Capitolo 8

L’ospedale universitario di Lewisham era un vasto complesso di edifici in mattoni e vetrate futuristiche, con un’ala nuova di zecca in materiale plastico blu e giallo. Il parcheggio era affollato e un flusso costante di ambulanze intasava il pronto soccorso. Erika, Moss e Peterson parcheggiarono e raggiunsero a piedi l’ingresso principale, un atrio di vetro e acciaio di fronte al pronto soccorso. Videro una vecchia signora ferma all’ingresso sulla sedia a rotelle. Stava urlando contro un’infermiera inginocchiata di fronte a lei.

«È inconcepibile!», diceva puntandole contro l’indice nodoso. Aveva lo smalto rosso e curato. «Prima mi fate aspettare un’eternità e quando vi decidete a dimettermi mi lasciate qui per più di un’ora a cuocere al sole! Ancora non mi è stata restituita la borsa, e nemmeno il cellulare, e voi non state facendo niente!».

Diverse persone assistettero a quello spettacolo, uscendo dall’ospedale. Passò anche un gruppo di infermiere. Loro invece tirarono avanti senza battere ciglio.

«È lei: Estelle Munro, la madre di Gregory», disse Moss. L’infermiera li notò e si rialzò. Era una donna sui quarant’anni, aveva un volto gentile nonostante la stanchezza. Erika, Moss e Peterson si presentarono mostrandole i distintivi.

«Va tutto bene qui?», chiese Erika. Estelle, sulla sedia a rotelle, strabuzzò gli occhi. Era una donna elegante sulla sessantina, ma dopo la notte in ospedale i pantaloni chiari e la camicetta a fiori erano sgualciti, il trucco era sbavato e i corti capelli ramati in disordine. Sulle ginocchia teneva una busta di plastica con dentro delle décolleté di vernice nera.

«No che non va tutto bene…», si agitò la donna.

L’infermiera si mise le mani sui fianchi larghi e la interruppe: «Gli agenti che sono venuti a raccogliere la sua deposizione le hanno offerto un passaggio a casa, ma Estelle lo ha rifiutato».

«Certo che ho rifiutato! Non ho intenzione di arrivare a casa a bordo di un’auto della polizia, preferisco andare in taxi… So come funzionano queste cose, ho diritto a un taxi. Ma voi volete risparmiare ovviamente…».

Nel corso della sua carriera, Erika aveva notato spesso che il dolore e lo shock possono spingere le persone a reagire nei modi più disparati. C’era chi scoppiava in lacrime, chi ammutoliva e chi si lasciava prendere dall’ira. Chiaramente Estelle Munro faceva parte dell’ultima categoria.

«Mi hanno tenuta prigioniera per tutta la notte in quel buco infernale che si ostinano a chiamare pronto soccorso. Ho avuto solo un mancamento, niente di più. Ma no, no – io ho dovuto fare la fila, mentre i drogati e gli ubriaconi mi passavano davanti!». Estelle si voltò a guardare Erika, Moss e Peterson. «E poi arrivano i vostri colleghi e mi tempestano di domande. Come se fossi io il colpevole! E adesso che volete voi tre? Il mio bambino è morto… Me l’hanno ammazzato!».

A quel punto Estelle crollò. Strinse i braccioli della sedia e urlò a denti stretti: «Smettetela di starmi addosso, tutti quanti!».

«La nostra macchina non ha alcun segno identificativo, signora. Possiamo portarla a casa noi, subito, se lo desidera», rispose Peterson con una voce gentile, chinandosi verso la donna per offrirle un fazzoletto.

Estelle sollevò lo sguardo e lo fissò con gli occhi lucidi. «Dite davvero?».

Peterson annuì.

«Allora portatemi via, per favore. Voglio soltanto tornare a casa e starmene per conto mio», aggiunse prendendo il fazzoletto e premendoselo sul viso.

Grazie, mimò con le labbra l’infermiera.

Peterson tolse il freno alla sedia a rotelle e spinse la signora Munro fino al parcheggio.

«È arrivata in condizioni pessime. Era estremamente disidratata e in profondo stato confusionale», disse l’infermiera a Moss ed Erika. «Non ha voluto chiamare nessuno. Se qualcuno potesse assisterla per un po’, un vicino o una figlia, magari, sarebbe l’ideale. Ha bisogno di calma e riposo».

«Peterson se la lavorerà per bene, va fortissimo con le vecchiette», rispose Moss, guardandolo spingere la sedia a rotelle. L’infermiera sorrise e tornò dentro.

«Cavolo! Ce le ho io le chiavi, sbrighiamoci!», disse Erika. E corsero dietro a Peterson.

