela il modo di pensare occidentale s’è sempre trattenuto, appaiono come possibilità abissali (Ab-grund). A percorrerle è tanto l’“ermeneutica” che Jaspers sviluppa in Von der Wahrheit, quanto l’esegesi che lo Heidegger successivo a Sein und Zeit intraprende come “esodo”.
Utilizziamo queste diverse nominazioni: ermeneutica ed esegesi per evidenziare quel “salto” che Heidegger, a differenza di Jaspers, fa nell’abisso. Infatti, se l’approdo di Jaspers al naufragio della filosofia come soluzione porta all’apertura ermeneutica dello spazio come ulteriorità di significazione, dove è consentito dis-correre dall’una all’altra interpretazione, senza legarsi definitivamente a nessuna, Heidegger conosce l’abisso non solo come assenza di fondamento (Ab-grund) e quindi come impossibilità di un sapere assoluto, ma anche come regione totalmente diversa, a cui per accedere non basta proseguire il cammino (Weg), ma occorre un salto (Sprung) che sappia condurci fuori da quell’abituale modo di pensare che non consente di accedere a quel luogo che, scrive Heidegger: “non è solo l’altro lato dell’abisso, ma una regione totalmente diversa”.2
Finché non si avvista questa regione, la terra della sera non può che continuare a inoltrarsi nella sua sera che precede la notte: la sua storia, infatti, prese le mosse dall’oblio dell’essere, dalla dimenticanza della sua prossimità. Infatti, scrive Heidegger:
L’Occidente non è da pensare regionalmente in contrapposizione all’Oriente, né semplicemente come Europa, ma nella prospettiva della storia del mondo a partire dalla vicinanza all’origine prima. [...] La patria di questo abitare storico è la vicinanza dell’essere. [...] Solo così può cominciare, a partire dall’essere, il superamento di quello spaesamento, in cui non soltanto gli uomini, ma l’essenza dell’uomo sta vagando.3
E se proprio qui si raccogliesse l’appello dell’essere nel tempo della povertà estrema (dürftige Zeit)? Prima che la notte giunga, l’invito rivolto a quanti ancora abitano la terra della sera è quello di ripercorrere all’indietro i sentieri che hanno allontanato dall’“aurora del primo mattino”. Forse la luce che il tramonto concede consente ancora di scorgere le tracce che l’essere, per dono, ha lasciato di sé anche nel tempo dell’oblio.
1 Cfr. Parte II: “Le parole del pensiero aurorale” e Parte III: “Il linguaggio del periodo assiale”.
2 M. Heidegger, Was heisst Denken? (1952) (conferenza); tr. it. Che cosa significa pensare?, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1976, p. 88.
3 Id., Brief über den “Humanismus” (1946); tr. it. Lettera sull’“umanismo”, in Segnavia, Adelphi, Milano 1987, p. 291.