64.

Nel destino della ragione: totalitarismo e nichilismo

Finora c’erano solo delle immaginazioni fantastiche a proposito della fine del mondo, oggi con la bomba atomica siamo in presenza della possibilità reale di un simile esito nichilista. [...] Equivalente alla bomba atomica, come problema che mette in gioco l’esistenza dell’umanità come tale, è il totalitarismo. E qui non intendo il problema della dittatura, del marxismo, della teoria razziale, ma la struttura terroristica del sistema che distrugge ogni libertà e ogni dignità umana. Con la bomba atomica è perduta l’esistenza pura e semplice, con il totalitarismo l’esistenza degna di essere vissuta. Di fronte a queste due eventualità oggi è possibile venire a conoscenza di quello che vogliamo, di come vorremmo vivere, a che cosa dobbiamo essere disposti. Ambedue i problemi pare che appartengano a uno stesso destino. Almeno sono uniti fra loro in maniera praticamente indivisibile. L’uno non si lascia risolvere senza l’altro.

K. JASPERS, La bomba atomica e il destino dell’uomo (1958), pp. 14-15.

A parere di Jaspers, dopo la Seconda guerra mondiale l’esistenza umana è minacciata da due pericoli: la bomba atomica e il totalitarismo. I due problemi non si presentano in alternativa, ma in stretta connessione tra loro. Ed è proprio questa connessione ciò che rende la situazione praticamente insolubile e la possibilità di una revisione da parte dell’uomo della propria esistenza praticamente impossibile, perché la minaccia nichilista, rappresentata dalla bomba atomica, serve a proteggere le forze che perpetuano tale pericolo.

Infatti, la ragione tecnico-scientifica, che ha escogitato i mezzi della rovina totale, non sapendo come controllarla, struttura il proprio sistema in quei termini difensivi a cui collaborano tutti i membri, per cui la minaccia si traduce in una nuova possibilità di coesione e di irrigidimento delle strutture del sistema. Gli sforzi per prevenire una simile minaccia pongono in secondo piano, perché ormai inutile, la ricerca delle cause che l’hanno determinata. Queste restano così non identificate, non chiarite e soprattutto non sottoposte alla coscienza degli uomini, impegnati dal sistema in una difesa in cui non si capisce che cosa ci sia da difendere, dal momento che il sistema ha compromesso non solo l’esistenza “degna di essere vissuta”, ma l’“e-sistenza stessa” in quanto possibilità di de-situarsi dal sistema. Per desituarsi, infatti, non basta il “no” del rifiuto che si eleva solo in presenza della minaccia, perché, scrive Jaspers:

Come sotto il nazismo il no viveva sotto le condizioni che il nazismo offriva, quindi di fatto solo per mezzo del nazismo, e pertanto in modo colpevole, perché la propria vita non fu sacrificata con un no, così ogni no appartiene alla logica del sistema come tale, a quella logica che tutti irretisce in quella realtà che, solo di fronte alla minaccia, si rifiuta.1

Un simile rifiuto nasce, infatti, da quella falsa coscienza su cui è cresciuto il totalitarismo del sistema. La falsa coscienza si distingue da quella autentica perché all’interesse reale antepone l’interesse o il timore immediato. Per questo l’uomo, prima di opporsi al sistema, deve trovare la via che dalla falsa coscienza conduce alla vera coscienza, dall’interesse immediato al suo interesse reale. Perciò, scrive Jaspers:

La domanda che cosa devo fare può nascere solo dalla risposta: che cosa voglio essere. Qui cessano completamente sia gli scopi, sia i mezzi, sia il progettare, sia il fare.2

In questo modo si vanifica il sistema e le modalità della sua affermazione. Se questa è la direzione, la salvezza non dipende dalla strategia in cui è particolarmente abile il sistema, ma dall’esistenza di cui è competente solo l’uomo, qualora sia in grado di avvertire il bisogno di mutare il suo modo di vita, di negare il positivo, di rifiutarlo. E questo perché, scrive Jaspers:

Se il proseguimento dell’umanità è qualcosa che deve essere salvato, ciò può accadere solo con un nuovo modo d’esserci dell’uomo, la cui realizzazione non si lascia affidare a progetti, a provvedimenti o ad accordi. Il mantenere in vita l’umanità non è uno scopo che si può raggiungere portando a compimento un progetto, ma è una conseguenza del cambiamento profondo che si verifica nell’uomo quando, passando dalla semplice vita alla vita più degna, tiene fermo il suo compito non mai adeguatamente formulato e lo adempie sulla via aperta all’infinito.3

La vita “degna di essere vissuta” non si riferisce ad alcun valore da realizzare, ma semplicemente all’essenza dell’ec-sistentia che è essenza de-situantesi, contro la quale il sistema mobilita tutti i suoi mezzi repressivi affinché l’uomo stia nella sua situazione e viva la vita che la razionalità del sistema gli concede.

Infatti, solo riducendo a ciascuno la possibilità di desituarsi e fissando a ognuno la sua situazione, la razionalità del sistema può ridurre al minimo l’imprevisto, che disturba la sua logica, la sua efficienza e la sua funzionalità, e, ponendosi nelle condizioni di poter tutto pre-vedere e pre-determinare, può imporre tranquillamente la propria pre-potenza, che va dalla conquista scientifica della natura, per il reperimento dei beni da distribuire su scala sempre più ampia, alla conquista scientifica dell’uomo.

Una volta che l’uomo è ridotto a oggetto, rimane, come tutti gli oggetti, nella situazione per lui progettata. La sua esistenza, tesa all’oltrepassamento della situazione, è annullata se non addirittura affogata dall’appagamento dei beni che il sistema nella “società del benessere” mette a disposizione per placare le ansie, e che nelle “società del sottosviluppo” offre come obiettivi nel cui conseguimento incanala l’irrefrenabile volontà di desituarsi.