«Oh, che caldo…», esclamò Estelle appena salì sulla macchina rovente. «È da giorni che va avanti così!». Lei ed Erika erano sedute davanti, mentre Moss e Peterson stavano dietro.

Erika si sporse e l’aiutò a infilare la cintura, poi mise in moto. «Non si preoccupi, adesso parte l’aria condizionata».

«Per quanto tempo avete lasciato la macchina qui?», domandò Estelle quando vide che Erika mostrava il distintivo al guardiano del parcheggio, e lui li lasciava uscire senza chiedere nulla.

«Un quarto d’ora», rispose Erika.

«Se non foste stati della polizia, avreste dovuto pagare una sterlina e cinquanta. Un’ora intera. Anche senza sfruttarla fino in fondo, è lo stesso. Lo dicevo sempre a Gregory, gli chiedevo se si poteva fare qualcosa per i pazienti. Insomma, che siano costretti a pagare è uno scandalo. Mi rispondeva che avrebbe scritto alla nostra deputata in parlamento. Sapete, lui la conosceva. E la incontrava spesso, ai pranzi ufficiali…». Estelle non riuscì a terminare la frase, ma cercò il fazzoletto che ancora stringeva in mano. Si asciugò gli occhi.

«Le va un sorso d’acqua, Estelle?», chiese Moss che aveva comprato un paio di bottigliette al distributore automatico.

«Sì, grazie. Ma mi chiami signora Munro, se non le dispiace».

«Certo, signora Munro», rispose la poliziotta infilando la bottiglietta ancora fredda nello spazio fra i due sedili. Estelle svitò il tappo e bevve una lunga sorsata. Attraversarono Ladywell, superando il grande parcheggio adiacente all’ospedale dove un gruppo di ragazzini giocava a calcio sotto il sole cocente del mattino.

«Grazie al cielo, così va meglio», disse la donna, appoggiandosi al sedile mentre l’aria condizionata rinfrescava l’abitacolo.

«Possiamo farle qualche domanda, signora?»

«Non potete aspettare?»

«Più tardi raccoglieremo una sua deposizione ufficiale ma, come le ho già detto, adesso vorrei farle solo qualche domanda… Per favore, signora Munro, è importante».

«E va bene, allora».

«Lei credeva che Gregory fosse in vacanza?»

«Sì, in Francia. Doveva tenere un discorso a una conferenza della BMA, la British Medical Association».

«Ma non l’ha chiamata per dirle che era arrivato, giusto?»

«No, ovviamente no».

«E la cosa non le è parsa strana?»

«No. Non vivevamo in simbiosi. Mi sono detta che prima o poi mi avrebbe chiamata».

«Gregory e sua moglie si erano separati?»

«Sì. Penny», rispose Estelle, arricciando le labbra con disprezzo mentre pronunciava il suo nome.

«Posso chiederle perché?»

«Posso chiederle perché… Lo sta già chiedendo, mi pare, o no? E comunque Penny se l’è cercata. Ha chiesto lei il divorzio. Avrebbe dovuto farlo Gregory, semmai», disse Estelle scuotendo la testa.

«Perché?»

«Gli ha reso la vita un inferno. Dopo tutto quello che ha fatto per lei. Quella donna deve tutto a mio figlio. Prima di sposarsi, Penny viveva ancora con la madre, a trentacinque anni. Una donna orribile, tra l’altro. Non aveva grosse prospettive. Era una semplice segretaria nella clinica di Gregory. Hanno iniziato a frequentarsi e lei è rimasta incinta subito. Lo ha messo alle strette e l’ha costretto a sposarla».

«E perché ha dovuto per forza sposarla?», chiese Moss.

«So che di questi tempi va di moda mettere al mondo dei bastardi come se niente fosse. Ma il mio unico nipote non sarebbe stato un bastardo, no!».

«Quindi li ha spinti lei a sposarsi?», chiese Moss.

Estelle si voltò a guardarla. «No. L’ha voluto Gregory. Ha fatto la cosa più giusta».

«Era già stato sposato prima?», chiese Erika.

«Certo che no».

«Penny e Gregory sono rimasti insieme per quattro anni. Quindi suo figlio ne aveva quarantadue quando si è sposato, giusto?», chiese Moss.

«Sì», rispose Estelle.

«E ha avuto molte fidanzate prima del matrimonio?», domandò Peterson.

«Un paio. Ma nessuna relazione seria. Vedete, era preso da altro – la scuola di medicina prima, la clinica poi. Ne ha avute di ragazze carine, aveva solo l’imbarazzo della scelta. E invece ha dovuto prendersi quella segretaria arrivista…».

«Penny non le piaceva?», chiese Peterson.

