76.

Il nichilismo secondo Jaspers

È nichilismo assolutizzare la realtà empirica o quella oggettivata dal sapere scientifico, senza saper cogliere, nell’una e nell’altra, altrettante cifre che rinviano a una possibile ulteriorità di senso.

K. JASPERS, Von der Wahrheit (1947), p. 316.

Secondo Jaspers il nichilismo di Nietzsche non coincide con l’essenza del nichilismo perché si limita al superamento dei valori della tradizione. L’essenza del nichilismo è più profonda, essa va ricercata sul piano della trascendenza come oggettivazione del suo orizzonte, per cui dell’essere, che sta oltre l’ente oggettivamente conosciuto, ne è nulla.

Figure conseguenti all’essenza del nichilismo così definito sono: da un lato la divinizzazione dell’uomo (Menschenvergötterung), in quanto coscienza in generale (Bewusstsein überhaupt) che scientificamente controlla la totalità dell’ente oggettivato, dall’altro il disprezzo dell’uomo (Menschenverdämmerung) in quanto esistenza (Existenz), a cui si vieta ogni possibilità di de-situazione esistenziale, per la clausura ontica che si viene a determinare con l’oggettivazione della trascendenza.

Sebbene inadeguato, il nichilismo di Nietzsche ha avuto, secondo Jaspers, l’enorme pregio di porre l’uomo contemporaneo di fronte alla situazione estrema (angesichts des Äussersten), costituita da quel niente che si dischiude quando, oggettivando la trascendenza, si priva l’esistenza della propria essenza che è nell’e-sistere, ovvero nel de-situarsi, nell’oltrepassare la propria situazione, mediante la libertà a cui l’uomo è donato. Infatti, scrive Jaspers:

La filosofia dell’esistenza è la filosofia che non si esaurisce con il pensare l’essere-uomo, ma procede oltre l’uomo. Essa abbraccia ciò che rende possibile all’uomo l’essere-uomo. L’uomo, infatti, non è senza l’assoluto altro che sta di fronte a lui, su cui si misura, dal quale viene e dal quale procede. Se esso debba chiamarsi il Nulla, il Tao, l’Uno, la Trascendenza o il Dio di Geremia non ha importanza, esso è l’essere, che è quello che veramente importa, e di cui dobbiamo accertarci nel breve periodo della nostra vita. Vivere in modo esistenziale significa divenire uomo nel senso più profondo, e ciò è possibile solo in armonia e in rapporto con l’essere, attraverso il quale e nel quale noi siamo. Non è possibile esistenza senza trascendenza.1

Con il crollo di tutti i valori, l’uomo come popolo, come società, come individuo, non si lascia più interpretare sulla base di ulteriori fondamenti, perché il mondo in cui si trova inserito non giustifica più ideali trascendenti. “La situazione spirituale del nostro tempo” prevede un uomo “senza illusioni” che, trovandosi in un mondo divenuto oggettivamente privo di senso, disincantato, e perciò rigorosamente “realistico”, viene rigettato su se stesso, e quindi obbligato a ristabilire da solo la connessione tra le cose, a ristabilire un “suo” rapporto con la realtà, e a “creare” un senso sul piano pratico e su quello teoretico.2

Ma proprio qui si manifesta l’equivoco che nasconde il nichilismo dell’Occidente. Nel rifiutare la trascendenza dei valori l’uomo occidentale, giunto al tramonto della sua storia come storia di valori, ha rifiutato anche la dimensione trascendente come tale, come oltrepassante l’uomo, risolvendo il tutto nell’immanenza della ragione.

La ragione è trascendente rispetto al singolo uomo, ma non rispetto all’uomo in generale, di cui è invece l’espressione. In questo senso l’uomo è divinizzato (come ragione umana che tutto progetta) e a un tempo disprezzato (come singolo uomo che non deve far altro che adeguarsi ai progetti della razionalità condivisa). Ma soprattutto l’uomo è defraudato della propria essenza in quanto tensione oltrepassante l’universo circoscritto e pre-determinato dalla ragione.

