80.

Il mondo come scrittura cifrata.
Fenomenologia della cifra

La cifra è ciò che rende presente la trascendenza senza oggettivarla e senza tradurre l’esistenza in mera soggettività. Come nella coscienza in generale che presiede il sapere scientifico l’esperimento è il termine medio tra soggetto e oggetto, così la cifra è il termine medio tra esistenza e trascendenza.

K. JASPERS, Filosofia (1932-1955), Libro III: Metafisica, p. 1077.

Nella consapevolezza del tramonto di una tradizione bimillenaria, dove non si sa se il compito sia quello di recuperare storicamente il passato o di progettarsi profeticamente nel futuro, dove il presente si offre nell’ambiguità di ciò che rivela, ma nello stesso tempo nasconde, dove il pensiero sembra esaurire le sue possibilità in una logica che serve più a ordinare che a pensare, e dove si ha l’impressione che non ci sia più nulla da pensare perché ogni senso pare già assegnato, Jaspers traccia il compito della filosofia in termini che dicono fiducia nel pensiero, nella sua azione libera e non manipolata dalla situazione storica, che tende sempre a considerare se stessa come compimento e quindi a risolvere le possibilità del pensiero nella realtà (Realität) da essa espressa. Questa, imponendosi come l’assoluto, dissolve nell’utopico ogni tentativo trascendente verso la realtà autentica (Wirchlichkeit), traducendo l’esistenza (Existenz) in mero esser-ci (blosse Da-sein) pago della situazione in cui si trova, del proprio “ci (da)”. Per questo, scrive Jaspers:

Il criterio di verità della filosofia è quello di trovare il cammino della ragione che consente di lasciar agire il pensiero (den Gedanken wirken zu lassen).1

“Lasciar agire il pensiero” significa innanzitutto sottrarlo alla coercizione in cui è costretto dalla ragione scientifica che poggia sulla coscienza intersoggettiva (Bewusstsein überhaupt) che da tempo costituisce l’unico ambito in cui l’uomo riconosce se stesso e a cui solamente affida le proprie speranze che anticipano il futuro. Un futuro che si annuncia come inevitabile ripetizione del passato, se è vero che la tecnica non è altro che l’applicazione della comprensione fisico-matematica del mondo, e il futuro nient’altro che la più rigorosa esecuzione di quel dominio dell’essere che l’uomo persegue dalle sue più lontane origini.

Ma affinché “la libera azione del pensiero” possa trovare soggetti disponibili ad accoglierla è necessario che si annunci in modalità che convergano nella situazione attuale del pensiero, in modo che l’annuncio sia recepibile, e possibile sia l’e-ducazione in grado di condurre il pensiero dalla costrizione, in cui attualmente si trova, alle possibilità che gli sono proprie, ma che attualmente gli sono impedite, o, se lasciate essere, lo sono come irrilevanti o comunque non incidenti nella sorte dell’uomo.

Oggi il pensiero esprime se stesso nella fedeltà al dato. Qui si raccoglie la sua positività e la sua scientificità. Realizzare forme diverse di pensiero è “fare della letteratura, della poesia, della filosofia”, espressioni, queste, che sottintendono una svalutazione rispetto all’ambito privilegiato del pensiero scientifico che nulla concede alla “fantasia”.

Ebbene Jaspers affida proprio alla fantasia il compito di riscattare il pensiero dalla ristrettezza (Enge) scientifica in cui oggi è confinato; ma, da scienziato e poi da filosofo, non rifiuta la lezione scientifica, non stacca la fantasia dal dato, ma la individua proprio nel dato che, nel momento di dare qualcosa, nasconde il Tutto che pure è la condizione perché qualcosa si dia. Infatti, scrive Jaspers:

Per la coscienza in generale la realtà dell’esserci2 si risolve negli oggetti dell’orientazione nel mondo. Ma nella realtà non risolta razionalmente, e in quella in via di risolvimento, la fantasia vede l’essere, non perché ha effettivamente posto un essere dietro l’esserci, sì da poterlo inferire fantasticamente, ma perché è l’essere stesso che, nella cifra, si rende presente all’intuizione fantastica. Io non posso conoscere l’essere come conosco l’esserci, ma posso solo leggere l’esserci come cifra senza oltrepassare il suo carattere simbolico. Nell’orientazione del mondo conosco l’essere mediante concetti, ma solo mediante la fantasia posso leggere l’essere nell’esserci. Essa esprime quel paradosso per cui l’esistenza, qualunque cosa sia, non può essere scambiata con la totalità dell’essere, ma per conservarsi nella trascendenza, abbandona tutta la sicurezza che le proviene dall’esserci come tale. Certo anche la fantasia filosofica fa uso di concetti, ma questi non le servono come materiali per una costruzione dell’esserci, perché, per essa, i concetti non valgono come tali, ma in quanto si convertono, come tutto, in cifra. Questo guardare l’esserci in trasparenza è simile a una vera intuizione fisiognomica che “sa” solo ciò che è presente nell’intuizione, a differenza della cattiva fisiognomica che, nel tentativo di giungere a un sapere, inferisce dai segni un substrato. Nella cifra, l’essere che ho di fronte è connesso alle radici del mio essere, senza essere per questo identifico con me. Io sono veramente quando sono me stesso nella cifra, senza perseguire uno scopo, o un interesse empirico.3

La fantasia, come funzione cognitiva oltrepassante la datità dell’esperienza, viene presentata da Jaspers, al di là dei limiti estetici in cui è solitamente circoscritta, come una funzione di cui la coscienza ha bisogno a tutti i livelli, da quelli meramente percettivi a quelli storici desituanti. In questo modo Jaspers si ricollega a Kant, per il quale: “La conoscenza percettiva sarebbe impotente senza la sintesi dell’immaginazione”,4 e a Husserl per il quale: “La finzione è la sorgente da cui la conoscenza delle ‘verità eterne’ trae il suo nutrimento”.5

La datità dell’oggetto, a cui fa riferimento la coscienza in generale nella sua orientazione scientifica nel mondo (Weltorientierung), è qualcosa che fenomenologicamente non si dà se non mediante l’intervento di una fede percettiva messa in opera dalla fantasia, che così completa l’apparire e conferisce senso a quell’emergenza che dell’oggetto propriamente appare. E questo perché, scrive Jaspers:

L’essere di cui abbiamo un’esperienza immediata non è che un fenomeno che appare sugli altri; l’essere che conosciamo mediante ciò che appare, in sé non è immediatamente esperibile.6

Quando diciamo di vedere una casa, in realtà vediamo solo una facciata che emerge su uno sfondo che non è percorso direttamente dallo sguardo, ma che è dato come un insieme in cui si distingue la casa. La serie dei rapporti che si concludono nella casa, facendola apparire, in sé propriamente non appaiono, perché sono nascosti proprio dal lato della casa che si offre alla vista, eppure sono presupposti da quella fede percettiva che consente, in presenza della sola facciata, di “vedere” la casa. Questo significa, come scrive Jaspers, che:

Il nostro conoscere procede dalla totalità indeterminata del nostro mondo all’oggetto determinato, per compiersi in una consaputa comprensione del mondo definita e conclusa nei suoi orizzonti.7

Ciò dipende dal fatto che la nostra coscienza è sempre una coscienza situata, e come tale può aprirsi al mondo solo da un punto di vista (Standpunkt), in una prospettiva, su questi aspetti e solo successivamente su altri. A motivo di questo limite, le cose sono colte per lati, per profili, per adombramenti, che diventano significanti solo se la fantasia li completa e li coordina, conducendosi sulla linea di quei rapporti che l’osservazione, dal punto di vista in cui è situata, non vede, ma suppone affinché ciò che ha sotto gli occhi possa aver senso.8

Siccome però, come sottolinea Jaspers: “Ogni mia visione è legata a un certo punto di vista, e ogni mia ricerca non può mai prescindere dalla mia prospettiva”,9 che cosa spinge a cambiare punto di vista in modo da aggirare l’oggetto e cogliere quegli aspetti che dal precedente punto di vista restavano celati? Che cosa induce a sospettarne l’esistenza, sì da invitare alla successione dei punti di vista e quindi alla proiezione oltre la propria situazione? A promuovere la desituazione non è certo l’apparire dei lati nascosti, che compaiono appunto a desituazione avvenuta, ma è la fantasia che, di fronte al non-concluso apparire delle cose, promuove quella fede percettiva che afferma ciò che propriamente non appare, ma che nello stesso tempo l’apparire manifesta come incompiutezza di ciò che appare.