«Secondo lei?», rispose Estelle lanciandogli uno sguardo eloquente dallo specchietto. «Non lo amava, voleva soltanto i suoi soldi. Io gliel’ho detto fin dall’inizio, ma lui non mi ha mai dato retta. Finché non è andata proprio come avevo previsto».

«Cosa è successo?», chiese Erika.

«L’inchiostro del certificato di matrimonio non si era ancora asciugato che lei ha cominciato a dargli il tormento. Voleva che fosse messo tutto a suo nome. Gregory ha – aveva – diverse proprietà in affitto. Si era fatto da solo, sapete? Si era spaccato la schiena per arrivare dov’era. Una di quelle proprietà è registrata a mio nome, Gregory voleva darmi un po’ di sicurezza economica. Ma Penny pretendeva che la intestasse a lei! Ovviamente lui si è rifiutato, poi si è messo in mezzo anche il fratello…». Estelle scosse la testa, disgustata. «Ve lo dico io: “fuori di testa” è l’unica definizione adatta a quella famiglia. Penny e suo fratello Gary. È un criminale, uno skinhead, sempre nei guai con la polizia. Eppure Penny lo adora. Mi sorprende che non lo conosciate. Si chiama Gary, Gary Wilmslow».

Erika scambiò un’occhiata con Moss e Peterson.

Estelle riprese a raccontare: «L’anno scorso hanno oltrepassato il limite, quando Gary ha minacciato Gregory».

«In che senso minacciato?», domandò Erika.

«Bisognava scegliere una scuola per Peter e Gregory voleva mandarlo in collegio – in quel caso sarebbe dovuto partire. Penny non voleva. Ha mandato Gary a minacciare mio figlio, ma lui si è fatto valere e ha reagito. Non sono molte le persone che tengono testa a Gary Wilmslow, ma Gregory gli ha dato una bella lezione», disse Estelle con orgoglio.

«E poi che è successo?»

«Poi tutto è andato a rotoli. Gregory non voleva avere niente a che fare con Gary, ma Penny si rifiutava di tagliarlo fuori dalla sua vita. E a Gary ovviamente non andava giù l’idea di aver perso uno scontro. Sapete, le voci corrono. Penny e Gary avevano tutto l’interesse a togliere di mezzo Gregory. Lei erediterà tutto. Ve lo dico io: risparmiate i soldi dei contribuenti e andate ad arrestare suo fratello. Gary Wilmslow. Di sicuro è più che capace di compiere un omicidio, ne sono certa. Giusto la settimana scorsa si è rifatto avanti con le minacce. Si è presentato addirittura nel suo ufficio, alla clinica. E c’erano pure un sacco di pazienti!».

«Perché lo ha minacciato?»

«Non l’ho mai saputo. Ho sentito soltanto i racconti del personale, avevo intenzione di chiederlo a Gregory non appena fosse tornato dalla vacanza, ma…». Ricominciò a singhiozzare. Sollevò gli occhi proprio quando intravide il pub Forest Hill Tavern all’angolo. «Lì, svolti a sinistra. Casa mia è in fondo alla via», disse.

Erika si fermò di fronte a un’elegante villetta a schiera, l’ultima della fila. Peccato che il viaggio fosse già finito.

«Vuole che entriamo a farle compagnia?», le chiese.

«No. Ho bisogno di tempo e spazio, ma grazie. Ho preso una bella batosta, sono certa che mi capirete… Se fossi in voi, andrei subito da Penny e arresterei suo fratello. È stato Gary, ve lo dico io». Estelle le puntò contro il dito ossuto. Poi si tolse con qualche difficoltà la cintura ed estrasse le scarpe di vernice dalla busta di plastica.

«Signora Munro, le manderemo degli agenti in modo che lei possa rilasciare una dichiarazione formale. E inoltre è necessario identificare ufficialmente il corpo di suo figlio», disse Erika con un tono gentile.

«L’ho già visto una volta, ridotto così… Non voglio farlo di nuovo. Chiedete a lei, chiedete a Penny», rispose Estelle.

«Va bene», replicò Erika.

Peterson scese dalla macchina e andò allo sportello del passeggero. Prese le scarpe di Estelle e gliele mise ai piedi, aiutandola a scendere.

«La faccenda si fa interessante», bisbigliò Moss a Erika. «Soldi, proprietà, faide tra famiglie: non promette niente di buono».

Rimasero entrambe a osservare Peterson che saliva i gradini insieme a Estelle. La signora aprì il portone di casa e scomparve all’interno.

«No, niente di buono», concordò Erika. «Voglio parlare con Penny. E anche con Gary Wilmslow».

La donna di ghiaccio - La vittima perfetta - La ragazza nell'acqua
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