Il nichilismo sotteso alla prepotenza della ragione investe la trascendenza, la libertà e l’esistenza. Questi termini sono tra loro così intimamente connessi che lo smarrimento di uno è lo smarrimento di tutti. Per comprendere la loro connessione occorre tener presente che la libertà non è una proprietà dell’uomo, ma l’uomo è donato alla libertà (geschenktwerden), perché, in quanto e-sistenza, l’uomo è quell’uscir-fuori (libertà) dalla situazione in cui si trova, in vista di ciò che sta oltre (trascendenza). Va da sé che quanto più si limita l’ulteriorità, quanto più la si riduce, tanto più si riduce la possibilità di de-situarsi, e quindi la libertà dell’esistenza.

Ora la storia dell’Occidente è una storia di continue e progressive riduzioni che, dall’ampiezza dell’ápeiron e dall’immensità del Tao, hanno condotto a questo mondo-ambiente (Um-welt) così razionalizzato, dove tutti, senza eccezione, se vogliono vivere, sono chiamati a lavorare per esso, e dove la libertà non è libertà da, ma all’interno del guscio (Gehause) da cui è impossibile desituarsi. In tal modo la nientificazione della trascendenza ha risolto nel nulla libertà ed esistenza.

Le tappe che hanno condotto a questo nichilismo sono per Jaspers la riduzione dell’apertura periecontologica alla clausura ontica, con il conseguente smarrimento del senso dell’essere, che, da comprendente (periéchon) la totalità dell’ente, è stato da questo assorbito e compreso, da Umgreifende è stato ridotto a leere Begriff, vuoto concetto3; quindi la riduzione della totalità ontica all’orizzonte dell’intelletto intersoggettivo, che fa di ogni ente un oggetto per quel soggetto che è la coscienza in generale (Bewusstsein überhaupt).

Questa, ponendosi come ragione scientifica e tecnica, ha dissolto nell’illusione, perché non scientifica, ogni ulteriorità che non fosse da essa direttamente verificabile con gli strumenti della propria logica assolutizzata. Il nichilismo dell’Occidente è dunque l’esito del progressivo nientificarsi dello spazio libero (Raum frei) della trascendenza, e quindi dell’esistenza e della libertà dell’uomo.

Se il nichilismo nasce dall’oggettivazione della trascendenza, dal suo risolvimento nella ragione immanente, dal nichilismo si potrà uscire solo spezzando (durchbrechen) l’orizzonte circoscritto dell’oggettività, e vivendo quella tensione (Spannung) desituante che libera per l’essere autentico. Spezzare l’oggettività e vivere la tensione ha il sapore di una perdita. Eppure, scrive Jaspers:

La perdita dell’assolutezza delle cose e della teoria della conoscenza oggettiva che l’ha realizzata significa, per coloro che vi avevano trovato il loro appoggio, nichilismo. [...] Ma il niente che così si dischiude, l’abisso che si apre, diventa lo spazio della libertà. Ciò che aveva l’apparenza del nulla si manifesta come ciò da cui ci parla l’essere autentico.4

L’itinerario non ha un significato mistico, perché l’essere non è l’assoluto al di là, ma è quella trascendenza immanente che si annuncia nell’apparire storico, nell’accadere ontico, senza peraltro esaurirsi nella storicità degli accadimenti. Il suo apparire è un accadere, l’accadimento rivela, ma insieme nasconde l’essere come totalità dell’apparire e dell’accadere. Questa ambivalenza, per cui il rivelare è un nascondere, è ciò che fa di ogni oggetto una cifra che deve essere de-cifrata.5

Rompere (Brechen), irrompere (Einbrechen), spezzare (Durchbrechen) l’oggettività dell’oggetto è decifrare la cifra, è dischiudere quello spazio che per il soggetto, che conclude il suo orizzonte nei confini dell’oggettività, è nulla.

