Quando Erika si risvegliò era ancora buio fuori. Si trovò di fronte a Lenka che passeggiava per la stanza con la piccola Eva in braccio e le ci volle un po’ per capire dove fosse.
«Che ore sono?», chiese accendendo la luce. Eva aprì la boccuccia e starnutì teneramente.
«Le cinque e mezza», rispose Lenka. «Scusami, non volevo svegliarti».
«Tranquilla. Dovevo comunque alzarmi presto». Erika si tirò su, stropicciandosi gli occhi. «Tu che farai oggi? Per me sarà una giornata importante al lavoro».
«Hai delle chiavi in più?»
«Sì».
«C’è un parco da queste parti?»
«C’è l’Horniman Museum in fondo alla strada, è un posto carino per una passeggiata».
«Non è dove hai trovato la donna nel ghiaccio?»
«Be’, sì, ma ci sono dei giardini immensi e un museo. C’è anche un bar davvero carino… Potreste anche andare in centro e vedere le luci di Natale…». Erika pensò che sarebbe stata una padrona di casa davvero misera in quei giorni.
«Ce la caveremo. Credo che i bambini vorranno riposarsi un po’ oggi, ieri è stata una giornata estenuante. Puoi tenermi Eva per un po’? Vorrei fare una doccia prima che scoppi il delirio».
Le passò il fagotto di coperte in cui era avvolta la bambina e scappò in bagno. Eva era così calda. Sollevò una manina e fissò Erika con i suoi grandi occhietti marroni e starnutì di nuovo. Erika le asciugò il viso con un fazzolettino di cotone e l’assalì un’improvvisa ondata di amore e tristezza. Amore per quella nipotina perfetta. E tristezza per i figli che probabilmente non avrebbe avuto mai.
Lasciò a Lenka il numero di telefono del lavoro e le chiavi, mostrandole i luoghi importanti sulla mappa. Diede un bacio a Karolina e Jakub ancora addormentati e uscì dall’appartamento alle prime luci del mattino.
Arrivò alla centrale di Bromley poco prima delle sette e mezza e salì direttamente in sala operativa. Si fermò a fissare la lavagna con il caffè in mano, passando al vaglio tutti gli indizi trovati finora. Dopo la scoperta del dente, spostò le foto di Bob Jennings e Trevor Marksman ai lati dell’immagine del cottage e con un pennarello tracciò una linea di collegamento tra le tre fotografie.
All’improvviso le squillò il telefono. Era Nils Åkerman.
«Abbiamo effettuato un confronto fra il dente rinvenuto nello scantinato e le impronte dentali di Jessica», disse senza alcun preambolo. «Mi dispiace. Non c’è corrispondenza. Non è suo».
Erika sentì il cuore affondare. Dovette sedersi su un angolo della scrivania.
«Ne sei sicuro?»
«Sì. Ho effettuato gli esami base, confrontandolo con il dente mancante nella mandibola. Ma non c’entra e non corrisponde. Poi ho controllato le impronte dentali, nell’ipotesi che sia stato esposto al fuoco e di conseguenza possa essersi ristretto. Niente da fare. L’ho spedito a un collega per vedere se riesce a estrarne la polpa e ottenere il DNA, ma non è sicuramente di Jessica. Siamo pure tornati allo scantinato, abbiamo scavato ancora e fatto altri test con la sonda. Non c’è nient’altro che sporcizia lì».
«Maledizione!».
«Mi dispiace».
«Va tutto bene, non è colpa tua. Questo fa sorgere altre domande senza risposta… Perché c’era il dente di un bambino nello scantinato di Bob Jennings?».
Solo silenzio all’altro capo della cornetta.
«Scusa, Nils. So benissimo che non tocca a te scoprirlo…».
«Non ti invidio per niente», rispose.
«Già. Be’, grazie per avermi chiamato», lo congedò Erika senza il minimo entusiasmo.
Chiuse la chiamata e tornò alla lavagna, dove le informazioni riguardanti la cava erano state appese accanto alla cartina del parco. Un tempo era stata una cava di argilla. Raggiunse la scrivania più vicina, andò su Wikipedia e scrisse «cava di argilla nel Kent», soffermandosi su un piccolo trafiletto:
L’argilla di Londra è un tipo di argilla bluastra che stagionando diventa marrone. Viene attualmente usata per scopi commerciali, come la costruzione di mattoni, tegole e ceramiche. Non è adatta a giardini o coltivazioni.
