Erika fece un profondo respiro e aprì la porta della centrale operativa. Il detective Sparks era in piedi davanti alle lavagne bianche, non c’era scritto più nulla. Il resto della squadra era seduto nella stanza con aria depressa.
Sparks pareva arrabbiato e teso, si era scostato delle ciocche dal viso, i lunghi capelli scuri avevano lasciato delle macchie di unto sul colletto della camicia. «Voglio parlare con ognuno di voi e farvi delle domande dirette. Dobbiamo ripercorrere tutto dall’inizio e capire di chi diavolo è la colpa. Chi è che non ha controllato le cazzo di tempistiche del percorso di Marco Frost da quando è salito sul treno a London Bridge fino a…».
La voce di Sparks si spense quando vide Erika entrare insieme a Moss.
«Sei venuta a prendere il foglio di congedo, Foster?», la schernì. Gli altri agenti mantennero un’espressione impassibile.
«No, il mio distintivo, a dir la verità», disse Erika mostrandolo a Sparks. Lui parve confuso: «Secondo te quanto è importante il titolo di alto funzionario incaricato delle indagini, detective Sparks?»
«Be’, parecchio, considerando che solo uno di noi due ce l’ha al momento», disse. «Posso aiutarti in qualche modo? Perché stavo aggiornando la squadra».
«Agente incaricato non vuol dire che sei incaricato di rompere le scatole a tutti gli altri quando le cose si mettono male. Vuol dire che ti prendi la responsabilità delle cazzate che fai».
«Non capisco», disse Sparks, un po’ meno sicuro di sé.
«È sempre stato questo il tuo problema. Sono di nuovo io l’agente incaricato di questo caso. E il mio primo ordine è per te: levati dalle palle e vai nell’ufficio di Marsh».
Il detective Sparks rimase impietrito.
«Subito, detective Sparks».
Lui fissò Erika ancora per un istante, come tutti gli altri nella centrale operativa, dopodiché andò lentamente alla scrivania, prese la giacca e se ne andò. Prima ancora che uscisse, Crane cominciò ad applaudire. Gli altri agenti si unirono a lui e Peterson si portò due dita alla bocca e fischiò. Erika rimase commossa e abbassò lo sguardo, arrossendo.
«Okay, ragazzi», disse. «Grazie davvero, ma c’è ancora un assassino là fuori». L’applauso terminò. Erika andò alla lavagna di fronte a lei e vi attaccò la fotografia di Andrea e di George Mitchell.
«Questo è il nostro sospettato numero uno, George Mitchell. L’amante di Andrea Douglas-Brown, e anche il suo assassino. È anche sospettato dello stupro e dell’omicidio di Tatiana Ivanova, Mirka Bratova, Karolina Todorova e Ivy Norris».
Nella stanza calò il silenzio.
«Fino a oggi ci siamo concentrati sull’omicidio di Andrea Douglas-Brown. La sua faccia era sulla prima pagina di tutti i giornali, sul web e su tutte le reti televisive, il suo caso è penetrato nella coscienza collettiva della nazione. Sì, era una ragazza ricca e privilegiata, ma è morta in un modo orribile: sola, spaventata e indifesa. Tatiana Ivanova, Mirka Bratova, Karolina Todorova e Ivy Norris erano delle prostitute, certo, ma vi garantisco che non sono entrate in quel mondo di loro spontanea volontà. In altre circostanze avrebbero potuto essere fortunate come lo era Andrea. E anche loro sono morte in maniera straziante. Vi sto dicendo tutto questo perché voglio che dimentichiate la posizione sociale che avevano queste donne. Non facciamo quello che fanno tutti in questo Paese, non classifichiamole in base al loro status. Sono tutte uguali, sono tutte vittime, e meritano tutte la nostra attenzione».
Erika si interruppe. Crane aveva cominciato ad attaccare alla lavagna le fotografie delle vittime.
«Quindi questa è la persona che dobbiamo cercare», disse Erika indicando la foto di George Mitchell. «Aveva una relazione di tipo sessuale con Andrea, sono stati fotografati insieme quattro giorni prima della scomparsa di lei. Credo anche che il sospettato l’abbia incontrata insieme a una bionda non meglio identificata la notte in cui Andrea è stata rapita. Voglio che tutti voi controlliate di nuovo i dati trovati nel secondo cellulare di Andrea. Guardateli con occhi nuovi. Non esistono domande stupide. Se troviamo quest’uomo sbloccheremo il caso».
Gli agenti annuirono all’unisono.
Erika proseguì: «Questo pomeriggio lanceremo un nuovo appello nella speranza di ottenere delle informazioni. La spareremo grossa e indicheremo esplicitamente George Mitchell come sospettato. Speriamo che questo ci porti a conoscere nuovi elementi o ci permetta di scovarlo ovunque si sia andato a nascondere».
Erika si fermò di nuovo e si assicurò di avere l’attenzione di tutti. Poi continuò: «Vi prego di concentrarvi anche sulle altre vittime. Gli omicidi di Tatiana Ivanova, Mirka Bratova e Karolina Todorova sono casi irrisolti che non erano mai stati messi in relazione tra loro. Voglio che andiate a recuperare tutte le prove e le esaminiate di nuovo. Cercate collegamenti, affinità. Le vittime si conoscevano? Se sì voglio sapere come e perché».
Qualcuno bussò alla porta della centrale operativa. Colleen, l’ufficio stampa, entrò nella stanza.
«Mi dispiace interromperla, detective Foster, ma la Reuters mi chiamerà a breve per una conferenza telefonica. Ho pensato che volesse esserci anche lei», disse.
«Sì, grazie a tutti. Dobbiamo fare progressi. Mettete da parte Marco Frost, lasciate perdere quello che dice la stampa e lasciate perdere anche le idee che vi siete fatti finora. Concentratevi su quello che avete davanti adesso. Se riusciamo ad anticipare l’ondata mediatica possiamo ancora vincere».
Erika si alzò e uscì dalla centrale operativa, che cominciò a ronzare di attività.