La vita del sistema si regge sulle sue capacità di sopprimere nell’uomo la vita “degna di essere vissuta” in cambio della vita “pura e semplice” che la sua razionalità è disposta a concedergli. Ora però, nella situazione che si è venuta a creare con la bomba atomica, la razionalità del sistema non è più in grado di garantire quella vita pura e semplice che prima assicurava, per cui all’uomo non si offre altra possibilità di salvezza se non quella di sottrarsi al sistema, di desituarsi, quindi di recuperare la “vita degna”. E questo perché, scrive Jaspers:

Nella nuova situazione, davanti all’abisso, la vita pura e semplice è legata alla vita più degna. Solo il vivere così conduce ad azioni che escluderebbero la distruzione attraverso la bomba atomica. La vita per cui l’uomo torna in se stesso è ora diventata condizione per la salvezza della vita pura e semplice.4

Ma chi, inserito nel totalitarismo del sistema, soggiogato dalla prepotenza della sua ragione, è in grado di cogliere questo legame che sovverte la razionalità del sistema, se a sua disposizione ha solo quei modi d’essere, di pensare, di parlare che sono conformi al sistema? Non è forse il sistema a propagandare il pericolo della bomba atomica per sfruttare l’angoscia che genera come un ulteriore strumento di coesione? E l’angoscia così generata non corrisponde alle attese della propaganda del sistema?

Che nichilismo paventano gli uomini di fronte alla minaccia della bomba atomica: la perdita della vita pura e semplice o di quella degna di essere vissuta? O forse il senso di quest’ultima è così smarrito e lontano da non suscitare ormai alcun problema e alcuna preoccupazione? Questa è la vera essenza del nichilismo: lo smarrimento da parte dell’uomo della sua essenza come originaria apertura all’essere che, incircoscrivibile (Umgreifende), chiama continuamente l’uomo a sé, lo invita a desituarsi, quindi ad abbandonare ogni posizione raggiunta e ogni appagamento.

A causa dello smarrimento della propria essenza l’uomo non avverte di essere ospitato dal niente che si determina in occasione dell’assentarsi dell’essere, rimosso dalla prepotenza della ragione. Lo avvertisse non vedrebbe il niente affacciarsi per la prima volta con la comparsa della bomba atomica, così come, scrive Jaspers:

Non lo vedevano i primi cristiani che nella fine del mondo scorgevano l’avvento del regno di Dio, e le meditazioni buddhistiche che, nel niente del mondo, vedevano il Nirvana di perfezione eterna.5

Si può dire allora che l’indice della dimenticanza del senso dell’essere e dell’essenza dell’uomo, che all’essere è dischiusa, è dato proprio dal timore che l’uomo prova di fronte alla nientificazione possibile a opera della bomba atomica. Questa infatti può distruggere la vita pura e semplice, i beni accumulati, la prepotenza della ragione che questa vita e questi beni hanno garantito, ma non può distruggere la vita degna dell’uomo e l’essere che, rivelandosi, la rende tale, perché il pericolo della bomba atomica compare in loro assenza, a causa della loro assenza, e, come pericolo, permane finché permane questa assenza. Per questo, scrive Jaspers:

Il futuro dell’uomo non è un futuro che, con inganno, viene falsamente promesso al meraviglioso e terribile impulso vitale, che non si stanca mai della vita e vuol sempre e soltanto continuare a vivere. Esso afferra noi tutti per la nostra felicità e per la nostra rovina. Non deve essere denigrato nella sua bellezza. Ma siccome esso non solo regala, ma anche inganna, non c’è in esso alcuna salvezza. Senza di esso non potremmo vivere. Con esso solo rimaniamo esposti a un’insufficienza annientante. [...] Il futuro dell’uomo, l’unico che ancora lo può accogliere, è la presenzialità dell’essere eterno che nei fenomeni ci viene incontro, finché ci viene incontro. Nessun altro futuro ci accoglie più se ne sperimentiamo la rovina. Ma che cos’è questa presenzialità che fa tutt’uno con l’eternità? [...] Questa presenzialità non è al di là delle cose temporali, bensì in esse e al di sopra di esse. È quello per cui soltanto ciò che è solo temporale è adempiuto e giunge a quiete. Esso solo resiste allo svuotamento, nell’insaziabilità dell’affannarsi nel tempo, rivolti a quanto, di altro, di continuo ci divora.6

Se l’uomo riesce a recuperare la sua ec-sistentia e si pone fuori (ec) dalla cura dell’ente impostogli dalla razionalità del sistema, se impiega l’ente non per ciò che offre alla sua potenza, ma per ciò a cui l’ente lo rinvia nella più radicale impotenza, da cui è stato distolto dal fascino della ragione, allora forse l’uomo può recuperare nuovi sensi e nuovi significati, che sono poi gli antichi custoditi nella presenzialità dell’essere. Infatti, conclude Jaspers:

Solo grazie a questa presenzialità dell’essere eterno, può darsi che venga scongiurato il suicidio dell’umanità. In questa presenzialità si raccoglie la speranza anche nel fallimento della ragione e dell’esistenza.7

1 K. Jaspers, Die Atombombe und die Zukunft des Menschen (1958); tr. it. La bomba atomica e il destino dell’uomo, il Saggiatore, Milano 1960, p. 551.

2 Ivi, p. 553.

3 Ivi, pp. 551-552.

4 Ivi, p. 552.

5 Ivi, pp. 571-572.

6 Ivi, pp. 574-575.

7 Ivi, p. 576.

Il tramonto dell'Occidente. Nella lettura di Heidegger e Jaspers
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