Continuò a cercare e scoprì che la contea di Kent sorge su un miscuglio di gesso, arenaria e argilla.
«Ma che sto facendo? È una ricerca troppo ampia, senza senso», borbottò.
«Eh già. La contea di Kent è davvero grande», esplose una voce alle sue spalle, spaventandola. Erika si voltò di scatto e trovò Crawford in piedi dietro di lei che curiosava sullo schermo. «Scusi», aggiunse.
«Non si arriva alle spalle delle persone in questo modo», lo rimproverò Erika.
«Pensavo che sapessimo già a cosa serviva la cava, no?»
«È così. Mi sto solo sforzando di trovare un legame, di individuare la giustapposizione che…».
«Che parole difficili di prima mattina», scherzò Crawford. Ma Erika non rise.
«Jessica è scomparsa da anni, eppure riappare a meno di due chilometri da casa». Gli raccontò della conversazione avuta con Nils. Crawford s’appollaiò su un angolo della scrivania, annuendo per tutto il tempo. Quando Erika finì di parlare, rimase in silenzio per qualche istante.
«Sapeva che lo stretto di Dover separa la costa del Kent dall’Europa di trentatré chilometri soltanto?»
«Sì, l’ho appena letto al computer», tagliò corto Erika.
«Un momento», disse alzandosi. «Prima ha detto che l’argilla veniva usata per scopi commerciali, per i mattoni e le tegole. Pensa che possa esserci un collegamento con Martin Collins? Era un costruttore».
Quel suo continuo annuire le stava dando sui nervi. «Crawford, la cava è dismessa dalla prima guerra mondiale. Martin Collins si è trasferito lì con la famiglia soltanto nel 1983. E poi è un maledetto parco: la cava era un bene pubblico».
«Oh», rispose Crawford arrossendo.
Un paio di agenti entrarono nella sala operativa, con Moss e Peterson al seguito. Erika sentì la rabbia e la frustrazione ribollirle nello stomaco, e Crawford era lo sfogo perfetto.
«Questo è un caso già abbastanza complicato senza che mi arrivi alle spalle con delle stupide teorie del cavolo. Non è una cosa che ti fa apparire più furbo e, anzi, mi fai solo incazzare. Ora, a meno che tu non abbia qualcosa di davvero utile da dirmi, fuori dai piedi».
Gli altri agenti presero posto alle loro scrivanie e si tolsero il cappotto. Crawford era diventato paonazzo e aveva gli occhi lucidi.
«E bada che non ho tempo per consolare agenti in lacrime», gli disse. «Cosa puoi dirmi della fossa biologica?»
«Io, ehm, sto ancora aspettando novità», farfugliò Crawford cercando di contenersi.
«Be’, allora smettila di fare il cretino alla disperata ricerca di un modo per sembrare più intelligente e datti da fare. Sbriga il tuo maledetto lavoro!», urlò. Piano piano arrivò anche il resto della squadra e, mentre gli agenti si mettevano al computer, nella sala operativa calò un silenzio pieno di disagio. «Qualcun altro ha un’inutile teoria sull’assassino di Jessica Collins?», chiese. Nessuno si azzardava a fiatare. «Bene. Ora, ho appena saputo che il dente rinvenuto nella cava di Hayes non è di Jessica».
Si levò un gemito di malcontento.
«Già, esatto, proprio come mi sento io adesso. Quindi non ci resta che raddoppiare gli sforzi».
Entrò in ufficio e sbatté la porta di vetro, arrabbiata anche per il fatto che tutti potevano ancora vederla. Si sedette alla scrivania e attaccò la pila di cartelle in costante crescita, aggiornando i documenti sul sistema Holmes.
Un’ora dopo, qualcuno bussò alla porta. Era Moss, che sventolava un piccolo fazzoletto bianco.
«Vengo in pace», annunciò aprendo la porta.
«Che c’è?»
«Hanno trovato i video di Trevor Marksman nei magazzini della centrale di Croydon», disse Moss. «Ce li ha appena consegnati il corriere. John sta cercando un apparecchio per poterli vedere».