Il campo della fantasia e della fede percettiva che essa promuove è dunque il non apparire, l’inadeguatezza, il limite di ciò che appare, il suo vuoto, la sua mancanza, a cui la presenza rinvia e che, non colta, non consentirebbe di cogliere il senso di ciò che appare. E come a livello percettivo, la fantasia promuove quella desituazione dello sguardo che consente, in presenza di una facciata, di vedere la casa che alla facciata dà senso, così, a livello metafisico, la fantasia desitua il pensiero, affinché questo proceda oltre ciò che è immediatamente presente, per trovare il senso di ciò che è immediatamente presente, ma che la presenza immediata non rivela. Questo, perché il senso delle cose, dei dati, non è tanto in ciò che si dà, quanto in ciò a cui il dato, nel darsi, rinvia. Infatti, scrive Jaspers:

Ogni ente determinato che mi si presenta si offre come ciò che sta in relazione ad altro a cui rinvia, e in relazione a me a cui sta di fronte.10

Lo spazio del rinvio è occupato da quella fantasia fideistica che, trattando gli oggetti come cifre, li impiega come termini che rinviano a quell’assenza che dà senso alla presenza. Proprio perché abbraccia assenza e presenza, Jaspers chiama la coscienza umana Umgreifende: l’Umgreifende che noi siamo (das Umgreifende das wir selbst sind) dischiuso a quell’Umgreifende che è l’essere stesso (das Umgreifende das Sein selbst ist).11

Questa denominazione vuole sottolineare che la coscienza, prima di essere coscienza di qualcosa, è propriamente un abbracciare, un com-prendere (um-greifen), un con-essere. Nel suo abbraccio, nel suo “con (um)”, la coscienza trattiene la cosa e il suo altro, che è essenziale per delimitare, determinare e quindi comprendere la cosa. L’altro è ciò che la cosa non è, e il suo non-essere è ciò a cui rinvia. Essere e non-essere sono dunque il contenuto originario della coscienza. Infatti, scrive Jaspers:

Ogni essere determinato, ogni essere conosciuto è sempre compreso da un essere più ampio, per cui ogni volta sperimentiamo, oltre alla positiva comprensione di un particolare (“particolare” è anche ogni teorizzato sistema della totalità dell’essere), anche ciò che l’essere non è.12

Il rilievo jaspersiano ci invita a riflettere che a ogni nostra puntuale conoscenza si accompagna una negazione e un riferimento.Il termine negato, e al tempo stesso richiamato dalla non-esaustività di ogni conoscenza, è la totalità, in relazione alla quale la fantasia fideistica legge gli oggetti come cifre rinvianti, e così manifesta a tutti i livelli, siano essi percettivi, storici o metafisici, la propria funzione di trascendenza, di tensione de-situante oltre ciò che è effettivamente percepito, storicamente ordinato, “ontologicamente” fissato una volta per tutte.13

Leggere il mondo come scrittura cifrata significa allora assumere una disposizione, di fronte alle cose, che non si trattiene nell’ambito circoscritto del loro apparire per procedere a una “sistemazione del dato”, ma che oltrepassa il dato verso quell’assenza a cui l’apparire rinvia, ma che propriamente non appare.

Lo spazio di questa assenza, che si estende dall’apparire puntuale alla totalità che non appare, è lo spazio della possibilità che la cifra richiama come completamento, come seguito, come futuro, come senso di ciò che appare. In questo modo la cosa che appare, e che con il proprio apparire attesta il proprio essere, letta come cifra, dispone sulla via del non-essere, sulla via di ciò che essa non è, ma che al tempo stesso non è impossibile che le convenga, quindi sulla via del possibile.