L’oltrepassamento di questi confini non avviene sulla scorta di un sapere. La certezza (Gewissheit) che anima la tensione desituante non è di natura scientifica (Gewusstheit), ma di natura fideistica (Glaube). Essa consiste nell’impossibilità di accettare che l’originario (Ursprung) coincida con l’oggettivamente conosciuto (Gegenständliche), che l’essere si risolva nella totalità posseduta degli enti.

Il meta-fisico a cui tende la ragione quando supera i limiti dell’intelletto scientifico, il meta-storico a cui tende l’esistenza quando si desitua, non sono l’al di là platonico assolutamente trascendente, perché, scrive Jaspers: “L’al di là come realtà totalmente altra è un’illusione, e come tale deve cadere”,6 e ciò è dovuto al fatto che: “il luogo della trascendenza non è né di qua né di là, ma è confine”.7

L’essere si annuncia attraverso l’onticità oggettivamente conosciuta e attraverso la storicità oggettivata. “Attraverso (quer)” qui non significa “mediante”, ma significa “attraversare” e, attraversando, “intra-vedere”, “com-prendere”, come il santo è attraversato dal sacro o come il poeta è attraversato dall’intuizione che lo pervade e lo comprende. Allo stesso modo la realtà ontica (Realität) e la sua storia (Historie) è attraversata (quer) dall’essere, ossia da quella realtà autentica (Wircklichkeit) a cui ogni ente e ogni evento rinviano.

Il nichilismo nasce quando “l’ente, nella sua oggettività (Gegenstand-sein), vela ciò a cui, in quanto presenza (Gegenwärtig-sein), rinvia”.8 Dal nichilismo si esce quando il conoscere (Erkennen), che si arresta all’oggettività dell’ente, cede il posto al pensare (Denken) che, oltrepassando l’oggettività, scopre l’ente come messaggio dell’essere e, pensando attraverso (quer) l’ente, si realizza come accertamento dell’essere (Seinsvergewisserung, Seinsinnewerden).

La logica dell’Occidente, che nell’oblio dell’essere ha assolutizzato l’ente, per poi ridurlo a oggetto per un soggetto, non conosce questo modo di pensare. Incapace di superare la conoscenza oggettiva, si proibisce la trascendenza e si trattiene nel nichilismo che nasce ogni volta che non si conosce niente oltre l’ente. Infatti, scrive Jaspers:

È nichilista chi non crede a nulla se non a ciò che è percepibile nella realtà, chi ritiene illusorio tutto ciò che non può né vedere né toccare, chi nega la libertà e considera se stesso un mero esser-ci concluso nel suo “ci”.9

1 K. Jaspers, Was ist Existentialismus? (1951), in Aneignung und Polemik, Piper, München 1968, p. 501.

2 Id., Die geistige Situation der Zeit (1931); tr. it. La situazione spirituale del tempo, Jouvence, Roma 1982, capitolo IV: “Le concezioni odierne dell’esser uomo”.

3 Cfr. il capitolo 34: “Necessità del naufragio di ogni ontologia. Ontologia e periecontologia”.

4 K. Jaspers, Einführung in die Philosophie (1953); tr. it. Introduzione alla filosofia, Longanesi, Milano 1959, pp. 66-67.

5 Cfr. Parte XIV: “Jaspers e il linguaggio della scrittura cifrata”.

6 K. Jaspers, Philosophie (1932-1955): III Metaphysik; tr. it. Filosofia, Libro III: Metafisica, Utet, Torino 1978, p. 944.

7 Ivi, p. 947.

8 Ivi, p. 1102.

9 K. Jaspers, Chiffren der Transzendenz (1970); tr. it. Cifre della trascendenza, Marietti, Genova 1990, p. 18.

Il tramonto dell'Occidente. Nella lettura di Heidegger e Jaspers
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