Trascendere è percorrere la via del possibile, in cerca dell’ulteriorità che custodisce il senso di ciò che appare e che la puntualità dell’apparire lascia tras-parire. E-sistere è desituarsi da questa puntualità, è disporsi nel campo dell’assenza, ove è possibile rinvenire un senso. Per questo Jaspers chiama l’esistenza: “esistenza possibile (mögliche Existenz)” e, nella possibilità così dischiusa, riconosce il senso ultimo della libertà. Infatti, scrive Jaspers:

Soltanto per l’esistenza, la trascendenza diventa quella realtà (Wirklichkeit) che, sfuggente in ogni fenomeno, ma per se stessa mai sfuggente, è propriamente ciò grazie a cui sono libero.14

Come e-sistenza, l’uomo vive nel campo dell’assenza o del possibile. Questa assenza, ricoperta dalla lettura cifrata del mondo, non si traduce in un rifiuto del mondo, in una sua soppressione, ma semplicemente in una sospensione del suo senso. “Il mondo viene per così dire posto nella dimensione dell’esser-sospeso”.15 La sospensione (Schwebe) vuole evitare due false assolutizzazioni che nascono da un improprio isolamento (isolierende Verabsolutierung): l’assolutizzazione della trascendenza, intesa come realtà completamente separata dal mondo, e l’assolutizzazione del mondo come unico ambito in cui ogni senso e ogni significato si risolve.

Nel primo caso la fantasia fideistica si tradurrebbe nell’evasione fantastica e, al limite, nell’allucinazione o nella schizofrenia,16 nel secondo caso si priverebbe l’uomo della sua e-sistenza, intesa come possibilità che, desituandosi dal campo circoscritto della presenza (Gegenwartigkeit), si protende verso quell’assenza (Nichtgegenwartigkeit) che è l’essere come lontananza dalla presenza attuale, come sporgenza di tutta l’oggettività nel suo futuro (Zukunft), nel suo avvenire, che è poi l’ad-venire (zu kommen) all’uomo.17

La presenza “avviene” in uno sfondo di assenza che consente a ciò che si presenta di presentarsi e di apparire per quello che è. Nella struttura originaria dell’apparire, presenza e assenza si richiamano vicendevolmente. Già in questo richiamo si raccoglie quella tensione metafisica (metaphysische Spannung) che, di fronte al dato, non si arresta, ma, sulla scorta della negatività con cui ogni dato si presenta, procede in cerca della pienezza di senso che, stante la negatività di ciò che si presenta, è sempre un al di là.

A proposito dell’esperienza metafisica (metaphysische Erfahrung), pensata come un’esperienza di fondo inscritta in ogni puntuale esperienza, e intesa come percezione di senso (Sinneswahrnehmung), Jaspers osserva che:

L’esperienza metafisica mi pone dinanzi all’abisso, dove sperimento tanto la carenza desolata che si determina quando l’esperienza si riduce a mera esperienza dell’esserci, quanto la ricchezza che si produce quando l’esperienza, rendendosi trasparente, diventa cifra.18

“Senso” significa a un tempo significato e rinvio. E come nell’esperienza percettiva, le altre facce dell’oggetto, nascoste dalla faccia che appare, sono colte in assenza, seguendo il rinvio dei profili della faccia esposta, così, nell’esperienza metafisica, la pienezza di senso, l’esperienza dell’essere è esperienza di una presenza e insieme di un’assenza (trostlosen Mangel) che transpare (transparent wird) nella presenza percepita (im blosse Daseinserfahrung). In questo modo Jaspers capovolge l’asserto empirista esse est percipi19 nel suo contrario esse non est percipi, perché l’essere si annuncia come mancanza dell’apparire, come assenza di senso, come quell’ulteriorità che la datità oggettiva lascia trasparire. Per questo, scrive Jaspers:

Gli oggetti del mondo sono trasparenti. Dall’oscurità dell’essere essi ci vengono incontro come suoi aspetti, come suo linguaggio. Essi non sono conclusi in se stessi; assunti nel loro isolamento si rivelano privi di senso; dissolvendo la loro trasparenza appaiono incompiuti (endlos), nulli (nichtig), non veri (unwahr). [...] Assunti invece come cifre, ovvero come manifestazioni dell’essere, gli oggetti divengono suo linguaggio, nel senso che, provenendo dall’essere, mi colpiscono come ciò che all’essere rinviano quando tento di costruire un senso.20

C’è dunque una duplicità custodita nell’apparire di ogni oggetto nel mondo. Esso può arrestare a sé l’itinerare della coscienza e trattenerla nelle catene, oppure può rinviarla in vista di una determinazione ulteriore, di un senso più radicale. Leggere il mondo come scrittura cifrata significa allora decidersi per questa seconda possibilità, sentire la passione per più profonde chiarezze ontologiche, in cui si raccoglie il senso di ciò che nel mondo inadeguatamente appare e, nella sua inadeguatezza, inevitabilmente rinvia.

1 K. Jaspers, Mein Weg zur Philosophie (1951-1958); tr. it. Il mio cammino verso la filosofia, in Verità e verifica. Filosofare per la prassi, Morcelliana, Brescia 1986, p. 22.

2 Per Jaspers “esserci (Dasein)” non è, come per Heidegger, sinonimo di esistenza (Existenz). Per Jaspers, “esserci” è la realtà empirica (Realität) contrapposta alla realtà autentica o totalità del reale (Wirchlichkeit). “Realtà dell’esserci” è la “datità” come tale. Per la terminologia jaspersiana si veda la “Nota del curatore” che precede la mia traduzione di K. Jaspers, Filosofia, Mursia, Milano 1972-1978, e Utet, Torino 1978, pp. 55-58.

3 K. Jaspers, Philosophie (1932-1955): III Metaphysik; tr. it. Filosofia, Libro III: Metafisica, Utet, Torino 1978, p. 1094.

4 I. Kant, Kritik der reinen Vernunft (1781, 1787); tr. it. Critica della ragion pura, Laterza, Bari 1959, pp. 201-202.

5 E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie (1912-1928); tr. it. Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Einaudi, Torino 1965, vol. I, p. 151.

6 K. Jaspers, Von der Wahrheit, Piper, München 1947, p. 37.

7 Ivi, p. 38.

8 Per un approfondimento di questa tematica si veda il saggio di V. Melchiorre, L’immaginazione simbolica, il Mulino, Bologna 1972, e in particolare il capitolo 1: “La funzione dell’immaginario”.

9 K. Jaspers, Philosophie (1932-1955): I Philosophische Weltorientierung; tr. it. Filosofia, Libro I: Orientazione filosofica nel mondo, Utet, Torino 1978, p. 184.

10 Id., Von der Wahrheit, cit., p. 37.

11 Ivi, pp. 53-112.

12 Ivi, p. 38.

13 A proposito dell’uso jaspersiano del termine “ontologia” e della differenza da lui instaurata tra ontologia e periecontologia, cfr. il capitolo 34: “Necessità del naufragio di ogni ontologia. Ontologia e periecontologia”.

14 K. Jaspers, Von der Wahrheit, cit., p. 110.

15 Ivi, p. 106.

16 K. Jaspers, Allgemeine Psychopathologie (1913-1959); tr. it. Psicopatologia generale, Il Pensiero Scientifico, Roma 2000, pp. 65-85.

17 Id., Von der Wahrheit, cit., p. 105.

18 Id., Filosofia, Libro III: Metafisica, cit., p. 1070.

19 G. Berkeley, A treatise concerning the principles of human knowledge (1710); tr. it. Trattato sui principi della conoscenza umana, Utet, Torino 1996, Parte I, § 3, p. 199.

20 K. Jaspers, Von der Wahrheit, cit., p. 108.

Il tramonto dell'Occidente. Nella lettura di Heidegger e Jaspers
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